Don Ignazio Zaganelli, da grafologo a mariologo

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Don Ignazio Zaganelli, da grafologo a mariologo

Don Ignazio Zaganelli, nato a Marsciano il 23 ottobre 1933, vice decano del Clero diocesano, parroco del quartiere perugino di Santa Lucia fino all’età di 90 anni (emerito dall’autunno 2023), il prossimo anno celebrerà 70 anni di sacerdozio. Noto per la sua convinta devozione alla Madonna di Medjugorje dal lontano 1984, è un prete poliedrico. In gioventù è stato calciatore provetto, che ha rinunciato alla maglia della Fiorentina per farsi prete, insegnante di liceo, grafologo e mariologo. In questo primo anno e mezzo di “riposo” si è dedicato alla lettura e alla stesura della sua “autobiografia”, che presto andrà in stampa, concedendoci quest’intervista.

Don Ignazio e la sorella Francesca donati al Signore

Don Ignazio, quando e come è nata in lei la vocazione al sacerdozio?

Fin da bambino io avevo già la tendenza per il sacerdozio, perché la mia mamma aveva detto al Signore: “Se mi doni un figlio te lo offro, prendilo pure”. Il Signore l’ha presa in parola, non scherzava e mi ha preso con Sé. Ma non si è accontentato solo di me, si è preso anche l’unica mia sorella, Francesca, che è entrata come suora laica nella Famiglia di Madre Speranza di Collevalenza. Lei ha condiviso con me buona parte della mia missione sacerdotale divenendo il faro delle mie opere, dalla costruzione della nuova chiesa di Santa Lucia a tutte le varie attività che successivamente sono state intraprese. Entrambi siamo stati guidati da “Maria Regina della Pace” a cui è intitolata la nostra parrocchia.

Quindi dall’infanzia, che ha vissuto a…

Nelle case popolari di Borghetto di Prepo, a Perugia, dove nella piazzetta la mamma aveva un negozio. Mi portava in braccio a messa alle sei del mattino, nella chiesina della contessa Degli Azzi, in via Fonti Coperte. Alle elementari ero molto discolo e la mamma qualche volta mi puniva lasciandomi solo a casa. Un pomeriggio ritornò di nascosto e mi trovò al tavolo della cucina che stavo “celebrando” la Messa; la sapevo tutta in latino, avevo dieci anni, era il giugno del ‘43, in piena seconda guerra mondiale. Fu il segno, perché il 3 novembre successivo entrai in Seminario a Corciano, che a causa della guerra ospitò i seminaristi per tutto l’anno scolastico.

Don Ignazio, di tacco e di testa, in rete con la palla

È stato un seminarista calciatore, ci racconta quest’esperienza?

Allo stadio Santa Giuliana c’era Alberto Galassi, famoso centroavanti, che mi diceva insistentemente: “Ti porto con me a Firenze”, ma io gli rispondevo che mi sarei fatto prete. Ho rifiutato la maglia della Fiorentina, la carriera in serie A. Ero un esperto centroavanti facendo goal di tacco e di testa entrando in rete con la palla, che neppure in televisione vedevo… Sarò poco modesto, ma io come calciatore ero molto bravo. Mi chiamavano il “Corso” o il “Grassi”, famosi giocatori del Grifo della mia gioventù. Anche a pallavolo non ero da meno e facevo coppia in Seminario con il mio amico di banco Giuseppe Chiaretti, poi diventato vescovo.

L’incontro con il futuro papa Montini

Prima di essere ordinato sacerdote lei è stato per un periodo in Vaticano…

La conclusione dei miei studi in Seminario coincise con la nomina del nuovo arcivescovo di Perugia, Pietro Parente, poi cardinale, che lo andammo a conoscere in Vaticano. Mi chiese di trattenermi con lui a Roma. Fu una esperienza straordinaria per me giovane di appena 22 anni… Aprivo la mattina la finestra della mia camera e vedevo la Cupola di San Pietro… I grandi corridoi dei palazzi vaticani li ho ancora negli occhi…

Conobbi il futuro papa Montini, un incontro che porto sempre nel cuore. Mons. Parente insistette affinché restassi in Vaticano. Oggi, forse, sarei monsignore emerito chissà in quale parte del mondo, ma io volli ritornare a Perugia con il nuovo arcivescovo che mi ordinò sacerdote il 20 maggio 1956 divenendo suo segretario per due anni.

Don Ignazio parroco e docente al classico “Mariotti”

I suoi primi incarichi pastorali di neo sacerdote?

A Borghetto di Prepo, quindi a casa, per un brevissimo periodo, poi sono stato nominato parroco a Pierantonio e nel 1962 qui a Santa Lucia dove sono rimasto alla guida della parrocchia per ben 61 anni, tanti! Non mi chieda cosa ho fatto in tutti questi anni…, lascio giudicare gli altri. Io ho fatto del mio meglio iniziando dalla ristrutturazione dell’antica chiesa e annessa canonica.

Diversi suoi ex alunni si ricordano di lei docente alle superiori…

Sono stato docente di religione presso gli istituti per ragionieri e per geometri, ma soprattutto al liceo classico “Mariotti” dal 1960. Ero una istituzione del corpo docente, facevo il vice preside, stimato dai colleghi e benvoluto dagli alunni. Ero anche addetto alla stesura dei giudizi sintetici agli scrutini di classe…

Ricordo ancora alcune tragedie che hanno segnato il “Mariotti”, come la morte di Francesca Servadio, la cui famiglia aveva un negozio di abbigliamento in corso Vannucci, caduta da cavallo al maneggio di Santa Sabina. Il giorno prima la trovai seduta sulla cattedra e, riprendendola, lei mi rispose: “Mi lasci vivere”, come se avesse un presagio. E poi la morte, in un incidente stradale, di due bravi ragazzi del collegio ONAOSI degli orfani dei sanitari, altro strazio per tutto il “Mariotti”.

Allievo di uno dei più grandi grafologi italiani

Don Ignazio, da insegnante a grafologo…

Ho sempre fatto le cose con molta serietà, perché il sacerdote deve essere serio, rigoroso, oltre ad essere misericordioso e caritatevole nel donarsi totalmente a Dio servendo i suoi figli, anche i più “lontani”. Avendo grande preparazione e passione per le materie umanistiche, mi avvicinai allo studio della grafologia, perché privilegiato nell’aver conosciuto padre Girolamo Moretti, un francescano conventuale di San Francesco al Prato ed uno dei più grandi grafologi italiani.

Lui mi infuse l’amore per la grafologia insegnandomi i primi rudimenti di questa affascinante disciplina. Mi sono poi servito della grafologia a scuola per conoscere il carattere degli alunni e alcuni colleghi mi temevano dicendomi: “non mi legga la scrittura!”. A me non interessava il contenuto degli scritti, ma lo stile della scrittura, in particolare l’inclinazione, l’angolosità delle lettere…

Lei mi ha suggerito il titolo per quest’intervista: don Ignazio da grafologo a mariologo…

Se possiamo chiamarla “la svolta”, questa l’ho avuta nel mio primo viaggio a Medjugorje, nel 1984. Fu un’esperienza meravigliosa, il contatto con i veggenti mi toccò il cuore e sono diventato loro amico. Prima ancora io sentii una sorta di “chiamata” a recarmi in pellegrinaggio in quella terra ancora sotto la dittatura comunista, Tito era morto da poco. Riuscii a organizzare un pullman con una cinquantina di persone da Perugia alla volta di Medjugorje, un villaggio poverissimo e sperduto.

Fin dal primo momento percepii in me come un trasporto verso quel luogo: in chiesa, sulla collina delle apparizioni, nel vedere pregare quella gente perché toccata dalla grazia della Beata Vergine Maria. Da qui ho iniziato ad approfondire i miei studi in mariologia, conoscendo in seguito padre Laurentin, il noto mariologo francese.

Don Ignazio sostenuto dalla Madonna

Oggi la Chiesa ha riconosciuto Medjugorje come luogo di culto mariano…

La Chiesa ha i suoi tempi, tanti di noi l’hanno preceduta perché fin da subito abbiamo creduto a Medjugorje luogo prescelto dalla Madonna, come prima ancora è stato per Lourdes, Fatima… La mia grande sofferenza vissuta per tanti anni a Perugia è stata quella di essere considerato dai confratelli un visionario, anche un po’ deriso, ma sentivo che era una cosa giusta e vera e sono andato avanti.

La Madonna mi ha sostenuto in tutti questi anni attraverso le conversioni avvenute grazie all’esperienza vissuta dalle tantissime persone, accompagnate da me nel piccolo villaggio dell’ex Jugoslavia. Altro importante segno mariano venuto dalla verità di Medjugorje è stata la costruzione della nuova chiesa di Santa Lucia.

Un’impresa, ispirata dalla Madonna, non facile, perché troppo grande… non solo la chiesa, ma tutto il complesso parrocchiale che comprende la canonica con annessi ampi locali per il catechismo e per gli incontri socio-aggregativi, il teatro e all’esterno i campi di calcio e pallavolo, la Via Crucis ed un vasto parcheggio; gli ostacoli anche burocratici da superare furono tanti. Ci aiutò la Divina Provvidenza e vedemmo la conclusione della costruzione, dopo tre anni dall’inizio dei lavori, dal 1990 al 1993.

Don Ignazio Zaganelli, parroco di una piccola Medjugorje

Lei ha costruito una grande chiesa di pietre vive con tante conversioni e alcune vocazioni…

Certamente, sono stato aiutato dalla Madonna a salvare tantissime persone che si erano allontanate dal Signore. Sono riuscito a costruire una comunità di cristiani insieme a mia sorella Francesca e a quanti ci hanno seguito convintamente in questa opera, oltre ad ascoltare, accogliere e fare la carità. Mi sono dedicato molto ai giovani, fin dalla loro tenera età, seguendoli sia nel catechismo sia nella loro formazione morale e spirituale, che si è maturata in alcuni con la scelta vocazionale.

Questa parrocchia era diventata una piccola Medjugorje, perché si era ricreato l’ambiente e lo spirito che si viveva in quel luogo. Abbiamo seguito la scuola di Maria attraverso i messaggi e le parole dei veggenti, si è pregato molto, scoprendo quella preghiera che la Madonna ci chiedeva “fatta con il cuore” e con le ginocchia piegate come facevano i nostri avi. Gli incontri di preghiera, oltre il quotidiano, erano settimanali e mensili e si svolgevano la sera, dalle 21 in poi, in via eccezionale erano presenti i veggenti, padre Jozo ed altre figure che portavano la loro testimonianza di conversione. La chiesa era grande…ma insufficiente!

Tra le opere realizzate la “Casa di Accoglienza”

E l’antica, piccola chiesa del paese?

La chiesa è stata data in comodato d’uso al “Movimento per la vita” che si adopera per aiutare le donne che si trovano in difficoltà nel portare avanti la gravidanza. Il contributo di tanti fedeli è stato importante perché ha permesso di salvare la vita a molti bambini. La canonica, attigua alla chiesa, è stata ristrutturata e divisa in otto appartamenti, per ospitare i malati onco-ematologici e i familiari per l’assistenza, tutto in conformità alla legge.

Nei circa dieci anni di attività, i 60 malati, tra cui 14 giovani e 7 bambini, sono stati accolti gratuitamente ed aiutati, in caso di necessità, anche a livello economico. La “Casa di Accoglienza” era sempre vigilata e custodita da volontari (150) che amorevolmente si alternavano dalle 7 del mattino alle 21 di sera, facendo fronte ad ogni sorta di necessità, mentre una coppia era sempre presente di notte.

Un uomo di Dio coraggioso e determinato

Don Ignazio, il suo rapporto con le Istituzioni civili e il mondo della politica…

Io ho avuto tanti amici a livello provinciale e comunale essendo un uomo capace di mediare e vado d’accordo con tutti, senza rinunciare ai miei principi, fermo nelle mie idee, ma convinto del rispetto che devo all’opinione altrui. Sono contento di come sono vissuto fin da ragazzo. La vita in Seminario, da quando ero bambino, la malattia di mia sorella Francesca e le conseguenti difficoltà in seno alla mia famiglia, le sfide del calcio, le competizioni sportive hanno contribuito a forgiarmi nella vita.

E con le gerarchie ecclesiastiche, con i suoi vescovi, da Parente a Maffeis?

Avendo, per natura, un carattere forte e determinato non accettavo facilmente le decisioni altrui, pertanto, ho avuto delle divergenze con i miei superiori, da quando ero a Roma, in Vaticano. Avevo una mia personalità e visione delle cose, molto forte. Ricordo che pur essendo stato segretario dell’arcivescovo Pietro Parente, ci scontravamo spessissimo, forse, perché entrambi caparbi. Così anche con l’arcivescovo Ferdinando Lambruschini, anche se appariva un mediatore era un duro. Il giovane mons. Ivan Maffeis ha stima e fiducia in me e viene spesso a trovarmi anche per informarsi sul mio stato e la mia vita sacerdotale passata.

Cosa si sente di dire ai giovani parroci, in particolare al suo successore don Scarda?

A don Alessandro e a tutti gli altri sacerdoti dico: siate coraggiosi, non abbiate paura di avventurarvi in esperienze profondamente religiose. Soprattutto, portate nella Chiesa un aspetto meno laicale, ma più profondamente religioso perché tante sono le persone fragili che chiedono di essere ascoltate e sostenute e apritevi alla gente desiderosa della Parola di Dio.

Riccardo Liguori

 

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