Meditazioni di padre Pasolini per gli Esercizi spirituali della Curia romana in comunione con Papa Francesco – Le tragedie della vita occasioni di conversione non segni di condanna

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“La prima morte” è stato l’argomento approfondito nella terza meditazione proposta dal cappuccino Roberto Pasolini ai partecipanti agli Esercizi spirituali della Curia romana sul tema “La speranza della vita eterna” che si svolgono in comunione spirituale con il Pontefice ricoverato al Policlinico Gemelli. Lunedì pomeriggio, 10 marzo, dall’ospedale romano Francesco ha seguito in collegamento video con l’Aula Paolo vi la riflessione pronunciata dal predicatore della Casa pontificia. Ne pubblichiamo una sintesi.

Perché fatichiamo a riconoscere che la vita eterna è già iniziata? La Bibbia suggerisce che l’essere umano, fin dal principio, si scopre insensibile e ostile all’azione di Dio. I profeti dell’Antico Testamento denunciavano l’incapacità del popolo di accorgersi delle “cose nuove” che Dio compie, mentre Gesù stesso, constatando l’incomprensione dei suoi ascoltatori, parlava in parabole. Questo non per semplificare il suo messaggio, ma per evidenziare la durezza del cuore umano, chiuso alla possibilità di una vita piena.

Il Nuovo Testamento descrive questa condizione con un’affermazione paradossale: siamo già morti, ma non ce ne accorgiamo. La morte, infatti, non è solo l’evento finale della vita (morte biologica), ma anche una realtà che sperimentiamo già ora, attraverso una chiusura in noi stessi che ci impedisce di avvertire la vita come qualcosa di eterno che Dio vuole donarci. La Genesi racconta questa perdita di sensibilità attraverso ciò che la tradizione ha definito “peccato originale”: l’uomo, anziché accogliere la vita come dono, cerca di controllarla, oltrepassando il limite imposto da Dio. Il risultato non è l’autonomia promessa dal serpente, ma un senso di vergogna e di smarrimento.

Questa prima “morte interiore” si manifesta nel nostro continuo tentativo di coprire le fragilità con immagini, ruoli e successi, senza affrontare il vuoto profondo che ci abita. Eppure, nella Bibbia, Dio non sembra allarmato da questa condizione: la sua prima reazione è cercare l’uomo, domandandogli «Dove sei?» (Gen 3, 9). Questo indica che la morte interiore non è la fine, ma il punto da cui può iniziare un cammino di salvezza.

Anche nel dramma di Caino e Abele emerge questa logica: Dio non interviene per prevenire il fratricidio, ma protegge Caino dal suo stesso senso di colpa. Questo mostra che la nostra “prima morte” non è un destino ineluttabile, ma un’opportunità per riscoprire la vita eterna come una realtà presente, non solo futura. Gesù stesso invita a leggere le tragedie della vita come occasioni di conversione, non come segni di condanna (Lc 13, 4-5).

Dio guarda alla nostra morte interiore non come a una sconfitta, ma come al punto di partenza per una nuova esistenza. Il vero ostacolo alla vita eterna non è la morte biologica, ma la nostra incapacità di riconoscere che siamo già immersi in una realtà che va oltre il tempo, se solo scegliamo di viverla con fiducia e apertura a Dio.

La resurrezione inizia già ora se si accoglie lo Spirito di Dio

Stamane, martedì 11 marzo, il predicatore della Casa pontificia Roberto Pasolini ha tenuto la quarta meditazione nell’Aula Paolo vi in occasione degli Esercizi spirituali della Curia romana che si svolgono in unione spirituale con il Papa ricoverato in ospedale.  “La seconda morte” il tema della riflessione odierna, di cui pubblichiamo la sintesi.

La Bibbia descrive la storia umana come una tensione tra la promessa di vita eterna e la realtà della morte. Israele, con le sue fedeltà e infedeltà, incarna questa lotta, restando in perenne ricerca della terra promessa. San Paolo parla dell’uomo come di un morente che vive (2Cor 6, 9), esprimendo il paradosso dell’esistenza.

Tra i profeti, Ezechiele raffigura questa condizione nella visione della valle delle ossa inaridite (Ez 37): Israele appare come un cimitero a cielo aperto, privo di vita e speranza. Dio ordina al profeta di parlare alle ossa, che si ricompongono e si rivestono di carne, ma restano senza vita finché il suo Spirito non soffia su di loro.

Questa visione non riguarda solo il ritorno dall’esilio, ma riflette la condizione umana: spesso esistiamo senza vivere davvero. Le ossa inaridite simboleggiano la “prima morte”, quella interiore, che si manifesta nella paura, nell’apatia e nella perdita della speranza. È ciò che accadde a Adamo ed Eva dopo il peccato: il loro corpo era vivo, ma separato da Dio.

Solo lo Spirito di Dio può ridare una vita autentica. Tuttavia, esiste anche una “seconda morte”, spesso intesa come dannazione eterna, ma che può anche essere vista come la morte biologica. Chi ha già superato la prima morte — ossia la paura, l’egoismo e l’illusione del controllo — affronta la seconda senza terrore. San Francesco d’Assisi lo esprime nel Cantico di Frate Sole, lodando chi accoglie la morte in Dio.

L’Apocalisse afferma che «il vincitore non sarà colpito dalla seconda morte» (Ap 2, 11): chi vive nella fede e nella speranza può attraversarla senza esserne schiacciato. La visione di Ezechiele ci insegna che la resurrezione inizia già ora: Dio non aspetta la nostra morte per donarci la vita eterna, ma la offre già nel presente, se accogliamo il suo Spirito. La vera domanda è: vogliamo restare ossa inaridite o lasciarci rianimare dalla vita vera?



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