Negli ultimi giorni si è parlato molto, a proposito del Papa malato (al quale auguro di rimettersi al più presto) di “spes contra spem”, cioè di “speranza contro ogni speranza”. Un concetto con il quale siamo costretti purtroppo a fare i conti spesso, perché molte sono le occasioni nella vita in cui sperare, anche se tutto lascia presagire il peggio, è indispensabile per continuare ad andare avanti e ad assegnare un senso alle nostre azioni, specie nel contesto dell’impegno pubblico e civile. Si spera, quindi, che buone parole e atti concreti facciano volgere in meglio l’andamento della società, e lo si fa anche se le notizie che ci raggiungono da ogni angolo del mondo non sono certo incoraggianti.
Negli ultimi giorni, ad esempio, sono rimasta particolarmente colpita da due notizie davvero brutte e deprimenti, contro le quali sperare può sembrare un esercizio quasi completamente astratto e sganciato dalla realtà. Mi riferisco a due eventi diversi per dinamiche e contesti, ma che hanno molto in comune. La prima riguarda un senzatetto che è stato pestato a Napoli, a colpi di spranga di ferro, e la seconda si riferisce invece a un disabile che è stato prima deriso e poi picchiato a Pisticci (in Basilicata). Notizie in sé terribili, ma che diventano ancora peggiori quando si apprende che ciò che le accomuna sono gli autori: in entrambi i casi, infatti, si è trattato di giovani, anzi, giovanissimi.
Violenza e divertimento nel picchiare deboli
Chi ha assistito alle due scene di incomprensibile violenza, aggiunge un altro punto in comune tra i due fatti: perché non c’è stata solo violenza ma anche divertimento. Ridevano quei giovani criminali, urlavano come scimmie e si divertivano picchiando un senzatetto, una persona senza casa, che dorme all’aperto a febbraio. E lo facevano per l’unico insopportabile motivo del divertimento. Non è la mancanza del movente che fa la differenza: una rapina non sarebbe stata certo un motivo migliore, ma il gesto di violenza pura, fine a sé stessa, aggiunge il senso dell’abietto e della crudeltà. Circostanze, capite bene, che mettono a dura prova l’esercizio della speranza e di uno sguardo sul domani che possa avere almeno il pallido colore dell’ottimismo.
Mi sono chiesta chi siano questi giovani. Non gli autori materiali delle due vigliacche aggressioni che ho descritto, ma in genere: chi sono questi individui che si divertono del dolore altrui, inflitto senza scopo né causa? Sono ragazzi poco svegli che si sono fatti prendere la mano dal Carnevale degli orrori, credendo di vivere in un film di Kubrick? Oppure sono annoiati, depressi, deboli che si fanno forti nel branco? O sono semplicemente e irrimediabilmente malvagi? Quando dico “poco svegli”, penso ai film ai quali questi sbandati alle volte sembrano ispirarsi. Perché quei falsi eroi, quei miti della violenza, alla fine del film finiscono sempre tutti male. Ma questi ragazzi alla fine del film evidentemente non ci arrivano mai, perché si addormentano prima. E dovremmo urgentemente fare qualcosa per svegliarli. Ma cosa?
Il rugbista che sventa rapine
Sperare non può bastare; tuttavia la vita a volte sembra sappia mettere le cose a posto da sola. Non in un pareggio dei conti, come se una contabilità equilibrata tra notizie buone e cattive potesse farci dormire tranquilli, ma in una rinverdita consapevolezza che non ci sono solo quei giovani lì. Ed ecco infatti che, proprio mentre il barometro della speranza langue, arriva un ragazzone di poco più di vent’anni, rugbista, che sventa due rapine placcando i malviventi. Ora non è la prova di coraggio quel che conta di più, ma l’insofferenza che questo ragazzo – Paolo Fuoco si chiama, non a caso – dichiara di provare per l’indifferenza e per tutti quelli che in occasioni del genere si voltano dall’altra parte. Beato il paese che non ha bisogno di eroi? Sì, certamente, ma fortunato anche quello in cui si riesce ogni tanto a riconoscere un buon esempio e a trovare un motivo per sperare.
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