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Milano – La malattia di Lyme, nota anche come borreliosi di Lyme, è un’infezione batterica trasmessa all’uomo attraverso il morso di zecche infette del genere Ixodes. I sintomi possono presentarsi anche molto tempo dopo la puntura e la diagnosi, in molti casi, non è facile. Raramente porta a conseguenze letali, ma può accadere, come è successo al ragazzino bresciano di 13 anni deceduto nelle scorse ora all’ospedale pediatrico Gaslini di Genova.
Le zecche si infettano nutrendosi del sangue di animali portatori del batterio, come roditori, cervi e uccelli. Una volta infette, possono trasmettere Borrelia agli esseri umani e ad altri animali attraverso il loro morso. Perché avvenga la trasmissione, la zecca deve rimanere attaccata alla pelle per un certo periodo. Di solito, il rischio è basso se viene rimossa entro 24 ore, ma aumenta significativamente dopo 36-48 ore di attacco, quando il batterio passa dalla zecca all’ospite attraverso la saliva.
La malattia di Lyme non si trasmette da persona a persona, né attraverso cibo, acqua o contatti casuali. Tuttavia, in rari casi, il batterio potrebbe essere trasmesso da madre a feto durante la gravidanza. Anche se alcune ricerche hanno trovato tracce del batterio in trasfusioni di sangue, non ci sono prove che la malattia si trasmetta in questo modo.
Il batterio responsabile è la Borrelia burgdorferi, identificato per la prima volta nel 1981. La malattia prende il nome dalla cittadina di Lyme, nel Connecticut, dove nel 1975 si registrò un’inspiegabile aumento di casi di artrite, soprattutto tra i bambini, associati a eruzioni cutanee e sintomi sistemici.
Le zecche vivono in erba alta, cespugli, margini dei sentieri e boschi umidi, preferendo altitudini tra 600 e 800 metri, ma possono trovarsi fino a 1.200 metri e in aree selvagge e urbane incolte. Sono più attive da aprile a ottobre e si attaccano ai vestiti prima di passare alla pelle per nutrirsi. Il rischio di contrarre la malattia di Lyme, quindi, è maggiore in aree boschive e umide, nei mesi più caldi (primavera-estate), quando le ninfe di zecca responsabili della maggior parte delle trasmissioni sono più attive, e tra le persone che trascorrono molto tempo all’aperto, come escursionisti, campeggiatori, cacciatori e lavoratori agricoli.
La malattia di Lyme si manifesta in tre stadi principali: precoce localizzato, precoce disseminato e tardivo. Nella fase precoce localizzata, che si verifica da tre giorni fino a sei-sette mesi dopo il morso della zecca, il sintomo caratteristico è l’eritema migrante. Questo si presenta come una macchia o papula rossa nel sito del morso, che si espande formando una lesione anulare spesso descritta come “a bersaglio”. L’eritema migrante compare nel 75 per cento dei pazienti e può essere accompagnato da sintomi simil-influenzali come febbre, mal di testa, affaticamento e dolori muscolari e articolari.
Se non trattata, la malattia può progredire alla fase precoce disseminata, durante la quale il batterio si diffonde nell’organismo. In questa fase, possono comparire lesioni cutanee secondarie, sintomi neurologici come meningite linfocitaria, paralisi facciale (paralisi di Bell) e radicoloneuropatie. Circa il 15 per cento dei pazienti non trattati sviluppa manifestazioni neurologiche, mentre l’8 per cento può presentare anomalie cardiache, come le miocarditi.
La fase tardiva della malattia, che può manifestarsi da sei-nove mesi fino a quattro anni dall’esordio, è caratterizzata principalmente dall’artrite di Lyme. Circa il 60-70 per cento dei pazienti non trattati sviluppa episodi ricorrenti di gonfiore e dolore alle articolazioni, in particolare alle ginocchia. Le articolazioni colpite possono presentare tumefazione intermittente e dolore, spesso associati alla formazione di cisti di Baker.
I decessi dovuti alla malattia di Lyme sono estremamente rari. La mortalità, in questi casi, è provocata da una miocardite che può interrompere il normale funzionamento elettrico del cuore.
La malattia di Lyme viene diagnosticata considerando i sintomi tipici, come l’eritema migrante, e il rischio di esposizione in aree endemiche. I test del sangue rilevano anticorpi contro Borrelia burgdorferi o Borrelia mayonii, ma possono risultare negativi nelle prime settimane o se il paziente ha assunto antibiotici precocemente. Gli anticorpi si sviluppano nel 95 per cento dei soggetti dopo un mese e permangono per anni, anche dopo la guarigione o in infezioni asintomatiche.
L’interpretazione degli esami del sangue è complessa: molte persone con sintomi come dolori articolari o debolezza temono una forma tardiva della malattia, sebbene non abbiano avuto sintomi iniziali. Poiché gli anticorpi restano a lungo, alcuni pazienti vengono trattati erroneamente con antibiotici inutili.
Le colture batteriche non sono affidabili, poiché Borrelia burgdorferi è difficile da coltivare. In alcuni casi, il medico analizza il liquido sinoviale o cerebrospinale tramite PCR per individuare frammenti genetici del batterio, permettendo una diagnosi più precisa.
La terapia della malattia di Lyme si basa sulla somministrazione di antibiotici. Nella fase precoce, il trattamento con antibiotici orali, come la doxiciclina, è generalmente efficace e porta a una completa guarigione. Nelle forme più avanzate o in presenza di complicanze neurologiche o cardiache, può essere necessaria la somministrazione di antibiotici per via endovenosa, come la ceftriaxone. È importante iniziare il trattamento il prima possibile per prevenire la progressione della malattia e lo sviluppo di complicanze.
Dopo il trattamento antibiotico, alcuni pazienti possono continuare a manifestare sintomi come affaticamento e dolori muscolari o articolari per diversi mesi. Questa condizione è nota come sindrome post-trattamento della malattia di Lyme. Tuttavia, questi sintomi tendono a scomparire spontaneamente nel tempo senza la necessità di ulteriori cicli di antibiotici.
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