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Il piano ReArm Europe, promosso dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen, verrà presentato ufficialmente il 19 marzo. In sintesi, si tratta di:
Aumento coordinato della spesa militare
Gli Stati membri sono chiamati ad alzare il budget per la difesa al 3% del PIL, usufruendo di una specifica “clausola di salvaguardia nazionale” che consenta di sforare temporaneamente i vincoli di bilancio del Patto di Stabilità e Crescita.
Capacità industriale europea comune
La Commissione punta a sostenere lo sviluppo di un’industria bellica più autonoma, riducendo la dipendenza da forniture extraeuropee. Si parla di 800 miliardi di euro complessivi, di cui 650 in quattro anni provenienti dai bilanci nazionali (fuori dai vincoli), e 150 di possibili prestiti agevolati attraverso canali UE.
Rafforzamento della cooperazione tra Stati membri
In un contesto di frammentazione, l’obiettivo è condividere spese, progetti e tecnologie, ottimizzando costi e risorse.
Ruolo del capitale privato
Si vuole stimolare anche la partecipazione di fondi privati: il settore della difesa, storicamente con bassa attrattiva per gli investitori istituzionali, potrebbe godere di incentivi fiscali straordinari.
Riduzione del gap tecnologico con Paesi rivali
La Commissione segnala la necessità di colmare rapidamente il divario con Russia e altre potenze, che da anni investono molto di più in ricerca bellica rispetto ai Paesi europei.
La discussione sul voto ha messo in evidenza notevoli contrasti politici interni alle delegazioni italiane in seno all’Europarlamento:
Fratelli d’Italia (FdI) e Forza Italia (FI): votano a favore della risoluzione, sottolineando l’importanza di una difesa europea integrata e autonoma in un contesto globale sempre più instabile.
Lega (LN): schierata contro, definisce il piano “uno spreco di risorse” che finirebbe per avvantaggiare solo i grandi produttori di armamenti. Matteo Salvini ha parlato di “debito ulteriore per le imprese italiane, non per il riarmo di Macron e Germania”.
Partito Democratico (PD): letteralmente spaccato. Pur non registrandosi voti contrari alla risoluzione nel suo complesso, si contano ben 11 astenuti e 10 favorevoli. Tra gli astenuti, si segnalano Nicola Zingaretti, Alessandro Zan e Lucia Annunziata; tra i favorevoli, Stefano Bonaccini, Antonio Decaro, Giorgio Gori, Elisabetta Gualmini e Alessandra Moretti. Inoltre, 13 eurodeputati PD hanno bocciato in modo specifico il paragrafo in cui si “accoglie con favore il piano di riarmo europeo”.
Movimento 5 Stelle (M5s), Verdi e Sinistra Italiana: votano contro, giudicando il riarmo “una deriva pericolosa e uno spreco di risorse che si potrebbero usare in settori sociali”.
Precedenti storici: il riarmo tra Nazismo e Fascismo
Quando si parla di “riarmo”, uno dei richiami più forti va alle vicende che precedettero la Seconda guerra mondiale. Nel corso degli anni Trenta, la Germania nazista di Adolf Hitler avviò un intenso programma di riarmo (il cosiddetto Aufrüstung) in aperta violazione del Trattato di Versailles, che imponeva stringenti limiti alle forze armate tedesche. Parallelamente, l’Italia fascista di Benito Mussolini spingeva su investimenti militari per accrescere il proprio prestigio e alimentare l’ideale di un nuovo impero romano.
All’epoca, l’Europa assistette inizialmente con incertezza e, in alcuni casi, con indifferenza all’espansione delle forze armate di Germania e Italia. Questo silenzio e l’assenza di una reazione europea unitaria furono tra i fattori che favorirono la rapida ascesa militare dell’Asse Roma-Berlino e portarono poi all’escalation bellica del 1939. Se è vero che le circostanze storiche, politiche e diplomatiche di allora erano molto diverse, il ricordo di quei fatti ci insegna quanto delicate possano essere le dinamiche di un riarmo, specialmente quando la cooperazione internazionale fatica a trovare una direzione chiara.
Oggi l’Unione Europea, nata proprio per prevenire nuovi conflitti sul continente, si trova di fronte a un momento cruciale: aumentare il budget militare potrebbe tradursi in una maggiore deterrenza, ma allo stesso tempo richiede scelte politiche ponderate e un robusto controllo democratico, affinché non si scivoli verso scenari bellici.
Uno sguardo al futuro: tra realismo e paure di guerra
La tensione geopolitica, la concorrenza per le risorse e i mutati equilibri internazionali spingono diverse potenze mondiali – e ora l’UE – a riconsiderare il proprio apparato militare.
Il ricordo del tragico passato europeo, con due guerre mondiali scoppiate nell’arco di tre decenni, pesa sulle scelte politiche contemporanee.
Secondo alcuni, l’Europa, incalzata dai venti di crisi nell’Est, non può più contare su un appoggio automatico degli Stati Uniti e deve dunque attrezzarsi per “camminare sulle proprie gambe”, investendo seriamente in difesa comune. Altri, invece, temono che un massiccio riarmo finisca per intensificare la spirale di tensioni, innescando una corsa agli armamenti che aumenta i rischi di incidenti, escalation e conflitti diretti.
Quel che appare certo, dopo l’approvazione del piano ReArm Europe, è che l’UE affronta oggi una scelta epocale: la strada della deterrenza armata o un nuovo equilibrio diplomatico e pacifista. Le divisioni interne ai partiti italiani – e più in generale europei – sono lo specchio di una società ancora incerta su quale direzione imboccare.
Non è più tempo di retorica astratta: la presenza di un piano di riarmo ufficiale rilancia interrogativi profondi sul destino stesso dell’Unione Europea e sulle sue ragioni fondative. Una riflessione che, alla luce della storia novecentesca, merita di essere condotta con lucidità e responsabilità, per evitare di ripetere errori che hanno già segnato in modo drammatico il passato del nostro continente.
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