Il Comitato Orto Bertoni raduna amministratori e cittadini: ancora percorso ad ostacoli per i ristori e nessuna certezza su come restare all’asciutto

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Conto e carta

difficile da pignorare

 


I faentini alluvionati si ritrovano, vedono la grande attività del Comitato di quartiere, incontrano gran parte della Giunta comunale e si ritrovano come un anno fa: senza la certezza di rimanere all’asciutto nel futuro prossimo, con la certezza che per avere il ristoro dei danni ci vorrebbe un machete per tracciare un sentiero nella giungla della burocrazia che con rassegnazione viene fatta passare come osservanza alle leggi.

“Chiedere per avere qualcosa in più del poco”

Il quartiere a sud di Faenza a cui per strada si accede esclusivamente da Via Amleto Bertoni si prese una solenne batosta tra il 16 e il 17 maggio 2023 quando l’acqua del quasi adiacente fiume Lamone invase abitazioni e quant’altro; i residenti si ritrovarono a riaccendere il motore del Comitato Orto Bertoni, nato qualche anno prima per contrastare (con successo) l’apertura in loco di una sala giochi. Nella serata di giovedì 6 marzo il Comitato ha convocato un’assemblea nell’aula grande del complesso ex Salesiani per fare il punto della situazione a 20 mesi dal disastro e per incontrare rappresentanti dell’Amministrazione Comunale.

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Il presidente del Comitato, Stefano Gagliardi, ha preparato al meglio l’incontro, riassumendo in schermate video di grande chiarezza il “cosa è stato fatto”, il “cosa si voleva e si vuole”, il “cosa si deve continuare a chiedere”; la partecipazione è stata forse l’aspetto più deludente: la riunione non era vietata a persone comunque interessate, ma di sedie vuote se ne sono viste tante; atmosfera rarefatta ben distante da occasioni precedenti in cui non c’erano più posti in piedi. Tutto ciò in una serata di cielo sereno, di temperatura non bassa e senza eventi sportivi in televisione da non “bucare”.

Il Comune si presenta in forze

La Municipalità si è presentata quasi al gran completo, lasciando a casa i soli assessori Simona Sangiorgi e Davide Agresti, con il sindaco Massimo Isola, il vice sindaco Andrea Fabbri, gli assessori Luca Ortolani, Massimo Bosi e Denise Camorani; con loro c’erano la dirigente del Settore Lavori Pubblici ingegner Patrizia Barchi, l’architetta Lucia Marchetti (dirigente del Settore Ricostruzione dell’Area Lavori Pubblici dell’Unione dei Comuni della Romagna Faentina) ed Antonella Altini del Servizio Personale e Organizzazione dell’emergenza 2023 dell’Unione della Romagna Faentina.

Perizie, il freno alle domande di ristori

Ad aprire la “tre ore” di assemblea è stato Stefano Gagliardi, il quale ha evidenziato come la messa in sicurezza del territorio stia attraversando un’evidente e preoccupante fase di stallo, in quanto mancano le direttive per eseguire le opere necessarie, quindi ha presentato la serie di interventi chiesti dai Comitati riuniti in assenza di quei Piani Speciali, che colpevolmente tardano ancora. Altro argomento di primissimo piano le perizie che servono per potere avviare le pratiche di richiesta di ristori. “Fino a un mese fa eravamo al 3 per cento di quelle attese – ha sottolineato Gagliardi -; il decreto per l’utilizzo del credito d’imposta doveva essere pronto a febbraio 2024 ma ancora non c’è”.
Hanno seguito l’intervento del presidente Gagliardi quelli di Lucia Marchetti e di Antonella Altini, le quali hanno illustrato l’andamento delle domande di ristoro verso i privati in ambito comunale e sulla piattaforma “Sfinge”, la situazione delle stesse e i loro esiti: una serie di numeri interessanti illustrati con apposite videate, ma di difficile “digestione” in un contesto come quello dello scorso giovedì sera.

La Regione cambia assetti, la Struttura Commissariale meno

Alle 21 ha preso la parola il sindaco Isola che ha affermato come ci sia in atto una svolta nel percorso di ricostruzione, con l’avvento il 24 gennaio del Commissario Curcio al posto del generale Figliuolo, il quale ha però lasciato al successore “in eredità” la Struttura da egli create che è sostanzialmente composta da personale di vario grado dell’Esercito e pare che non ci sia all’orizzonte un cambiamento in senso “civile”, seppure con modelli e schemi diversi da prima.

“Svolta perché abbiamo due soggetti decisivi che sono la Regione Emilia-Romagna e la Struttura Commissariale che negli ultimi mesi hanno subito una trasformazione importante – ha sottolineato il primo cittadino -. Con le elezioni la Regione ha un nuovo assetto, anche nuovi interlocutori, un nuovo impianto organizzativo in merito alle questioni di Protezione Civile e di azioni rispetto al tema alluvioni. Abbiamo visto che la Regione sta lavorando per darsi una nuova organizzazione in discontinuità con quella precedente”.

Mercoledì 12 marzo si terrà un incontro esclusivamente sui temi faentini col dottor Loffredo, il capo di Gabinetto del Commissario Curcio, mentre mercoledì 19 marzo a Bologna è in programma un incontro fra il Commissario Curcio, figure di primo piano e tecnici della Regione e una delegazione dell’Unione della Romagna Faentina guidata da Isola.

“Fra i temi aperti c’è quello dei cosiddetti ‘modelli idraulici’ – ha aggiunto il sindaco -: alla base del Piano Speciale doveva esserci un nuovo grande studio affidato all’Autorità di Bacino che doveva generare quei modelli su cui costruire delle risposte: su quanto dovevamo alzare una costruzione, a quale distanza dai fiumi, se ricostruire o no in alcune zone, se prevedere delocalizzazioni, le caratteristiche del nuovo Ponte delle Grazie. Ora aspettiamo con grandissima ansia che questi ‘modelli’ arrivino, perché senza non riusciamo a generare azioni”.

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Alluvioni: del doman non v’è certezza

Concluso l’intervento di Massimo Isola, dalla platea si è alzato un cittadino che ha posto la “domanda delle domande”: “Al sindaco chiedo ad oggi, dopo quasi due anni dalla grossa alluvione, se piove come è piovuto in quell’occasione cosa succede? Viene di nuovo l’alluvione, più o meno? È così?”.

“Con lo schema operativo che ci siamo dati, è un po’ difficile da illustrare in un’assemblea – ha replicato Isola -. Al momento tutti gli Enti, la Struttura Commissariale, la Regione, il Comune, stanno lavorando per fare in modo che ciò non succeda, per costruire dei sistemi difensivi più forti di quelli precedenti. La Struttura Commissariale ha dato soldi per la ricostruzione come era prima e a noi non ci sta bene, perché vogliamo migliorare”.

Mormorio e gelo in platea e cittadino non soddisfatto: “Ho la convinzione che è più facile che venga un’altra alluvione piuttosto che vengano fatti i lavori per evitarla”.

Ristori ad ostacoli

L’assemblea è poi passata ad altri argomenti: uno di questi è l’irritazione che ha provocato negli alluvionati il fatto che i ristori economici permettano di rimettere il tutto come era prima dell’alluvione, ma non paghino lavori specificamente migliorativi. In altre parole le paratie impermeabilizzanti uno se le deve pagare; se in una stanza l’acqua è arrivata a 2 metri viene rimborsata la tinteggiatura fino a quel livello ma non fino al soffitto! Esempi estremi ma che rendono l’idea di una situazione complessivamente incresciosa per coloro colpiti dal disastro e ai quali neanche un mese dopo fu promesso il 100 per cento di rimborso del danno.
Intorno alle 22 hanno preso la parola prima Luca Ortolani poi Massimo Bosi che hanno illustrato alcuni lavori post alluvione in corso e prossimi alla realizzazione nella zona Orto Bertoni e all’installazione di alcune idrovore in punti strategici della città per far fronte a situazioni d’emergenza che si dovessero verificare da domani.

Bosi, in particolare, ha annunciato l’istituzione di un gruppo di volontari debitamente formati per il monitoraggio degli argini dei fiumi, i quali entreranno in azione a fine mese.

La disubbidienza intelligente che crea disuguaglianze

Verso la conclusione dell’incontro un giovane ha posto una domanda: “In un’intervista del 24 settembre 2024 il sindaco Isola aveva detto ‘non possiamo attendere un minuto di più. Assumersi le responsabilità di agire in deroga rispetto alle attuali competenze degli altri Enti. Aveva annunciato una sorta di ‘disubbidienza istituzionale’. Che effetti ha avuto, come si è verificata e perché attualmente comunque la Regione Emilia-Romagna applica il Regio Decreto del 1904 che attribuisce ai proprietari dei terreni la cura e la responsabilità dei tratti di fiume non arginati?”.

“È la legge che lo impone e comunque i Comuni non possono andare a occuparsi degli argini in tutto il territorio – ha risposto il sindaco -. Noi, di fronte a uno scenario di impasse, di progetti tutti delegati sul Piano Speciale che sarebbe stato possibile realizzare solo nel prossimo decennio con 4,4 miliardi e di fronte a Ordinanze fallimentari come la 11 e la 14, abbiamo provato a fare due azioni che non sono proprie di un Ente locale. Il lavoro da oltre 7 milioni di euro che stiamo facendo fra il torrente Marzeno e Via Cimatti non è un intervento proprio di un Ente locale. Lo stiamo facendo in deroga alle usanze, ai modi di operare, alla storia amministrativa della divisione delle funzioni in un contesto istituzionale, Lo abbiamo fatto perché non lo faceva nessun altro. Sarà pronto nei prossimi cinque mesi: è l’unica azione che mettiamo in campo come territorio che rafforza significativamente i livelli di difesa idraulica di Faenza. Nell’ordinamento nazionale ciò è delegato ad altri Enti: siamo orgogliosi di averlo fatto, trovando risorse e progetti validati. Questa è un’azione intelligente di disubbidienza civile. Così come noi dare risorse che ci siamo trovati a centinaia di famiglie è un’azione che è al di là delle funzioni di un Ente locale. Mettersi noi, Comune di Faenza a dare 10.000 euro, 3.000 euro è una sconfitta per tutti, perché abbiamo praticato la disuguaglianza sociale. Nei Comuni piccoli come Casola Valsenio e Riolo Terme che non sono riusciti a trovare le risorse, non sono stati dati contributi ai cittadini”.

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Si studia, ci si chiariscono le idee, si progetta, ma l’impressione è che le aree alluvionate tra il 2023 e il 2024 a Faenza e dintorni non siano al sicuro da eventi disastrosi innescati da forti fenomeni atmosferici e dalla passata trascuratezza del territorio.

All’incontro conclusivo “Il fiume: una risorsa da gestire” del progetto “Controcorrente – la NET generation e la sfide del clima che cambia” organizzato da Legambiente Emilia-Romagna in una delle aule del complesso ex-Salesiani di Faenza nella mattinata di sabato 18 gennaio di fronte a un centinaio di persone è intervenuto fra gli altri, come relatore, l’ingegner Andrea Colombo, dirigente del Settore Tecnico valutazione e gestione dei rischi naturali dell’Autorità di Bacino Distrettuale del Fiume Po, il quale ha presentato l’attività in corso rispetto allo sviluppo dei Piani Speciali.
Se da una parte è risultato chiaro che alla luce del cambiamento del clima e degli eventi alluvionali degli ultimi due anni nulla va trascurato e tutto va tenuto in considerazione, dall’altra è emersa l’evidenza che ci vorranno più di dieci anni per rimettere a posto il territorio adeguandolo alle sfide meteorologiche che già hanno sferrato i loro colpi.

Fra i temi toccati da Colombo c’è stato quello dei ponti colpiti in maniera diversa a seconda delle situazioni dalle alluvioni: dai distrutti, ai pesantemente danneggiati, ai “sopravvissuti” come il Ponte delle Grazie di Faenza.
L’ingegnere ha spiegato come viene inquadrato il problema: “I ponti hanno avuto un ruolo centrale in tutto ciò che è successo durante l’organizzazione regionale. Purtroppo noi abbiamo molte criticità di manufatti interferenti con il deflusso delle acque e abbiamo nel Piano Speciale predisposto quella che io chiamo ‘direttiva’ di fatto: l’allegato 12 del Piano Speciale dove abbiamo definito dei criteri, delle prescrizioni per fare le verifiche di compatibilità aerobica dei ponti. Per fare in modo che ciascun ente proprietario o gestore del ponte faccia la verifica di compatibilità. Gestore e proprietari sono abituati a fare delle verifiche sismiche, ma non è pensabile di ricostruire un ponte danneggiato dall’alluvione solo con la verifica sismica, cosa che purtroppo è successa. Ci vuole anche la verifica idraulica, soprattutto se un ponte è stato danneggiato da un’alluvione. È chiaro che, se il ponte è inadeguato, non avremo le risorse immediatamente per adeguare anche quelli nelle medesime condizioni, ma la ‘direttiva’ prevede che siano definite delle condizioni di esercizio transitorio, cioè delle condizioni scritte rispetto alle quali sia chiaro qual è l’interferenza del ponte, sia chiaro che cosa bisogna fare quando c’è l’allerta rossa, in termini anche di chiusura del ponte, in termini anche di presidio delle zone maggiormente critiche, cioè uno strumento chiaramente più di protezione civile, ma che ci consente di gestire la criticità del ponte in modo consapevole”.

Andando sul piano pratico, ma di questo Andrea Colombo non si è occupato, perché si possa vedere aprire un cantiere “del Ponte delle Grazie” occorrerà attendere almeno il 2026 inoltrato: con la rimozione del ponte Bailey provvisorio in acciaio, la demolizione dell’agonizzante Ponte delle Grazie salvaguardandone gli elementi storico-architettonici, quindi l’avvio della costruzione del nuovo che sarà in capo alla Sogesid, la società di ingegneria e assistenza tecnica specialistica interamente partecipata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (nata come Società di Gestione di Impianti Idrici), come previsto dalla Struttura Commissariale incaricata della ricostruzione in Romagna, Marche e Toscana.

Nell’ottobre 2023 era stato detto da più di autorevoli voci che Università di Bologna, Università di Ferrara, Autorità di Bacino Distrettuale del Fiume Po e Regione Emilia-Romagna avrebbero messo in fila tutto quello che avrebbero ritenuto opportuno che servisse per i 23 fiumi che sono esondati il 16 e il 17 maggio: nel “pacchetto” era compresa la “cornice” entro la quale deve inserirsi il progetto del nuovo Ponte delle Grazie. La “cornice” è in pratica l’altezza a cui deve collocarsi il piano stradale del ponte, oltre naturalmente a molto altro: prevista per la primavera del 2024 deve ancora essere messa in mostra. Il tutto nella preoccupazione che il nuovo Ponte delle Grazie debba viaggiare anche solo un metro in più dell’attuale: cosa che comporterebbe interventi notevoli sulla viabilità nelle sue vicinanze. Infine, ma non ultimo argomento, di finanziamenti “veri” non ce n’è ancora traccia. Gli enti coinvolti e in particolare il Comune di Faenza confidano nella nota operatività del nuovo Commissario Curcio, che da qualche giorno ha sostituito il generale Figliuolo.

L’intervento dell’ingegner Colombo ha toccato i punti salienti del Piano Speciale. “Ciò che ha colpito di più è stata la vastità del territorio interessato: 23 fiumi hanno rotto gli argini e ci sono state oltre 80.000 frane censite. Alcune aree hanno registrato densità di 250 frane per chilometro quadrato, coinvolgendo più di 3.000 edifici e molte infrastrutture stradali e ferroviarie – ha esordito -. Il Piano Speciale, sancito dal Decreto Legge 61 e convertito nella Legge 100 nel luglio 2023, punta a interventi per il dissesto. All’inizio non era chiaro a tutti cosa dovesse includere. Da luglio 2023 è iniziata un’attività con la Struttura Commissariale e la Regione Emilia-Romagna per definire i contenuti, andando oltre un semplice elenco di interventi, tipico degli eventi passati. L’alluvione ha richiesto un cambio di paradigma: non si poteva semplicemente raccogliere le richieste dei Comuni colpiti e sommarle. Si è cercato di dare un taglio pianificatore e programmatico al Piano, delineandolo come uno strumento strategico. L’ordinanza 22 del Commissario Straordinario, emessa nel febbraio 2024, ha stabilito cosa dovesse essere il Piano Speciale e chi dovesse redigerlo”.

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Il Piano è stato redatto da un ampio gruppo di lavoro, comprendente Autorità del Bacino, Regione, ISPRA, Università, e altre istituzioni. Il documento preliminare è stato predisposto a marzo 2024 e approvato a giugno, ma è ancora in attesa di approvazione definitiva. I temi affrontati nel Piano includono l’analisi degli eventi del maggio 2023, il quadro delle criticità, gli interventi urgenti finanziati, le strategie di intervento, e un piano decennale di azioni che richiedono investimenti di circa 4,5 miliardi di euro, distribuiti su un arco di 12 anni.

Un aspetto centrale del piano è rappresentato dalle strategie di intervento, suddivise in ambiti specifici:
Interventi strutturali sui fiumi: aumentare lo spazio per i fiumi, rivedere le arginature e creare aree di espansione.
Gestione della vegetazione ripariale: trovare un equilibrio tra esigenze ecologiche e necessità di deflusso.
Animali fossori e attraversamenti: affrontare le criticità legate a manufatti e infrastrutture che interferiscono con il deflusso.
Consolidamento dei versanti: gestire le frane con interventi mirati, distinguendo le situazioni semplici da quelle complesse.
Delocalizzazione e pianificazione urbanistica: spostare insediamenti a rischio e rivedere gli strumenti urbanistici.
Reticolo idrografico secondario: ottimizzare il sistema consortile per la gestione delle acque.

“Sulle strategie di difesa, emerge la necessità di gestire il rischio minimizzando i danni al di fuori delle arginature – ha spiegato Andrea Colombo -. Ad esempio, per il reticolo idrografico principale, si è reso evidente che lo spazio attualmente destinato ai fiumi è insufficiente. Le arginature storiche, costruite per massimizzare l’uso agricolo del territorio, devono essere riviste. Le soluzioni includono arretrare gli argini, creare aree di laminazione e delocalizzare insediamenti quando necessario. Per i corsi d’acqua arginati, si stanno definendo le portate limite di progetto, ossia la quantità di acqua che può transitare in sicurezza. Interventi locali mirano ad adeguare le arginature, modellare i piani di campagna e creare zone di espansione controllata. Per eventi superiori alle portate limite – ha aggiunto il relatore – è necessario prevedere strategie di allagamento controllato, confinando l’acqua in aree meno esposte e assicurando il drenaggio rapido”.

Infine, il piano include linee guida per la gestione forestale sui versanti. Gli eventi recenti hanno dimostrato che una pianificazione proattiva è essenziale per mitigare i rischi futuri.





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