L’Eurocamera appoggia il piano di riarmo di von der Leyen

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Bruxelles – La maggioranza di Ursula von der Leyen all’Eurocamera sostiene il suo piano di riarmo, ma ammonisce di non bypassare il Parlamento. Tra i distinguo dei Socialisti, i cartellini gialli degli ambientalisti e le critiche di Sinistra e sovranisti, il dibattito a Strasburgo sulla difesa europea conferma le linee di faglia della politica comunitaria. Che ormai punta dritta verso il riarmo su scala continentale.

La necessità della deterrenza

“Dobbiamo costruire una difesa comune, non per minacciare o conquistare” ma per mettere in campo “un deterrente contro ogni attacco esterno guidato dall’odio contro l’Europa unita”. Ursula von der Leyen cita lo storico statista democristiano Alcide De Gasperi nell’apertura del proprio intervento alla plenaria dell’Europarlamento a Strasburgo, dove stamattina (11 marzo) si discute delle conclusioni del vertice straordinario svoltosi a Bruxelles la scorsa settimana.

Secondo la presidente dell’esecutivo comunitario, a 70 anni di distanza “la nostra generazione ha lo stesso compito” dei padri fondatori perché “la pace non può più essere data per scontata” sul Vecchio continente ed è giunto il momento di “lavorare ad una difesa comune”. La storia, dice, ha smentito chi pensava che dopo la Guerra fredda “si potesse integrare la Russia nell’architettura economica e della sicurezza europea”, così come chi credeva che “potessimo contare indefinitamente sulla protezione americana”. L’unico risultato è che noi europei “abbiamo abbassato la guardia, abbiamo tagliato le spese per la difesa pensando di poter godere dei dividendi per la pace” ma quello che abbiamo fatto in realtà è stato creare “un deficit di sicurezza” nel continente.

Niente giri di parole: “È finito il tempo delle illusioni” ed è arrivato “il momento della pace attraverso la forza”. La massima latina si vis pacem para bellum rimane valida col passare dei secoli. In questo passaggio stretto della storia, continua von der Leyen, “l’Europa è chiamata a farsi carico della propria difesa, non in un lontano futuro ma già oggi, non con passi graduali ma col coraggio che la situazione richiede”. Nell’immediato l’urgenza è l’Ucraina, ma sul lungo periodo si tratta di mettere in sicurezza l’intero continente, perché Vladimir Putin “ha dimostrato di essere un vicino ostile” e dunque occorre comportarsi di conseguenza e “utilizzare la deterrenza”.

Riarmo continentale

La timoniera del Berlaymont si autoincensa, compiacendosi di aver visto tra i leader dei Ventisette “un consenso che non solo non ha precedenti, ma era del tutto inimmaginabile solo poche settimane fa” riguardo alla necessità di fare rapidi progressi sul tema della difesa europea. Del resto, la roadmap l’ha definita lei, col suo piano ribattezzato ReArm Europe che prevede investimenti per 800 miliardi di euro nei prossimi quattro anni.

Un piano che difende di fronte agli eurodeputati, citando le cifre astronomiche spese dal Cremlino per fare la guerra all’Ucraina. “La produzione militare europea è ancora troppo limitata”, avverte, notando che “la gamma di minacce che dobbiamo affrontare si amplia di giorno in giorno”. La media del 2 per cento del Pil nazionale speso in difesa dai Paesi europei non è sufficiente (le stime suggeriscono che servirebbe un 3 per cento per essere “pronti”), e a livello di Pil comunitario questa percentuale scende all’1 per cento.

“In quest’epoca più pericolosa, l’Europa deve accelerare” e per farlo bisogna “utilizzare tutte le leve finanziarie a nostra disposizione”. Per cominciare, la mobilitazione dei bilanci nazionali attraverso l’attivazione della clausola di salvaguardia del Patto di stabilità (Psc), poiché “il grosso degli investimenti non può che venire dagli Stati membri”. Poi il nuovo strumento finanziario Safe, che fornirà fino a 150 miliardi di prestiti per concentrarsi su “alcune capacità strategiche scelte” (come difesa aerea, droni, missili, munizioni, abilitatori strategici, mobilità militare, capacità cyber, intelligenza artificiale), con accento su “preferenza europea”, appalti congiunti e contratti pluriennali.

“Abbiamo bisogno di scala, dimensione e rapidità”: così von der Leyen giustifica il ricorso alla procedura accelerata ex articolo 122 del Trattato sul funzionamento dell’Ue (Tfue), che permette di aggirare il dibattito parlamentare in caso di situazioni d’emergenza, di raccogliere denaro sui mercati internazionali e prestarlo alle cancellerie perché lo investano in difesa. Infine, i fondi di coesione (da reindirizzare “su base volontaria” dalla politica regionale ai progetti di difesa), gli investimenti tramite la Bei e l’Unione dei risparmi e degli investimenti in fase di costruzione.

L’Europa della difesa secondo Costa

Anche per il presidente del Consiglio europeo, António Costa, in questa fase si sente “un senso di urgenza onnipresente”. Per questo il vertice che ha presieduto lo scorso 6 marzo “ha assunto decisione rapide e ambiziose sull’Ucraina” e sulla difesa europea, permettendo all’Ue di dotarsi delle risorse finanziarie necessarie.

In un mese “abbiamo dato vita all’Europa della difesa”, anche attraverso l’interazione con il Regno Unito e la Nato, portando a compimento un percorso iniziato tre anni fa col vertice di Versailles in cui si era deciso di “rafforzare la difesa dell’Europa”. In tre anni di guerra d’Ucraina, osserva, gli Stati membri hanno aumentato il loro bilancio della difesa del 30 per cento, mentre i 23 Paesi Nato dell’Unione hanno raggiunto in media l’obiettivo del 2 per cento fissato dall’Alleanza.

Con uno sguardo al prossimo summit del 20-21 marzo, sottolinea che “competitività e difesa devono andare di pari passo” al fine di “rendere l’Ue più forte, proteggere i nostri cittadini e il nostro modello sociale”. L’autonomia strategica del Vecchio continente, assicura, passa anche da qui. Il prossimo 19 marzo, l’Alta rappresentante Kaja Kallas presenterà il Libro bianco sulla difesa.

Il sostegno di Ppe e Renew

Tra le reazioni più entusiaste in Aula ci sono quelle di Popolari e liberali. Il capo-padrone del Ppe, Manfred Weber, parte dallo “scandalo” dell’agguato teso da Donald Trump e J.D. Vance a Volodymyr Zelensky nello Studio ovale per ammonire i suoi colleghi che noi europei “ormai siamo da soli” e non possiamo più contare sull’alleato storico a stelle e strisce.

“Abbiamo bisogno di progetti comuni a livello europeo come difesa missilistica, anti droni o un sistema satellitare, non possiamo dipendere dagli Usa”, dice il leader bavarese, concorde con von der Leyen sul fatto che “il compito della nostra generazione è creare una vera e propria Unione della difesa”. Ma ha ammonito la connazionale sul ricorso a procedure accelerate: “Il Parlamento dev’essere pienamente coinvolto, bypassarlo con l’articolo 122 è un errore”.

Sulla stessa linea anche Valérie Hayer, capogruppo di Renew. “Quello che accade oltreoceano non è un semplice disimpegno ma un ribaltamento totale dell’Alleanza transatlantica”, osserva l’eurodeputata, secondo la quale “Trump non è più un nostro alleato”. E dunque accoglie il piano di von der Leyen, avvertendola però che “avremmo bisogno di qualcosa in più”, a partire dagli eurobond (proposti sia dall’Aula sia da alcuni governi Ue). Il coordinamento, dice, sarà fondamentale, affinché le forze armate dei Ventisette siano “in grado di lavorare insieme”.

E da buona francese aggiunge: “Dobbiamo avanzare anche sulla questione della deterrenza nucleare europea, senza rimettere in discussione la decisione sovrana nazionale della sua attivazione”, descrivendo lo scudo atomico offerto da Emmanuel Macron come “l’unica condizione per preservare la pace” in Europa.

I distinguo dei socialdemocratici

In casa socialdemocratica i toni si fanno più sfumati. La capogruppo S&D in Aula, Iratxe García Pérez, concorda che “non possiamo dipendere da terzi per la nostra sicurezza” ma ribadisce che ReArm Europe dev’essere “solo un primo passo” perché non possiamo continuare verso una frammentazione tra 27 soluzioni nazionali come rischia di accadere sospendendo il Psc. Al contrario, “serve più debito comune, più solidarietà e più visione strategica” per garantire, tra le altre cose, che “gli investimenti in difesa non avvengano a scapito del nostro modello sociale” altrimenti si rischia di “indebolire le basi della nostra democrazia”.

Difesa europea e sostegno a Kiev sono “due facce della stessa medaglia”: “Non dobbiamo soltanto intervenire per consentire all’Ucraina di resistere, dobbiamo consentirle di vincere questa guerra e per ottenerlo abbiamo bisogno di azioni decise e coese”, che devono includere ad esempio “il sequestro dei capitali russi congelati per ricostruire e armare l’Ucraina e l’autorizzazione all’uso delle nostre armi per colpire obiettivi militari” sul suolo della Federazione. Quella in corso nell’ex repubblica sovietica, sostiene, è una battaglia che “definirà il 21esimo secolo”, riprendendo Winston Churchill che rimproverava a Neville Chamberlain di aver scelto il disonore e aver avuto la guerra (con riferimento all’infame accordo di Monaco del 1938).

Nel frattempo, dal Pd italiano arrivano ulteriori prove di equilibrismo. I negoziatori dem vogliono inserire nel testo della risoluzione che l’Aula voterà domani un emendamento che cancelli i riferimenti all’obiettivo del 3 per cento del Pil per gli investimenti in difesa a livello nazionale, sostituendolo con una “priorità alle iniziative comuni europee”. Dall’Ecofin in corso a Bruxelles, intanto, il ministro lituano delle Finanze ha chiesto di alzare l’asticella addirittura al 6 per cento.

Altre sfumature

Un sostanziale sostegno il Berlaymont lo incassa anche da parte dei Patrioti, dei Conservatori e dei Verdi. Ma anche qui non mancano le sfumature. Le due “priorità assolute” per l’Europa, secondo il capogruppo PfE Jordan Bardella, sono “la pace e l’indipendenza”. Da un lato va scongiurato “il rischio di prolungare una guerra senza prospettive di vittoria” e lasciare spazio alla diplomazia, per cui va accolta la proposta della premier italiana Giorgia Meloni di convocare un vertice Ue-Usa che “ci permetterà di raggiungere i nostri obiettivi per la sovranità dell’Ucraina” con le adeguate garanzie di sicurezza. Dall’altro, va costruita “l’autonomia delle nazioni europee”, poiché “nessun altro se non noi dovrà determinare il nostro interesse”.

Anche il co-capogruppo di Ecr, il meloniano Nicola Procaccini, il vertice è stato “un passo di ritorno verso la realtà” anche se avrebbe preferito “maggiore chiarezza sulle fonti dei finanziamenti, sulla programmazione di lungo periodo” e sull’inquadramento del piano di von der Leyen nel contesto della Nato (senza la quale è “inconcepibile” una difesa europea). Non va commesso l’errore di considerare ReArm Europe – che, dice, andrebbe ribattezzato Defend Europe – come una “ritorsione” o una “concessione” nei confronti della Casa Bianca: al contrario, “investire su difesa e sicurezza è un atto di dignità delle nostre nazioni e di rispetto per i nostri alleati internazionali”.

Per Bas Eickhout, co-capogruppo dei Verdi, il piano di Bruxelles va bene in linea di massima ma forse è giunto il momento di chiedersi se le regole di bilancio comunitarie “siano adatte al loro scopo” se occorre “attivare a ripetizione le clausole di salvaguardia” del Psc per permettere agli Stati membri di rispondere alle necessità.

Gli estremi contro il riarmo

Opposizione ferma arriva invece dalla Sinistra. Il co-capogruppo di The Left, Martin Schirdewan, accusa von der Leyen di aver “ignorato la diplomazia” puntando esclusivamente ad una “soluzione militare del conflitto” in Ucraina e ricorda alla presidente della Commissione che l’indipendenza strategica non significa solo investire in armi ma anche in “sicurezza energetica, sicurezza sociale, ricerca e sviluppo”.

E il pentastellato Danilo Della Valle appoggia una bandiera dell’Ue cucita insieme ad una della pace sui banchi della Commissione, dai quali si è però già assentata von der Leyen. Quest’ultima “verrà ricordata come quella che ha tradito i valori e la democrazia”, attacca dal podio dell’emiciclo, ricordando che “l’Europa senza pace è morta” e condannando la “follia bellicista” di Bruxelles che vuole “la terza guerra mondiale”. Fuori dall’Aula, l’ex premier e leader del M5s Giuseppe Conte protesta insieme ad una nutrita pattuglia di deputati contro il piano ReArm Europe, paragonato ad “una dichiarazione di guerra”.

Critici contro il piano della Commissione anche i sovranisti di Esn, il gruppo di AfD. Sostenere l’Ucraina significa “negare la realtà”, affonda Zsuzsanna Borvendég, secondo la quale il presidente Zelensky è illegittimo, Kiev viola i diritti umani e porta avanti un genocidio delle minoranze russofone, mentre Bruxelles versa miliardi “nelle tasche degli oligarchi” nonché in quelle di Hamas e dell’Isis.



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