Riarmarsi, ma con quali armi?

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Mentre l’Europa sta discutendo vivacemente su dove trovare i soldi per mettere in atto il suo grande piano di riarmo, sta avvenendo un dibattito parallelo ma altrettanto importante: quello su dove trovare le armi. La questione del riarmo è diventata urgente per quasi tutti i leader politici europei dopo che la politica del presidente americano Donald Trump nei confronti dell’Ucraina ha mostrato loro che gli Stati Uniti potrebbero non essere più l’alleato affidabile di un tempo.

Quasi tutti i leader sono decisi ad aumentare la spesa nella difesa dei propri paesi per migliorare le proprie capacità militari e rendersi autonomi dagli Stati Uniti, ma questo genera una contraddizione: date le carenze dell’industria militare europea, i paesi europei possono comprare armi quasi solo dagli Stati Uniti.

L’Europa possiede numerose società di altissimo valore nel settore della difesa, ma la sua industria militare è incompleta a più livelli. Al livello più alto molti dei sistemi d’arma più sofisticati, per esempio per quanto riguarda la difesa missilistica, sono prodotti esclusivamente dagli Stati Uniti. Ma le carenze esistono anche al livello più basilare: l’Europa, per esempio, non produce nemmeno abbastanza polvere da sparo per sostenere un conflitto armato in autonomia.

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Questo fa sì che finora il modo privilegiato per aumentare le proprie capacità militari sia stato comprare armi dagli Stati Uniti.

Un soldato polacco su un carro armato Leopard di produzione tedesca durante un’esercitazione nel 2023 (AP Photo/Michal Dyjuk)

Lo si vede bene per esempio in Polonia, che è il paese europeo che spende di più per la difesa in relazione al PIL: quest’anno spenderà il 4,7 per cento del PIL (l’Italia ha speso nel 2024 l’1,54 per cento). Il budget annuale per la difesa della Polonia è di circa 45 miliardi di euro all’anno, e il paese ha contratti di fornitura militare attivi con gli Stati Uniti per un valore totale di 60 miliardi di euro. Sono contratti pluriennali, per comprare armi e mezzi che vanno dagli elicotteri Apache ai carri armati Abrams ai caccia F-35, alcuni dei quali saranno consegnati tra più di cinque anni.

La quantità e la qualità degli investimenti mostra come al momento l’industria militare americana sia importante: in tutta Europa, il 55 per cento delle importazioni di equipaggiamenti per la difesa viene dagli Stati Uniti.

Questo non era ritenuto un problema fino a pochi mesi fa, quando gli Stati Uniti erano considerati un alleato solido. I paesi europei erano preoccupati all’idea del ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, ma nessuno pensava davvero che il presidente avrebbe messo in dubbio una relazione transatlantica che è stata inscalfibile dai tempi della Seconda guerra mondiale. Ma nelle ultime settimane tutto è stato rimesso in dubbio.

In particolare la decisione di interrompere gli aiuti militari all’Ucraina ha suscitato molte preoccupazioni in Europa, perché ha mostrato come i sistemi d’arma più sofisticati siano estremamente dipendenti dal sostegno e dall’intelligence statunitense. Per esempio i lanciarazzi HIMARS, che nel corso della guerra hanno avuto una grande importanza, da un giorno all’altro sono diventati molto meno utili perché gli Stati Uniti hanno smesso di condividere le informazioni e le coordinate necessarie per colpire obiettivi a lunga distanza.

Simili situazioni di profonda dipendenza esistono anche per i sistemi d’arma usati in Europa. Per esempio i caccia F-35, i più sofisticati attualmente sul mercato, dipendono dal sistema statunitense di gestione del software ALIS (che ha avuto molti problemi ed è in corso di sostituzione con un altro prodotto, sempre statunitense). Questo sistema gestisce gli aggiornamenti e la manutenzione dei velivoli: non è indispensabile per farli funzionare, ma senza di esso diventa molto più complicata la gestione degli aerei.

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Caccia F-35 americani fanno rifornimento mentre sorvolano la Polonia

Caccia F-35 americani fanno rifornimento mentre sorvolano la Polonia (Senior Airman Joseph Barron/U.S. Air Force via AP)

Un altro esempio riguarda il Regno Unito, il cui arsenale nucleare dipende da missili Trident di produzione statunitense, che vengono periodicamente inviati negli Stati Uniti per la manutenzione e i test. Senza i Trident, il Regno Unito non ha modo al momento di utilizzare le proprie bombe nucleari.

Alcuni esperti, secondo il Financial Times, hanno perfino iniziato a chiedersi se nei sistemi d’arma americani non siano presenti dei “kill switch”, cioè dei sistemi che possono disabilitare da remoto le armi fornite dagli Stati Uniti (per ora questa è soltanto un’ipotesi senza conferme di nessun tipo).

Se l’Europa vuole cambiare questa situazione sarà necessario non soltanto aumentare gli investimenti nella difesa, ma anche sviluppare un proprio complesso militare industriale, cosa che potrebbe richiedere anni, se non decenni.

Le discussioni in corso mostrano quanto potrebbe essere complicato. Per esempio, sempre secondo il Financial Times, Francia e Germania stanno discutendo sulla gestione del fondo da 150 miliardi di euro proposto dalla Commissione Europea per il riarmo: la Francia vorrebbe che l’intera somma fosse destinata all’interno dell’Unione Europea; la Germania invece ritiene che gli investimenti potrebbero essere aperti ad altri partner, come «il Regno Unito, la Norvegia, la Svizzera o la Turchia» (entrambi non contemplano gli Stati Uniti). Queste divisioni hanno già rallentato altri investimenti nella difesa in passato.



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