Daniela Fumarola.
di Chiara Pelizzoni e Francesco Anfossi
L’8 marzo è l’occasione per fare il punto sulla condizione femminile nel mondo del lavoro, tra divari retributivi, difficoltà di conciliazione e ostacoli alla carriera con Daniela Fumarola. Un tetto di cristallo, spiega, che prima o poi cederà, soprattutto se ci sarà unità e compartecipazione dell’altra metà del cielo. La neo segretaria nazionale della Cisl ha dedicato tutta la sua vita a denunciare le disuguaglianze e valorizzare il contributo femminile nel mercato del lavoro, e qui spiega i principali ostacoli da superare.
Segretaria Fumarola, i dati dell’Inps confermano che il divario occupazionale e retributivo tra uomini e donne in Italia è ancora molto ampio. L’Italia ha perso 24 posizioni nel Global Gender Gap Report del World Economic Forum. Le donne percepiscono in media il 20 per cento in meno di stipendio. Quali sono, secondo lei, le cause principali di questa disparità?
«Il cuore del problema sono le difficoltà di conciliazione vita-lavoro e la scarsa condivisione del lavoro di cura, per cui spesso le donne non cercano lavoro, molte di quelle che lavorano “scelgono” un part-time, l’utilizzo dei congedi parentali è fortemente maggioritario tra le donne, molte si dimettono al momento della prima gravidanza, e la maggior parte sul posto di lavoro evitano straordinari, trasferte, etc. Tutto ciò spiega anche la disparità retributiva ed il conseguente divario pensionistico. Si tratta di una auto-discriminazione, ben più grave di una semplice discriminazione, perché più subdola».
Le donne sono più istruite degli uomini, ma faticano ad accedere a ruoli di vertice. Solo l 20 per cento dei dirigenti aziendali è costituito da donne. Quali misure propone la CISL per promuovere una maggiore presenza femminile nelle posizioni apicali?
«Le donne non hanno una minore preparazione e competenze rispetto ai colleghi uomini. Tutt’altro. Ma, come già detto, la maternità ed il lavoro di cura in generale rappresentano l’ostacolo maggiore per lo sviluppo della carriera, visto che in Italia una donna su cinque abbandona il lavoro dopo il primo figlio. E’ difficile sfondare il tetto di cristallo se si rimane appiccicate al pavimento. Esistono anche dei pregiudizi sociali e culturali che frenano le carriere di molte lavoratrici, soprattutto a parità di anzianità e di produttività».
Uno dei nodi centrali della questione femminile è la conciliazione tra lavoro e vita privata. Quali politiche ritiene fondamentali per supportare le donne in questo equilibrio?
«Non è un caso che purtroppo l’Italia abbia il tasso di occupazione femminile più basso in Europa. Una donna su due non lavora nel nostro Paese. Bisogna in primo luogo favorire l’ingresso e la permanenza delle lavoratrici nel mercato del lavoro sia potenziando i servizi per l’infanzia e gli anziani sia promuovendo con incentivi la contrattazione per sostenere tutte le aziende e tutti gli enti pubblici che introducano una diversa organizzazione del lavoro, puntando su misure di flessibilità nell’orario e organizzative in modo da favorire una migliore conciliazione vita-lavoro e condivisione del lavoro di cura, a partire dal lavoro agile, con l’attenzione che tali misure siano utilizzate in maniera equilibrata da lavoratori e lavoratrici».
Quali azioni metterebbe in campo non solo per non penalizzare ma per valorizzare la maternità di una donna che lavora?
«Dobbiamo sostenere la natalità, che è una vera emergenza nel paese, e nel contempo sostenere le lavoratrici madri. Resta centrale favorire l’utilizzo dei congedi parentali da parte dei padri, aumentandone la quota retribuita, come la Cisl chiede da tempo. La legislazione ha visto miglioramenti, soprattutto nell’ultima legge di bilancio, ma finchè una parte consistente dei periodi di congedo resta retribuita al 30%, saranno ancora quasi sempre le donne ad utilizzarli perché, oltre alle motivazioni culturali, solitamente nelle famiglie si tenderà a rinunciare al reddito inferiore, in un circolo vizioso. Va nella giusta direzione anche l’esonero contributivo per rafforzare la busta paga delle lavoratrici con due figli e, dal 2027, con tre figli, ad evitare che lascino il lavoro. La legge di bilancio ha reso strutturale la misura. Ma, alla luce del dato sulle donne cha lasciano il lavoro alla prima gravidanza, perché la misura abbia un impatto significativo andrebbe allargata alle donne con un solo figlio, tanto più nella formula adottata che la prevede per i soli redditi non superiori a 40.000 euro. Va poi rafforzato l’assegno unico ed universale. Ma soprattutto bisogna potenziare i servizi per l’infanzia e per gli anziani. In Italia sono meno di 200 mila i bambini che frequentano un asilo nido. Sette su cento non frequentano nemmeno la scuola dell’infanzia. Ma servono anche tempo pieno a scuola e centri estivi, non ci si può fermare alla fascia di età 0-3 anni. Il divario tra le regioni del nord e quelle del centro -sud sul piano dei servizi sociali è ancora grave, un divario davvero inaccettabile. Va anche attuata bene e in fretta la legge sulla non autosufficienza».
Il divario di genere si riflette anche sulle pensioni, con assegni mediamente più bassi per le donne. Quali interventi sarebbero necessari per correggere questa iniquità sociale?
«Affrontare le difficoltà delle donne sul lavoro significa affrontare anche il divario pensionistico che le colpisce. Le donne e i giovani sono penalizzati da carriere discontinue e dal calcolo interamente contributivo. Bisogna costruire le condizioni per una pensione di garanzia, coprendo i buchi previdenziali, estendere e rendere più vantaggiosa la previdenza complementare, conteggiare alle donne un anno di contributi in più per ogni figlio. Dobbiamo puntare a un patto intergenerazionale che da un lato non metta in competizione giovani e anziani nei luoghi di lavoro e dall’altro renda più flessibile e inclusivo il sistema previdenziale. La riforma delle pensioni deve accompagnarsi ad un piano di turnover basato anche su politiche attive adeguate, che assicurino qualificazione e orientamento mirati nel mercato del lavoro di ogni territorio».
È favorevole alle quote rosa?
«Certo che siamo favorevoli. La Cisl è stata tra le prime organizzazioni sindacali a garantire quote di genere in tutti gli organismi della Confederazione. Ma non bastano le quote obbligatorie a risolvere il problema. Come detto, occorre dare alle donne la possibilità di crescere e di fare carriera al pari dei colleghi uomini in tutti i contesti istituzionali, sociali, economici».
È vero che le donne si infortunano maggiormente sul lavoro? C’è una minore tutela?
«È un fenomeno grave che è cresciuto negli ultimi anni, in tutti gli ambiti lavorativi come ben ha evidenziato anche il nostro Report sulla sicurezza sul lavoro. Gli infortuni in itinere e le malattie professionali riguardano spesso tante donne lavoratrici. Noi abbiamo proposto un patto per la sicurezza tra le istituzioni e le parti sociali per fare molta più formazione e prevenzione nei luoghi di lavoro. Ed occorre cominciare dalla scuola perché i giovani saranno i futuri imprenditori e lavoratori, mettendo al servizio della sicurezza anche le nuove tecnologie».
Lei è da poco alla guida della CISL: quali sono le sue priorità per il sindacato nei prossimi anni?
«Noi continueremo a rappresentare i bisogni concreti e le istanze dei lavoratori, dei pensionati, dei giovani e delle donne che oggi ci chiedono nuove tutele e nuovi diritti, ma soprattutto il rispetto della dignità della persona e del loro lavoro. La prima emergenza resta quella di far crescere il paese, alzare salari e pensioni, diminuire le tasse ai più deboli e al ceto medio, riaprire il tavolo sulla riforma previdenziale, sbloccare investimenti pubblici e privati con la priorità di consolidare le politiche attive ed elevare qualità e sicurezza del lavoro. Per fare tutto questo occorre un patto tra soggetti responsabili, mettendo al centro il riformismo sociale su obiettivi strategici comuni e con una evoluzione delle relazioni sociali ed industriali in senso partecipativo».La precarietà e il lavoro sottopagato sono due problemi che colpiscono in particolare i giovani. Come intende la CISL tutelare le nuove generazioni nel mercato del lavoro?
«Bisogna estendere la buona contrattazione nei settori in cui non è applicata, combattere quelle forme di sfruttamento come i falsi tirocini, le false partita iva, le cooperative spurie. Ma soprattutto serve il più grande investimento di sempre su competenze, formazione e politiche attive, verso un nuovo statuto della persona, con una rete istituzionale e sussidiaria che assicuri a tutti sostegno al reddito, formazione e orientamento nel mercato del lavoro. Il lavoro temporaneo è in diminuzione da 3 anni, in concomitanza anche con la carenza di personale che le aziende denunciano in un caso su due, come ci dicono i dati Excelsior, ma purtroppo a finire nella trappola dei lavori precari e sottopagati, così come a rimanere bloccati nel bacino dei Neet, sono i giovani meno preparati e non in possesso delle competenze richieste dal mercato».
Il sindacato deve adattarsi alle trasformazioni del mondo del lavoro, dalla digitalizzazione alla gig economy. Quali strategie state mettendo in campo per rispondere a queste nuove sfide?
«Noi non temiamo la sfida delle nuove tecnologie o dell’intelligenza artificiale. Ma bisogna guidare e non subire i cambiamenti, accompagnarli con la giusta formazione che deve diventare un diritto-dovere universale e soggettivo, un impegno per tutti i lavoratori. Una evoluzione che dobbiamo portare avanti nella contrattazione come stanno facendo già tante categorie. Le macchine non potranno mai sostituirsi alle creatività, alla sensibilità, al valore delle persona. Ma è soprattutto una evoluzione partecipativa delle relazioni industriali, come stabilito dalla proposta di legge fortemente voluta dalla Cisl, che ora andrà al Senato per l’approvazione definitiva,che consentirà di stabilire il principio secondo il quale i rappresentanti dei lavoratori hanno diritto a partecipare all’implementazione, alla gestione e alla valutazione degli effetti dell’AI sulla qualità della vita lavorativa per rafforzare ulteriormente la contrattazione collettiva. Quanto alla gig-economy siamo impegnati a costruire nuove forme di rappresentanza per unire le isole di questo arcipelago e trasformarle in una comunità organizzata».
Quale messaggio vorrebbe mandare alle donne che oggi lottano per affermarsi nel mondo del lavoro?
«Di non arrendersi di fronte alle tante difficoltà, e di sentirsi padrone del proprio destino partecipando senza paura, entrando nei luoghi di decisione, lottando contro ogni forma di discriminazione e soprattutto di non auto-limitarsi».
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