La guerra alla droga che ha insanguinato le Filippine

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“Qual è il crimine che ho commesso?” È quasi incredulo Rodrigo Duterte. L’ex presidente delle Filippine, in carica dal 2016 al 2022, si trova in aeroporto a Manila, dove è appena rientrato da Hong Kong. I funzionari del governo lo hanno appena arrestato dopo aver ricevuto un mandato di cattura dalla Corte penale internazionale (CPI). L’accusa nei confronti del 79enne è pesantissima: crimini contro l’umanità.

Ma, parafrasando la domanda di Duterte all’inizio dell’articolo, cosa gli viene imputato? Cosa viene contestato a questo politico populista, da alcuni soprannominato il “Trump dell’Asia” e da altri “The Punisher” (il castigatore)? I riflettori sono puntati sulla cosiddetta “guerra alla droga” che ha caratterizzato il suo mandato e che ha provocato la morte di migliaia di filippini.

Ok, ma perché un presidente è arrivato a sguinzagliare squadroni della morte per uccidere spacciatori e tossicodipendenti? Nelle Filippine la droga è un problema serissimo, talmente grave da poter compromettere persino la già fragile economia del Paese. Il riferimento va subito al temibile shabu, la droga più diffusa negli slum di Manila: metanfetamina cristallizzata dieci volte più potente della cocaina, con effetti più lunghi e decisamente più devastanti per chi ne fa uso.

La Drug War di Duterte

Già quando era sindaco di Davao, nelle Filippine meridionali, Duterte era noto come “The Punisher”. Le sue politiche sulla sicurezza erano infatti rigide, mentre i suoi discorsi contro le bande di narcotrafficanti pieni di parolacce e minacce di morte.

“Dimenticatevi le leggi sui diritti umani. Se dovessi arrivare al palazzo presidenziale, farei esattamente quello che ho fatto da sindaco. Voi spacciatori, rapinatori e fannulloni, è meglio che ve ne andiate. Perché vi ucciderei”, dichiarava in campagna elettorale nel 2016, prima di vincere le elezioni e diventare presidente. E ancora: “Uccidiamo cinque criminali ogni settimana, così li elimineremo tutti”.

È proprio sfoggiando il suo lato più duro e populista che Duterte è riuscito a diventare presidente. Solo che la repressione poliziesca attuata a Davao sarebbe stata moltiplicata per cento ed estesa a livello nazionale. Dal 30 giugno 2016, giorno dell’insediamento di Duterte alla presidenza filippina, al termine dell’anno la polizia avrebbe ucciso più di 2.000 persone nell’ambito della Drug War. Un dato da non ignorare: un sondaggio d’opinione pubblicato dall’agenzia di ricerca Social Weather Stations nel dicembre 2016 mostrava che il 77% dei filippini fosse soddisfatto delle azioni di Duterte, nonostante lo sdegno delle ONG internazionali.

Il bilancio della guerra contro la droga

Al termine del mandato di Duterte, nel 2022, il bilancio ufficiale della guerra alla droga ammontava ad almeno 6.200 sospettati uccisi dalle forze dell’ordine. Secondo la CPI, tuttavia, potrebbero essere state uccise, non solo dalla polizia, ma anche da individui non identificati e organizzati in “squadroni della morte”, fino a 30.000 persone. Sicuramente criminali e spacciatori, ma forse anche migliaia di poveri tossicodipendenti e cittadini inseriti in ambigue “liste di controllo”.

Secondo Human Rights Watch, “Duterte e altri alti funzionari hanno istigato e incitato gli omicidi in una campagna che potrebbe equivalere a crimini contro l’umanità”. Ci sarebbero state ripetute uccisioni illegali e violenze diffuse.

Le cronache dell’epoca scrivevano che, nel tentativo di liberare ogni barangay (quartiere) dalla droga, gli ufficiali di polizia davano la caccia ai sospettati quasi porta a porta. La versione ufficiale dei fatti era sempre la stessa: i trafficanti, armati, aprivano il fuoco, provocando la reazione degli agenti per legittima difesa. Anche se gli omicidi hanno più volte suscitato allarme a livello internazionale, Duterte ha sempre ripetuto che “molti moriranno, molti saranno uccisi finché l’ultimo spacciatore non sarà fuori dalle strade”.

Pare che durante le repressioni anti-droga l’ufficio dell’ex presidente fosse solito pagare agli ufficiali fino a 1 milione di pesos (circa 13.200 sterline) per omicidio, a seconda dell’obiettivo eliminato. Duterte ha negato sia l’esistenza di questo meccanismo, sia il fatto di aver autorizzato esecuzioni extragiudiziali. Ha però ammesso di aver mantenuto uno squadrone della morte di criminali per uccidere altri criminali mentre era sindaco di Davao.

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