Trump indebolisce agenzie federali ambientali

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I giornalisti e le giornaliste scientifiche possono confermare: abbiamo le caselle e-mail piene di newsletter (di Science, Nature e compagnia) che elencano giorno dopo giorno la sfilza di impatti negativi di Trump sulla ricerca. La scienza, sul piano comunicativo, non è da tempo più neutrale: prima delle elezioni le riviste più rinomate avevano provato a indirizzare il voto. Giusto o sbagliato che sia, ormai non si può davvero ignorare che la ricerca scientifica americana sta rischiando seriamente di sgretolarsi. Da quando The Donald è tornato alla Casa Bianca, è iniziata la conta dei danni.

Su Scienza in rete abbiamo già scritto degli effetti nefasti di Trump sulla ricerca biomedica, ma che dire riguardo a quella ambientale?

«Ho lavorato fino all’ultimo minuto del mio impiego federale» e «ho fatto del mio meglio per concludere il mio lavoro prima di perdere gli accessi». È quanto dice a Science Kai-Yuan Cheng della NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration), una delle più note e migliori agenzie federali di ricerca ambientale che sta subendo i maggiori danni dai tagli del governo. A quanto si legge, ci sarebbero stati nell’arco di una settimana tra i 600 e i 900 licenziamenti, che hanno preso particolarmente di mira i neoassunti (spesso “in prova”) o coloro che erano stati recentemente promossi.

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Cheng lavorava in particolare per il Geophysical Fluid Dynamics Laboratory, che dal 1955 produce per la NOAA alcuni dei modelli meteorologici e climatici più rinomati al mondo, indispensabili sia per le previsioni meteorologiche degli Stati Uniti sia per quelle climatiche globali. Per esempio, riporta Science, durante l’anno in corso si sarebbe dovuto completare il progetto AM5 che sarebbe servito in modelli utili tanto alle compagnie assicurative quando alle stesse Nazioni Unite. Tuttavia,

due scienziati fondamentali per il progetto AM5, tra cui uno dei responsabili, sono stati licenziati la scorsa settimana. Entrambi avevano lavorato per molti anni come collaboratori esterni prima di essere finalmente assunti. Uno di loro ha dovuto anche attendere a lungo il completamento del processo di richiesta della cittadinanza statunitense. «Ho rinunciato alla mia cittadinanza per questo lavoro», ha dichiarato lo scienziato, chiedendo di rimanere anonimo per timore di attirare attenzioni indesiderate.

Segnaliamo che Science ha creato un comodo Trump Tracker, che tiene sotto controllo le malefatte dell’amministrazione contro la ricerca scientifica. Una delle ultime relative al clima è che il Congresso ha votato per abolire le multe per le aziende che emettono metano.

O ancora, è a rischio la collaborazione con Ai2, una no-profit che adopera i suddetti modelli per allenare un sistema previsionale basato su un’intelligenza artificiale che chiede una potenza di calcolo molto inferiore. «Con le intenzioni e le azioni incontrollate dell’attuale amministrazione, questa tragedia si concretizzerà rapidamente e sarà difficile da invertire», dice Chris Bretherton, lo scienziato a capo dei modelli climatici dell’organizzazione.

Dal sito della National Public Radio (NPR) si leggono le testimonianze di chi lavora nell’ufficio del National Weather Service della baia di San Francisco e Monterey. A servire 8 milioni di residenti in 11 contee ora c’è un meteorologo in meno e il «20% dei dipendenti rimanenti è idoneo per la pensione». Il lavoro di chi è stato licenziato ricadrà sulle spalle del personale già oberato. Fonti ulteriori confermano inoltre alla NPR che sarebbero stati licenziati quasi due dozzine di scienziati della NOAA dalla stazione nell’isola di Virginia Key a Miami in Florida. Con quali rischi? «Qualsiasi progresso che è stato fatto negli ultimi anni, inclusa la riduzione degli errori nella previsione della traiettoria degli uragani e nella previsione dell’intensità, penso sia sicuro dire che sarà compromesso», non una cosa da poco, ha dichiarato Rick Spinrad, amministratore NOAA con Biden.

Non sono solo le agenzie scientifiche federali a essere colpite, ma anche il Pentagono. Il vicesegretario del Department of Defense Robert Salesses «ha proposto un taglio di 50 miliardi di dollari al budget delle forze armate statunitensi», parlando di «“cosiddetto” cambiamento climatico e altri programmi “woke”». È quanto riporta un editoriale sul Scientific American che sottolinea anche quanto sia fuori scala il taglio proposto, considerato che il budget militare per l’adattamento climatico nel 2024 era di soli 3,7 miliardi.

Solo negli Stati Uniti, i disastri legati al clima e agli eventi meteorologici estremi hanno causato danni per 746,7 miliardi di dollari negli ultimi cinque anni, una cifra quasi sufficiente a coprire l’intero budget annuale del Pentagono.

Infami sgherri vibrano colpi mortali – direbbe Manrico in Trovatore. Ma non finisce qui: la fatale macchina trumpiana ha deciso di prendere a sassate anche l’archiviazione dei dati. E i dati sono tanti. Rispetto alla scorsa presidenza Trump, durante la quale si era notata una diminuzione del «26 per cento» di termini come climate change, clean energy e adaptation nei siti web ambientali federali, adesso è decisamente peggio. Da un editoriale sul Bulletin of atomic scientists:

Migliaia di dataset sono stati rimossi dai siti federali. Informazioni sul clima e sull’ambiente – da agenzie come l’EPA, il Council on Environmental Quality, la NOAA, la NASA, lo State Department e il Defense Department – sono stati eliminati o sono diventati virtualmente impossibili da trovare.

Rachel Santarsiero, direttrice del National Security Archive’s Climate Change Transparency Project, spiega al Bulletin che durante il primo governo Trump era rimasto intatto almeno il sito del Council on Environmental Quality. Adesso, se si digita l’URL dell’homepage whitehouse.gov/ceq (provateci!) si viene reindirizzati al sito della Casa Bianca (con tanto di faccione e dito di Trump a ricordare all’incauto avventore che «AMERICA IS BACK»). Che fine faranno – si chiede Santarsiero – i registri non più accessibili?

Stesso discorso se si provano a cercare su Google i programmi climatici della USAID. Confermiamo (al momento della scrittura di questo articolo) che i primi siti suggeriti restituiscono il messaggio Not found. Si può provare copincollando i seguenti url:

  • 2017-2020.usaid.gov/climate/integration
  • 2017-2020.usaid.gov/what-we-do/environment-and-global-climate-change
  • 2012-2017.usaid.gov/climate/strategy

Biden aveva creato l’iniziativa Justice40, che destinava il 40% di alcuni investimenti federali in clima ed energie rinnovabili a delle comunità svantaggiate. Per agevolare le decisioni di finanziamento veniva usata la piattaforma Justice Screening Tool: rimossa da Trump il giorno dopo dell’inaugurazione presidenziale. Per fortuna il codice era open source e la Public Environmental Data Partners aveva scaricato i dati rendendoli di nuovo disponibili.

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Sembrerebbe anche che l’amministrazione «stia bloccando l’accesso [a vari siti] dai paesi esteri, il che potrebbe minare la collaborazione e la ricerca scientifica transfrontaliere». E ad alcune pagine è stato rimosso il certificato del server, rendendo più complicato sapere cosa è stato realmente rimosso o no (non viene visualizzato nemmeno il famoso errore 404). Gli esempi segnalati di siti non più funzionanti o “svuotati” sono davvero abbondanti e ha poco senso qui allungarne l’elenco.

«Molte persone hanno detto: “archiviate tutta la NOAA.” Ma non succederà,» ha detto Gretchen Gehrke [scienziata ambientale e cofondatrice dell’Environmental Data and Governance Initiative]. «Giusto per divertirci un po’, abbiamo tracciato quanto costerebbe anche solo scaricare “tutta la NOAA”. Ci costerebbe 500mila dollari al mese in spazio di archiviazione – solo per ospitarlo, in archiviazione a freddo, senza nemmeno poterci accedere».

«La società civile non ha la capacità, né l’infrastruttura necessaria, né i diritti necessari, per raccogliere molti dei dati che il governo raccoglie e diffonde,» ha detto Gehrke. «Le piccole organizzazioni no-profit non invieranno satelliti per raccogliere dati climatici. Siamo alla mercé del nostro governo per raccogliere questi dati per il bene pubblico, e se decidono di non farlo, non credo che possiamo fare molto al riguardo».

«Sono grata di avere un posto dove concentrare la mia energia ed esercitare una forma di resistenza, […] penso che tutti noi dovremmo resistere in qualsiasi modo possiamo».

Resistere potrebbe significare andare anche in tribunale? Earthjustice, per esempio, ha fatto causa al Dipartimento dell’Agricoltura per chiedere all’agenzia di ripristinare dati e politiche climatiche rimosse dal web. Il Bulletin ci segnala che forse qualcosa sta forse funzionando: il mese scorso un giudice federale ha ordinato al Department of Health and Human Services, alla Food and Drug Administration e ai Centers for Disease Control and Prevention «di ripristinare i siti web e i set di dati essenziali per la salute pubblica, dopo che Doctors for America e Public Citizen avevano fatto causa alle agenzie».

L’editoriale su Science da cui siamo partiti scrive che il 4 marzo il Chief Human Capital Officers Council (che si occupa delle risorse umane anche della National Science Foundation) ha emanato delle nuove linee guida che stabiliscono che «spetta alle agenzie, e non all’Ufficio per la gestione del personale della Casa Bianca, avere l’ultima parola sulla decisione di procedere con questi licenziamenti».

Le azioni legali dimostrano che un po’ di anticorpi legali negli Stati Uniti esistono ancora. Come la si metta, che sia la strada più efficace o meno, non si può certo restare a guardare. Soprattutto considerando il fatto che dall’insediamento sono passati solo una quarantina di giorni.





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