Quando ho ricevuto Teorie critiche della disabilità. Uno sguardo politico sulle non conformità fisiche, relazionali, sensoriali, cognitive, non ho potuto fare a meno di pensare: finalmente. La raccolta di testi curata da Enrico Valtellina per Mimesis Edizioni nel 2024, infatti, colma un vuoto importante. Il libro introduce in Italia un dibattito inedito, quello che nasce dalla presa di parola delle persone disabili in ambito accademico e di attivismo.
Questa presa di parola si fa sentire, in altri contesti culturali, almeno dagli anni Novanta, se non dalla fine degli anni Settanta. Da allora, produce nuove modalità di intendere la disabilità che soppiantano quei modelli che purtroppo nel nostro paese sono ancora dominanti: il modello medico e quello caritativo. Lo stesso Valtellina, nel primo capitolo, rende conto dei numerosi contributi che hanno portato a delineare il modello sociale della disabilità. Si tratta di elaborazioni a cavallo fra attivismo e università, che raramente sono arrivate in traduzione italiana. Una recente eccezione è proprio uno dei testi seminali del modello sociale inglese, Le politiche della disabilitazione di Michael Oliver.
L’idea che la disabilità non sia una caratteristica intrinseca della persona, ma piuttosto il frutto di un’ideologia dominante che esclude una minoranza squalificando alcune sue caratteristiche considerate dei deficit, si rivela una vera e propria rivoluzione copernicana. Da qui nascono nuove domande, nuovi problemi, interi campi di studio, e, soprattutto, rivendicazioni politiche radicali. Quali sono dunque i campi di interesse che vengono presentati?
I disability studies come disciplina intersezionale
Il saggio firmato da Elisa Costantino ed Enrico Valtellina introduce i temi più recenti del dibattito, mostrando come ognuno di essi venga oggi affrontato in un’ottica intersezionale.
Un’ambito originale e spiazzante è quello della crip theory, innanzitutto. Questa sorge al crocevia fra teorie queer e visioni anti-essenzialiste della disabilità, grazie all’omonimo testo di Robert McRuer, da poco disponibile in italiano. Diversi sono i punti di contatto fra queste due comunità, dalla patologizzazione all’oppressione subita tramite il concetto egemone di “normalità”. Ma la stessa rivendicazione affermativa del termine “crip” (letteralmente: “storpio”), non può non ricordare la risignificazione del termine offensivo “queer”. McRuer elabora quindi il concetto di “abitudine all’abilità obbligatoria”, in analogia con quello di “eterosessualità obbligatoria”. Anche le altre autrici cardine di questo filone sono ampiamente debitrici alle teorie femministe e queer: fra queste vengono prese in esame le principali, Alison Kafer e Mara Pieri, che hanno sviluppato, in particolare, una serie di riflessioni sulla temporalità disabile.
Costantino e Valtellina fanno emergere il carattere intersezionale di tali studi, in relazione soprattutto al rapporto con il femminismo e con la sua lezione per cui “il personale è politico” e con gli studi decoloniali. Presentano quindi autrici particolarmente originali, come Jasbir Puar (The Right to Maim), che inserisce la critica disabile in un frame anticapitalista ampiamente stimolato dall’opera di Michel Foucault, e come Licia Carlson. Quest’ultima pone in modo estremamente fine la questione cognitiva, che è fondamentale per tutta una serie di discorsi che vengono evocati nella raccolta (in primis, quello sulla neurodiversità).
Nell’ambito dell’attivismo, Teorie critiche della disabilità presenta, con un saggio di Elisa Costantino, lo sviluppo del “Movimento per la Vita Indipendente”, che è stato capace di imprimere un passo diverso, non paternalistico, ai movimenti per i diritti disabili. Una proposta secondo la quale
le persone disabili esprimono a pieno il proprio diritto all’autodeterminazione, scegliendo un percorso esistenziale che corrisponde alle aspettative di ciascuna.
p. 100.
Questo tipo di approccio mette radicalmente in discussione l’idea di indipendenza come valore in sé che caratterizza la società capitalista, per promuovere, piuttosto, un’idea complessa di interdipendenza. Si tratta di puntare alla cosiddetta “autonomia dipendente”, fondata sulla relazionalità anziché sul mito dell’autosufficienza. In questo senso, è centrale il concetto di assistenza, anch’esso profondamente rivisitato:
il significato di autonomia non consiste nel fare le cose da sole, quanto piuttosto nella possibilità di scegliere e gestire le proprie assistenti personali.
p. 106.
Una conferma alla bontà di tale approccio è, peraltro, il breve saggio di Federica Baroni sull’Universal Design, che pone la questione di un’architettura davvero inclusiva, introducendo il dibattito in corso.
Infine, a testimonianza di quanto un approccio intersezionale alla disabilità possa aprire prospettive fino a pochi anni fa inaspettate, i critical disability studies entrano in un dialogo molto promettente con i movimenti antispecisti, grazie in particolare all’opera dell’attivista e artista disabile vegan Sunaura Taylor, il cui Bestie da soma è stato pubblicato pochi anni fa in Italia.
Deaf studies, mad studies, autism studies
Un campo particolarmente interessante è quello che emerge dalle istanze espresse dalle persone sorde, a partire dagli anni Settanta in U.S.A e U.K. Federica Baroni e Luca Des Dorides ricostruiscono nel loro contributo la storia di questo ambito interdisciplinare e quella dei rapporti con i disability studies. Anche qui, l’Italia sembra particolarmente indietro, fin da quando, a fine Ottocento, la lingua dei segni è stata ufficialmente relegata alla sfera informale, ritardando di fatto l’acquisizione di alcuni importanti concetti. Un concetto oggi fondamentale, quello di “audismo”, nato nel 1975, è stato recepito nel nostro paese soltanto nel 2021:
Discriminazione contro le persone sorde basata sulla credenza che la capacità di udire costituisca un elemento di superiorità, e sulle gerarchizzazioni, replicate anche nelle dinamiche interne tra persone sorde, che derivano dalle diverse abilità d’uso della lingua verbale.
p. 114.
Il dibattito che ne deriva coinvolge aspetti particolarmente sensibili, come la stessa identità sorda, il concetto di comunità, o quello di minoranza linguistica.
Una storia per certi versi analoga è quella degli autism studies, o meglio dei critical autism studies, tracciata da Enrico Valtellina. L’autismo – e il campo della neurodiversità in generale – è ormai un ambito di interesse multiforme, mutevole e politicizzato, in grado di esprimere una costante richiesta di demedicalizzazione e di presa di parola autonoma. Le ricadute epistemologiche relative alle nostre idee di malattia, cura, diversità, intelligenza, relazione, comunicazione sono imprevedibili e incalcolabili. Anche in questo caso, solo ora stanno arrivando in Italia alcuni testi fondamentali: si veda per esempio la raccolta L’autismo oltre lo sguardo medico e il recentissimo Politiche dell’autismo. Valtellina passa in rassegna gli spunti più significativi di autorə come Ian Hacking, Stuart Murray e Judy Singer, per poi evocare alcuni argomenti promettenti, come quelli derivanti dall’approccio antropologico all’autismo, o gli studi del rapporto fra autismo e genere.
Fa da controcanto a questa breve introduzione agli studi autistici il saggio di Lucia Amara sulla comunità di bambinə autistichə fondata da Fernand Deligny nel 1968. Si tratta della ricostruzione di un’esperienza di radicale messa da parte del linguaggio e della sua centralità, che ci costringe a rimettere in discussione la nostra visione del potere, dello spazio e del tempo, decostruendo profondamente le figure educative.
Accanto a queste discipline, il campo dei disability studies stimola, più o meno direttamente, ambiti di ricerca/attivismo, come i mad studies, che sorgono al crocevia fra movimenti anti-psichiatrici e movimenti disabili, come ricostruito da Luca Negrogno nel suo saggio. Oppure l’ambito dei freak studies, esplorato da Enrico Valtellina, ambito che pone con forza la questione dei corpi non conformi, cui di recente la rivista italiana Minority Reports ha dedicato un numero monografico.
Teorie critiche della disabilità dimostra come anche nel nostro paese si stia articolando un dibattito necessario che, muovendo dall’esperienza delle persone disabilitate e dall’attivismo, porta nuova linfa alla ricerca teorica, sconvolgendo una serie di concetti un po’ troppo “comodi”, come, per non citare che il più rappresentativo, quello di “inclusione”.
Come dicevo, “finalmente”: finalmente, un libro introduce in Italia un dibattito inedito. Finalmente, al posto del “parlare per” elaborato dalle istituzioni mediche, politiche e accademiche, osserviamo la presa di parola deə direttə interessatə. Ora si tratta, per prima cosa, di mettersi in ascolto.
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