chi indebolisce Schlein fa un regalo a Meloni

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«In Europa i diritti di ogni persona sono diritti di tutti». Ricordo bene il sole di quella domenica d’estate, l’11 luglio 2021. Nell’ex campo di concentramento di Fossoli, eravamo in tanti ad ascoltare il presidente del Parlamento europeo David Sassoli. «I valori europei mettono paura, perché le libertà consentono uguaglianza, giustizia, trasparenza, opportunità, pace». Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, annuiva accanto a lui. «Non facciamo la guerra, non abbiamo neppure un esercito anche se sarebbe venuto il momento di averlo se non altro per risparmiare in inutili spese militari nazionali», aggiunse Sassoli. «Non imponiamo il nostro modello, cerchiamo di sviluppare diplomazia là dove c’è conflitto».

Sette mesi dopo, cominciò l’invasione della Russia in Ucraina. David non c’era più, se n’era andato qualche settimana prima, lasciando tutti più soli.

Quel discorso emozionante va letto, riletto e riletto ancora. Non per trarne qualche citazione, ma come un vero manifesto politico. Per quei valori vale la pena manifestare, anche sabato prossimo, quando molti usciranno di casa, rispondendo all’appello di Michele Serra. Per un’Europa che non c’è, più che per quella che c’è. L’Europa che Trump e Putin considerano una entità geografica. L’Europa che pure ha disatteso molte promesse.

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Ursula von der Leyen, che ieri affiancava Sassoli, oggi guida una commissione spostata su posizioni conservatrici, che fa dietrofront su immigrati, clima, difesa dello Stato di diritto. Ieri il futuro cancelliere tedesco Merz ha annunciato l’accordo Cdu-Spd: stretta sull’immigrazione, fine dei programmi di ammissione volontaria dall’Afghanistan, sospensione dei ricongiungimenti familiari.

È il quadro in cui l’Europa arriva a parlare in ritardo, e malamente, di difesa comune. Su Domani, nel merito, si sono già espressi Carlo Trigilia e Fabrizio Barca, Elena Granaglia, Andrea Morniroli. Con le sue fragilità, il piano Rearm può essere un punto di partenza, da accettare con realismo, come suggerisce il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ma non basta a reggere l’onda d’urto di Trump. Servono riforme sociali, più democrazia. Invece, sul sì al riarmo assistiamo in queste ore a dogmi, scomuniche, richieste di abiura, sacerdoti del bene e del male. Quando invece questo è il momento della ragione, della laicità, di esercizio di spirito critico: il primo requisito di noi europei.

Ieri e oggi un partito di governo va nelle piazze italiane per dire che Trump e Putin vogliono la pace e Macron e l’Europa cercano la guerra. Non c’è uno spettacolo analogo in nessuna parte d’Europa, almeno occidentale. Il promotore di questa iniziativa, Matteo Salvini, ha festeggiato il suo compleanno (oggi compie 52 anni) asserendo che la premier Giorgia Meloni è d’accordo con lui. Spetta a Meloni dimostrare il contrario, insieme al ministro Antonio Tajani: in pubblico non si è udita nessuna presa di distanza. In qualsiasi altro paese, si parlerebbe di questo, o dell’amicizia dei vertici del governo con l’attaché di Elon Musk, così sensibile da attaccare sui social due colleghi giornalisti sulla loro vita privata.

Invece, immancabilmente, l’animale collettivo che ama muovere le sue arguzie sulle colonne dei giornali preferisce accanirsi sulla leader del principale partito di opposizione, la segretaria del Pd Elly Schlein, rea di non essersi messa sugli attenti di fronte al piano di riarmo. È stata accusata di anti-europeismo e perfino di filo-trumpismo da chi fino a un minuto prima non poteva neppure sentir nominare un’Europa separata da Washington, o di essersi distinta dai socialisti europei. Ma nella foto di gruppo del Pse, se si eccettua lo spagnolo Pedro Sanchez, schierato senza se e senza ma con l’Ucraina (come Schlein), ma più vicino su investimenti comuni e priorità sociali, tutti gli altri, o quasi, rappresentano forze sconfitte, in declino. A cominciare dal Spd di Scholz, precipitata due settimane fa al 16 per cento, il risultato peggiore dalla fine della seconda guerra mondiale, umiliata dall’estrema destra di Afd, superata a Berlino dal partito di sinistra la Linke.

In Francia i socialisti alle ultime elezioni europee di un anno fa hanno preso meno del 14 per cento: i voti che i sondaggi attribuivano al Pd italiano al momento dell’elezione di Schlein a segretaria. Figure autorevoli come Luigi Zanda e Arturo Parisi, hanno espresso dure critiche, ma sono fuori dalla contesa. Altri restano silenziosi. Fin qui Schlein ha tenuto unito il Pd, nonostante le differenze, in quel partito è la sola ancora in grado di farlo. Aprire la corsa per mandare via la leader significa invece fare un grande regalo a Giorgia Meloni, e soprattutto a Giuseppe Conte. A meno che la prospettiva finale non sia una maggioranza Ursula 2 all’italiana, con il Pd dimezzato ridotto a fare l’alleato minore dei partiti conservatori, come nel resto d’Europa. Uno spettacolo già visto, con risultati elettorali infimi, nel 2018 e nel 2022. Ma se l’obiettivo è questo, meglio dichiararlo.

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