L’anniversario
Trentacinque anni fa a Capo d’Orlando nasceva la prima associazione anti estorsioni. Tra i giovani imprenditori di allora, attivi nella lotta al racket, c’era Tano Grasso
La prima associazione antiracket d’Italia festeggia i suoi primi 35 anni di attività e lo fa a Capo d’Orlando, in provincia di Messina. È qui che è nata Acio, (l’associazione commercianti imprenditori orlandini) che iniziarono a ribellarsi al pizzo che veniva richiesto dai turturiciani. In sette si incontravano nella sacrestia della chiesa Cristo Re. Una sorta di riunioni “carbonare” in una terra, la Sicilia, dove mafia e colletti bianchi primeggiavano nelle scelte strategiche territoriali. A sostenere questo moto di ribellione c’era padre Totino Licata che ieri ha fatto ritorno in città dopo il trasferimento immediato alla vigilia del primo pocesso contro il racket dinnanzi al tribunale di Patti.
Tra i giovani imprenditori anche Tano Grasso che «vinniva scarpi», racconta. Da sette poi diventarono 27, ora sulla città di Capo d’Orlando la bandiera della ribellione sventola orgogliosa perché da qui il movimento antiracket ha iniziato a muovere i suoi passi e si è esteso in tutto il territorio nazionale tanto da vantare due territori, Ercolano in Campania e Vieste in provincia di Foggia libera dal giogo del racket. Grasso adesso guarda l’evoluzione da lontano «e continuo a fare quello che facevo trentacinque anni fa ma in maniera differente». Ha scelto di fare un passo indietro ed «evitare l’identificazione del movimento con la mia persona» perché la grande sfida è quella «di un movimento collettivo dove ciascuno componente si prende cura dell’altro». Lui è sempre lì, dietro le quinte, e non si ferma quando c’è un gruppo di imprenditori che bussa alla sua porta. «Se oggi potessi – dice – cambierei tutti gli statuti delle associazioni affinché il presidente possa fare un solo mandato. Così si fa squadra e si evitano gli incidenti».
Continua a fumare il sigaro, così come 35 anni fa. I capelli già non ce li aveva. Di strada ne è stata fatta «trentacinque anni fa avevamo un bicchiere completamente vuoto. Adesso il bicchiere è mezzo pieno». È mezzo pieno perché c’è stato chi ha denuncia «e nessuno più lo ha avvicinato», ma nello stesso tempo è mezzo vuoto «perché ancora tantissime persone non denunciano. La cosa sta diventando inquietante. Trentacinque anni fa si denunciava perché molte persone erano impaurite, adesso non lo si fa perché hanno una ragione di convenienza: pagano il pizzo e ottengono benefici. La mafia oggi è meno aggressiva di quegli anni, sono rari gli attentati e la mafia avanza meno pretese. E poi c’è da considerare un fatto storico: dopo le stragi del ’92 cambia completamente la sensibilità collettiva nei confronti della mafia».
Oggi il vecchio pizzo è andato in soffitta, i criminali hanno cambiato strategia e lo stanno facendo da qualche tempo a questa parte. Dalle false fatturazioni e poi offre servizi: dall’intermediazione tra aziende per vicende di concorrenza fino a realizzare un filtro nelle controversie sindacali. Una mafia che cambia volto. Non spara, cerca sempre soldi da reinvestire e lo fa spesso con un contratto di lavoro tra le mani anche se di fatto l’operaio nel cantiere non ci mette mai piede.Di acqua ne è passata sotto i ponti da quel dicembre del 1990 quando a Capo d’Orlando è nata la prima associazione antiracket d’Italia. Subito dopo a Palermo l’omicidio di Libero Grassi (ieri erano presenti i suoi figli) che ha scritto una lettera al “caro estortore”, un anno dopo a Gela quello di Gaetano Giordano estratto a sorte perché non voleva pagare il pizzo. Ora la mafia non spara più perché dopo le stragi del 92 si è avuta una consapevolezza maggiore «ma non si deve mai abbassare la guardia – ricorda Tano Grasso – perché loro stanno lì pronti a trovare le prede a cui risucchiare denaro e affari». Il registro del malaffare, dopo 35 anni, non è mai cambiato. Anzi ha cambiato pelle grazie a quei rapporti di convenienza che ancora oggi si creano tra coloro i quali vogliono arricchirsi grazie a quelle convivenze scomode che soffocano il piccolo imprenditore fino a costringerlo ad abbassare la saracinesca.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA
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