Vibo Valentia, la rara bellezza del Museo Archeologico Vito Capialbi • Meraviglie di Calabria

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Il Museo Archeologico Nazionale Vito Capialbi di Vibo Valentia è un luogo straordinario, uno dei musei archeologici più belli della Calabria e unico nel suo genere, che documenta la storia della città, dall’antica Hipponion alla Valentia romana, fino alla medievale Monteleone e all’attuale Vibo Valentia. Il museo nasce dalla collezione del conte Vito Capialbi, raro esempio di mecenatismo ottocentesco in Calabria, e raccoglie reperti provenienti dal tessuto urbano cittadino, testimoniandone la stratificazione storica e culturale.

L’ingresso al museo, collocato all’interno del Castello Normanno-Svevo, introduce alla centralità che Vibo Valentia ha avuto come snodo culturale e commerciale del Mediterraneo. La prima sezione espone una raccolta di anfore e àncore, rinvenute nelle acque di Vibo Marina, dove in epoca romana sorgeva un porto strategico. Le anfore trasportavano olio, vino e garum, mentre le àncore in piombo e ferro testimoniano il traffico intenso che collegava Hipponion con il resto del Mediterraneo.

La prima sala è dedicata a Hipponion, colonia fondata alla fine dell’VIII secolo a.C., e racconta il suo legame con Locri e il progressivo distacco. Il punto focale è l’esposizione dei reperti di Scrimbia, una fossa votiva scoperta durante scavi di emergenza, in parte oggetto di trafugamenti. Qui sono esposti i reperti recuperati e restituiti alla comunità dal Nucleo di Tutela del Patrimonio dell’arma dei Carabinieri. Hipponion, affacciata sul Tirreno, aveva scambi commerciali con l’Egeo e un ruolo chiave nella rete di commerci della Magna Grecia. Le ceramiche a figure rosse e nere, i crateri e i piccoli ex voto testimoniano i rapporti con Atene, Corinto e altre città greche.

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In relazione agli ex voto, molti di questi erano destinati alla dea Persefone, in onore della quale si praticava uno dei culti più radicati. Una divinità ambivalente: dea della primavera e della rinascita, figlia di Demetra, ma anche regina dell’oltretomba accanto al consorte Ade, rappresenta il ciclo della natura e il passaggio tra vita e morte.

La sua dualità era ben presente nei culti magno-greci, dove Persefone era venerata sia come portatrice di fertilità, sia come guida delle anime nell’oltretomba. Elmi, scudi, schinieri, strigili, in molti casi intenzionalmente danneggiati perché perdessero la loro funzione bellica, diventavano offerte rituali. Probabilmente legate ai riti di passaggio all’età adulta, armi e parti di armature raccontano la dimensione religiosa e sociale della comunità hipponiate.

In un luogo del maniero totalmente dedicato si trova uno dei reperti più rilevanti del museo: la piccolissima Laminetta orfica, custodita nel torrionetto Medievale, l’unico ambiente del castello che conserva la struttura originaria. La sottile lamina d’oro fu rinvenuta nella necropoli dell’INAM, sul petto di una donna sepolta nella tomba a cappuccina n. 19. Incisa con un testo in greco, la laminetta forniva alla defunta le istruzioni per il viaggio nell’aldilà: il percorso da seguire, la fonte Mnemosyne da cui bere per ottenere la memoria eterna e il riconoscimento degli dèi inferi. Un documento che attesta ancora il culto per Persefone, la diffusione dell’Orfismo nella Magna Grecia e il desiderio umano di assicurarsi la salvezza ultraterrena.

Con l’età romana, Hipponion divenne Valentia, colonia latina fondata nel 194 a.C. La città era un polo strategico e un centro di produzione agricola e ittica. Gli scavi hanno rivelato la presenza di ville rustiche, specializzate nella coltivazione della vite e dell’ulivo, oltre a peschiere utilizzate per l’allevamento del pesce e la produzione del garum, molto apprezzato sulle tavole romane. Il porto di Valentia, identificato nelle acque di Bivona, era una delle infrastrutture più rilevanti dell’area, citata da Strabone e Cicerone per la sua funzione militare e commerciale. Valentia, oltre ad essere un centro economico, era anche un luogo di villeggiatura per l’aristocrazia romana. Le residenze sorgevano attorno alla città, in luoghi scelti per il pregio del paesaggio.

La posizione dominante del castello permette ancora di spaziare con lo sguardo dal Tirreno sulla Sicilia e a volte fino all’Etna, e alle spalle sull’altopiano del Monte Poro e le Serre. Anche per questo Federico II di Svevia ne fece una delle sue postazioni più importanti, aumentando le strutture difensive e il controllo della regione.

Il maniero è anche il teatro di una delle leggende che continuano ad essere ricordate, quella di Diana Recco. Si racconta che nel 1508 il padre e il fratello, insieme ad altri cinque, furono giustiziati dai Pignatelli e le loro teste esposte sui merli del castello. Dopo anni di esilio, Diana raggiunse Giovanni Lo Tufo, ritenuto il responsabile della strage, per ucciderlo durante i festeggiamenti per le nozze della figlia Maddalena. Si racconta che lo spirito di Diana torni talvolta in prossimità del castello, e che la nebbia che lo avvolge in alcuni giorni ne rievochi la presenza.

di Daniela Malatacca (info@meravigliedicalabria.it)





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