la storia di Pedro, 40 anni dopo

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TRIESTE – Il 9 marzo del 1985 Pietro Maria Walter Greco, detto Pedro, veniva ucciso da agenti della Digos e dei servizi segreti in via Giulia. Greco, nato 38 anni prima a Melito di Porto Greco (in provincia di Reggio Calabria), all’epoca dei fatti risultava essere latitante e in attesa di comparire davanti ai giudici di Padova per il cosiddetto “7 aprile”, il maxi processo condotto contro Autonomia operaia. A distanza di 40 anni oggi pomeriggio qualche decina di militanti dell’area di quella che un tempo si sarebbe chiamata la sinistra extraparlamentare si sono dati appuntamento al civico 39 di via Giulia, proprio dove venne colpito da numerosi proiettili esplosi dagli agenti della questura di Trieste e dall’uomo del Sisde. 

Nunzio Romano era un uomo dei servizi segreti, mentre gli agenti Bensa, Passanisi e Guidi erano in forza alla Digos di via del Teatro romano. Questi i nomi dei quattro che tesero l’agguato a Pedro. La storia è particolarmente interessante, al di là del ricordo militante che a distanza di anni può rischiare di inquinarne la necessaria lucidità, perché lega elementi diventati a pieno titolo testimoni del coinvolgimento diretto di questa città nelle trame degli anni di piombo. Sono i socialisti ad affermare che con l’uccisione di Greco quegli anni sembrano essere tornati alla ribalta.

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La retata a San Giovanni

Il Corriere della Sera, a firma di Livio Sposito dice che “Trieste era sempre rimasta esente dalla violenza del terrorismo”, dimenticando che la bomba alla scuola slovena -test per piazza Fontana – non esplose solo per un difetto di fabbricazione. Pedro viveva in quella casa di via Giulia di proprietà di uno psichiatra dipendente del Comune di Trieste e in forza all’azienda sanitaria nell’ex ospedale psichiatrico. Si chiama Renato Davi e al momento della maxi retata della questura negli uffici dell’opp – che vedrà una protesta furibonda di Franco Rotelli – non c’è. Si trova in Brasile. La questura di Trieste porta 200 agenti e mette a soqquadro uffici e tutto ciò che è a tiro. Cercano Davi, scrive il Corriere il 13 marzo 1985. Identificano 25 “pregiudicati per reati comuni”, ma i servizi psichiatrici smentiscono. Si tratta di persone in cura.  

I comunicati della questura

Sui fatti di via Giulia la questura emette un comunicato, ma sono parole che si lasciano scrivere. Greco era disarmato. Gli agenti della Digos e dei servizi perquisiscono l’appartamento e portano via carte su carte. Avvenire cita la convinzione da parte degli inquirenti, guidati dal procuratore Ferruccio Franzot, di aver scoperto un vero e proprio covo di Autonomia operaia. Scalfaro, all’epoca ministro degli Interni, sospende gli agenti della Digos responsabili di aver ucciso Greco e manda a Trieste il vicecapo della polizia. Alcuni riflettori si accendono, ma in generale la storia rimane nebulosa. Sempre il 13 marzo dello stesso anno Il Manifesto punta il dito contro la questura giuliana. Per quale motivo? 

Il cortocircuito è sempre quello: Milano-Trieste

Perché il questore è Antonio Allegra, all’epoca di piazza Fontana capo della squadra politica della questura milanese e dell’ufficio da dove viene defenestrato l’anarchico Pinelli. Sembra un’altra storia, ma se collegate la bomba alla scuola slovena che non esplode, il test per piazza Fontana, l’uccisione di “Pedro” e le responsabilità delle istituzioni, ecco che il cortocircuito è bello che servito. Il Manifesto “ironizza” su Allegra e sui comunicati inviati per spiegare i fatti di piazza Fontana. “Ipotizzabile – si legge – che il tono del comunicato di sabato (per via Giulia) sia stato suggerito dall’antica esperienza del questore triestino”. 

Lo striscione apparso in piazza dei volontari giuliani oggi 9 marzo-2

Il terremoto in questura

Nel frattempo il capo della Digos (tale Bruno D’Agostino) viene destituito dall’incarico, con l’ufficio che viene preso in mano da Sergio Petrosino (che da giovane poliziotto si era infiltrato nei movimenti di sinistra triestini), poi anche capo della Squadra mobile e segnato anche dalla vicenda dei “veleni”.  Si crea il Comitato di contro inchiesta per chiedere verità e giustizia per la morte di Greco, ma ben presto la magistratura inizia a indagare sul gruppo. A fare arrestare la compagna di Greco (Gabriella D’Affara) è l’ex procuratore capo di Trieste Carlo Mastelloni, scrive il Comitato. Altro cortocircuito, altro giro, altra corsa. 

Poi gli agenti della Digos vengono assolti o condannati a pene irrisorie. L’ombrello c’è, non c’è, compare e sparisce magicamente, come a giustificare i proiettili esplosi contro Greco. Ieri erano 40 anni da quella storia, una storiaccia finita male. Dimenticavamo: al processo Greco non ci arrivò. Fu ucciso prima. 

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