La nuova arte della guerra: iniziare conflitti illegali senza finirli

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Ursula Gertrud Albrecht in von der Leyen
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di Mattia Spanò

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“Combattenti di terra, di mare e dell’aria! Camicie nere della rivoluzione e delle legioni! Uomini e donne d’Italia, dell’Impero e del regno d’Albania! Ascoltate! L’ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria. L’ora delle decisioni irrevocabili. La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia”.

Il 10 giugno 1940 Mussolini annuncia all’Italia l’entrata in guerra. Quando si parla di quel periodo amaro si ondeggia fra l’indignazione un tanto al chilo e lo sberleffo omaggio, ma né l’una né l’altro aiutano un’analisi obiettiva. Eppure affogato nella retorica fascista di questo comunicato storico si annida un passaggio cruciale: “La dichiarazione di guerra è stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e Francia”.

Fino alla fine della II Guerra Mondiale era in vigore il “diritto di guerra”, il sistema di regole certe e condivise che affondava le sue origini nel diritto romano in base al quale le guerre iniziavano e soprattutto dovevano finire. Un viavai di carte bollate che fa sorridere la nostra mentalità segnata da un livello altissimo di informalità. Non dovrebbe, perché l’esito delle cose fatte alla carlona è il caos nel quale stiamo scivolando. In definitiva, a costo di ferire i sentimenti degli antifascisti burro e caviale, bisogna riconoscere che persino uno dei regimi più biechi della Storia rispettava le regole del gioco.

Dal 1945, con la firma degli armistizi e gli accordi di pace seguenti, nessuna guerra è stata legalmente dichiarata. Dalla Corea all’Ucraina passando per il Vietnam, gli innumerevoli conflitti bellici dal ’45 ad oggi sono tutti illegali. Sarebbe più corretto chiamarle razzie, scorribande armate su scala più o meno vasta. Da qui discendono i vari “pasticci” – si parva licet – combinati in Iraq, Libia, Siria, in Serbia e Kosovo, solo per citare quelli a noi più familiari.

La pace si fa con accordi di sfruttamento di ricostruzione: un colossale giro di appalti miliardari che si direbbero il vero collaterale che sostiene il dollaro. Multinazionali come Halliburton forniscono da decenni servizi logistici all’esercito americano, assicurandosi gli enormi appalti per la ricostruzione. Si direbbe un circolo vizioso destroy & rebuild back. La “distruzione creativa” del resto è uno dei cavalli di battaglia del Nuovo Ordine Mondiale e dei suoi civil servant come Mario Draghi.

La pace si fa, ma prima bisogna fare la guerra. Viene il sospetto che i riferimenti alla pace siano il pannicello caldo che deve coprire, e moralmente giustificare, il prolungamento della guerra. La Chiesa cattolica è l’incarnazione stessa di questo strabismo. Da una parte gli appelli del papa alla pace, dall’altra il comunicato del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee (di cui il vicepresidente è il cardinal Hollerich, vicino a Francesco e dato per papabile) sposa in pieno la linea della signora Von der Leyen: “aggressione ingiustificabile della Russia”, gratitudine all’UE per gli aiuti “finanziari e anche militari” all’Ucraina, la lotta per l’Ucraina “è cruciale per il destino dell’Europa e del mondo”.

All’interno di questo perimetro contradditorio abbiamo chiamato la guerra “missione di pace”, “esportazione di democrazia”, “rovesciamento di tiranni sanguinari”, “guerra al terrorismo”, “difesa dei diritti umani” con il coté delle “bombe intelligenti” e qualche accettabile “danno collaterale”, come i 500 mila bambini iracheni uccisi che non turbarono il sonno di Madeleine Albright.

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Ripetersi a pappagallo che la UE ci ha “garantito 70 anni di pace” mentre la Nato bombardava Belgrado o chiocciare come capponi spennati vivi se la Russia invade l’Ucraina chiamandola “operazione militare speciale” non cambia la sostanza: il comune denominatore è l’ambito ornitologico. Sono espedienti retorici per giustificare un numero incalcolabile di “aggressioni” alle orecchie ovattate dell’opinione pubblica occidentale trifolata nel benessere. Siamo onesti: ha funzionato alla grande.

Il problema è che nessuna delle guerre si è risolta con la pacificazione. Mentre scrivo, nella Siria pacificata dal terrorista moderato Al Jolani, saudita spacciato per siriano, sono in corso furiosi combattimenti fra le forze fedeli ad Assad e i nuovi padroni della Siria. La Libia è divisa fra il governo di Tripoli e quello di Bengasi in Cirenaica. L’Ucraina è a pezzi, e non tornerà più quella di prima. Le ferite aperte agendo cinicamente su faglie etniche e religiose vanno in suppurazione. Il risultato è un’insanabile frammentazione, che sembra essere il grande progetto dell’Occidente collettivo.

Dalla Russia al Congo, dall’Ucraina alla Libia, dalla Siria al Sudan, l’imperativo è triturare gli stati nazionali che si oppongono al Nuovo Ordine Mondiale incarnato dal globalismo liberal e woke, ecologico e inclusivo, in modo tale da annichilire qualsiasi soggetto possa disturbare il manovratore. Questo sottofondo è ben visibile attraverso le pieghe della retorica insopportabilmente maternalista che oggi chiede 800 miliardi per riarmare l’UE. Contro la Russia, contro gli Stati Uniti, magari contro i paesi membri e gli stessi cittadini europei che per qualsivoglia ragione ai diktat della Commissione Europea.

Un tratto comune a quasi tutti i leader occidentali – innanzitutto le autorità europee che si esprimono ad una voce – è l’erosione progressiva di tutti i principi d’autorità e del diritto che hanno governato larga parte dell’Occidente negli ultimi secoli. Andremo in guerra senza nessuna dichiarazione di guerra.

Si confronti l’incipit di Von der Leyen nel chiedere il riarmo dell’Europa con quello di Mussolini: “Stiamo vivendo il momento più cruciale e pericoloso dei nostri tempi. Non ho bisogno di descrivere la natura grave delle minacce che affrontiamo. O le conseguenze devastanti che dovremo sopportare se tali minacce dovessero concretizzarsi. Perché la questione non è più se la sicurezza dell’Europa sia realmente minacciata. O se l’Europa debba assumersi una maggiore responsabilità per la propria sicurezza. In verità, conosciamo da tempo le risposte a queste domande. La vera questione che abbiamo di fronte è se l’Europa è pronta ad agire con la stessa decisione che la situazione impone”.

L’azione senza pensiero e senza diritto è barbarie pura.

 

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