“Ci diceva che in auto non si sentiva sicura”

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Reggio Emilia, 11 marzo 2025 – “Una parte della mia vita è morta con lei, dopo che mi hanno citofonato… ”

Porta al collo un ciondolo a forma di cuore, con la foto della giovane figlia che non c’è più. Lei, la madre Annamaria Catrambone, parla tra le lacrime, in tribunale, dov’è in corso il processo con rito ordinario per la morte di Elena Russo.

Davanti al giudice Luigi Tirone, ricorda con strazio la figura della figlia, ma racconta anche di aver raccolto da lei la confidenza che l’auto con la quale consegnava le pizze a domicilio non funzionava del tutto bene.

La tragedia

Elena, 20 anni, abitava a Reggio, studiava giurisprudenza a Modena e consegnava pizze a domicilio. Unimore le ha intitolato un’aula in suo ricordo: lei sognava di diventare un magistrato. Perse la vita in un incidente stradale a San Bartolomeo nella sera del 30 gennaio 2022, durante l’orario di lavoro, al volante dell’auto che le diede la pizzeria reggiana.

I genitori Francesco e Annamaria hanno promosso una lunga battaglia legale sostenendo che dietro un apparente tragico destino si celavano in realtà alcune possibili responsabilità dei datori di lavoro della figlia: ora sono costituiti parte civile affidandosi agli avvocati Giulio Cesare Bonazzi e Simona Magnani.

I pubblici ministeri Stefano Finocchiaro e Denise Panoutsopolus, che hanno ereditato il fascicolo, contestano ai due titolari della pizzeria, un 50enne e un 34enne, l’accusa di omicidio colposo con violazione delle norme per la sicurezza sul lavoro e del codice stradale: gli imputati, difesi dall’avvocato Nino Giordano Ruffini, avrebbero dato alla giovane una Fiat Punto con pneumatici diversi tra loro, usurati e di oltre 16 anni, tali da non garantire l’aderenza alla strada, e la cui condizione sarebbe stata una concausa dell’incidente mortale sulla curva di via Tirabassi.

La struggente testimonianza

“Elena era una ragazza molto responsabile: voleva avere un’indipendenza economica e mi ha dato tante soddisfazioni”, l’ha descritta la madre Annamaria, chiamata a testimoniare dagli avvocati di parte civile Bonazzi e Magnani.

La donna è a anche entrata nel merito dell’accusa: “Mi diceva che il suo lavoro le piaceva. Ricordo che una sera venne a casa e si lamentò che l’auto non frenava e che sentiva rumori. Il padre le consigliò di dirlo ai titolari, e lo feci pure io, dicendole che altrimenti poteva succederle qualcosa. Ma lei ribattè: ‘Cosa vuoi che mi succeda…’”.

La madre ha anche riferito sul quantitativo di lavoro affidato alla giovane, su cui nella scorsa udienza si è anche soffermato un giovane collega di allora: “Elena diceva che doveva fare tante consegne. Mi diceva di non preoccuparmi… ”

Allora la donna gestiva un locale in via Tassoni, il bar ‘Lelly’, nome con cui il padre chiamava Elena: “Dopo la morte di mia figlia ho chiuso il bar. Noi facevamo sacrifici per lei… ”, dice la madre per poi condensare il dolore. “Elena arrivò dopo tanti anni di matrimonio e di attesa: ora andiamo avanti, ma la nostra vita senza di lei non è più la stessa”.

In aula

All’inizio è stato ascoltato anche Davide Vasconi, rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale della Cgil e attivo anche nell’Ente bilaterale Emilia Romagna, organo che raccoglie sindacati e associazioni datoriali.

Il testimone ha riferito di aver fatto un sopralluogo nella pizzeria dove lavorava Russo dopo l’incidente mortale, il 24 marzo 2022, constatando alcune anomalie.

“Mancava il documento valutazione rischi, che equivale al libretto di circolazione per l’auto – ha riferito in aula –. La sua assenza comporta la sospensione della licenza. Il titolare mi disse che mi avrebbe fatto contattare da un suo consulente, ma non accadde”.

L’esperto ha anche rimarcato: “Non fu fatta formazione ai lavoratori e neppure sorveglianza sanitaria: i ragazzi che fanno consegne a domicilio sono autisti professionali e quindi devono essere sottoposti a controlli sulla salute”.

In udienza è emerso che poi l’azienda ebbe un dvr nell’aprile 2022, che Vasconi non ha visto.

L’amico di famiglia

Parola anche a un amico della famiglia Russo, Renato Manetta: “Ricordo che Elena mi disse che quando guidava non si sentiva sicura: me lo riferì dieci giorni prima dell’incidente. Aggiunse che c’era un fornetto caricato dietro, che sentiva rumori e non era tranquilla quando faceva le curve. Io le suggerii di dirlo ai titolari. Una volta ero nel loro bar alle 19: mi accorsi che le gomme della Punto erano lisce e con dotazioni estive: anche in questo caso consigliai di riferirlo ai datori di lavoro”.

Nella prossima udienza in aprile saranno sentiti i testimoni della difesa. L’avvocato Nino Giordano Ruffini che tutela i due imputati, sostiene che l’incidente fu dovuto alla velocità più alta del limite che avrebbe tenuto la ragazza in quel punto della strada e che è stata stimata con valori variabili dai consulenti di parte e da una perizia in fase di udienza preliminare.



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