Frontalieri, ancora tanti interrogativi a 20 mesi dall’Accordo fiscale

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Non tutti i punti sono stati chiariti con il nuovo accordo sulla tassazione dei frontalieri.


Keystone / Gaetan Bally

Parte prima. A venti mesi dall’introduzione dell’accordo sull’imposizione dei frontalieri, numerosi punti restano ancora irrisolti, alimentando confusione e incertezze tra i lavoratori e le lavoratrici coinvolti. La mancanza di chiarezza, imputabile ad entrambe le parti, contribuisce a incrementare la frustrazione di chi, quotidianamente, si interroga sui propri diritti e doveri.

La nuova normativa, che segna un cambiamento significativo per la categoria dei frontalieri, solleva una serie di interrogativi: dai nuovi comuni entro i 20 km di distanza al tema dell’assegno unico, dal telelavoro alla tassa sulla salute. Per fare il punto sulla situazione, il Coordinamento Territoriale UIL del Lario, insieme a Uil Frontalieri e Caf UIL Lombardia, ha convocato un incontro stampa presso la sede di Como, con la partecipazione del Coordinatore Territoriale UIL Lario, Dario Esposito, del segretario generale nazionale Uil FrontalieriCollegamento esterno, Raimondo Pancrazio, e del Presidente del CAF Uil Lombardia, Luca Gaffuri.

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Un quadro di incertezze e confusioni per i frontalieri

Nonostante l’accordo fiscale sui frontalieri sia entrato in vigore il 18 luglio 2023, le difficoltà nel comprendere il nuovo statuto restano evidenti. Lo sa bene Raimondo Pancrazio, segretario generale di Uil Frontalieri: “La chiarezza ancora manca. Dopo l’entrata in vigore del nuovo accordo fiscale, sono intervenute una serie di misure contraddittorie che hanno generato confusione, anziché aiutare i lavoratori a orientarsi”.

Tra i temi più controversi figurano le liste dei comuni di frontiera, parzialmente non riconosciute dal Canton Ticino, e la tanto discussa “tassa sulla salute”, che, come evidenziato da Pancrazio, “è emersa all’improvviso dal nulla, senza preavviso”.

Qui, in questo dossier, le varie conseguenze del nuovo accordo sui frontalieri:

Sono solo due aspetti tra i tanti che attendono di essere ancora chiariti. “Oggi c’è troppa indeterminazione sulla condizione giuridica del lavoratore frontaliero – sottolinea Raimondo Pancrazio –, per questo motivo al tavolo interministeriale aperto il 24 febbraio scorso a Roma con il Ministero dell’economia, il Ministero degli esteri e il Ministero del lavoro, dobbiamo cercare di dare al frontaliere e alla frontaliera una veste giuridica corretta in modo che sappiano esattamente quali sono i loro diritti e i loro doveri”.

La disparità tra i regimi fiscali italiani e svizzeri, e la mancanza di un dialogo costante, non fanno che alimentare l’incertezza giuridica. “Quando i frontalieri si rivolgono ai nostri sportelli – osserva Pancrazio – raccontano di trovarsi sommersi da informazioni discordanti, che li rendono incapaci di comprendere quale sia la corretta definizione del loro nuovo ruolo”.

“Abbiamo trovato un buon punto d’incontro con il nuovo accordo fiscale, ma progressivamente le parti stanno iniziando a smontarlo. Questo non è positivo per i lavoratori, che fanno fatica a capire quali siano i loro diritti e doveri”


Raimondo Pancrazio, segretario generale di Uil Frontalieri

A questa confusione contribuiscono sia le istituzioni italiane che quelle svizzere. Un esempio lampante riguarda il Canton Ticino che ha introdotto direttive successive all’accordo fiscale, non riconoscendo alcuni comuni come comuni di frontiera e imponendo la tassazione elvetica sui loro residenti che lavorano in Ticino, pur essendo considerati frontalieri dall’Italia. “Qual è il danno per il Canton Ticino nel riconoscere questi frontalieri?” si chiede Pancrazio. “Si tratta di un’agevolazione che lo Stato italiano offre ai suoi cittadini, senza alcun impatto negativo sul Ticino e le sue entrate fiscali.”

Con una punta di amarezza, Pancrazio aggiunge: “Abbiamo trovato un buon punto d’incontro con il nuovo accordo fiscale, ma progressivamente le parti stanno iniziando a smontarlo. Questo non è positivo per i lavoratori, che fanno fatica a capire quali siano i loro diritti e doveri”.

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Assegni familiari per i frontalieri svizzeri, un nodo ancora aperto

Uno dei principali problemi irrisolti riguarda gli assegni familiari per i frontalieri svizzeri che lavorano in Italia. Secondo le stime sindacali, si tratta di circa 3’000 persone. “Lo Stato italiano – chiarisce il sindacalista – ha legato questa prestazione alla residenza del lavoratore, motivo per cui i frontalieri e le frontaliere svizzere non ricevono gli assegni familiari, pur avendone diritto”.

Il Regolamento sulla libera circolazione europeaCollegamento esterno stabilisce che chi si sposta per lavoro non può essere discriminato rispetto ai lavoratori del Paese ospitante. In risposta a questa discriminazione, l’Italia è stata deferita alla Corte di giustizia europea. “A questo punto – sottolinea ancora Pancrazio – è fondamentale trovare una soluzione durante i negoziati al tavolo interministeriale, che dovrebbe prevedere l’eliminazione del requisito della residenza per l’accesso agli assegni familiari”.

L’indennità di disoccupazione, una promessa ancora in sospeso

Un altro aspetto cruciale riguarda le indennità di disoccupazione per i frontalieri. Come ricorda Raimondo Pancrazio, segretario generale di Uil Frontalieri, “l’Italia ha previsto nella legge di recepimento dell’accordo che, in caso di disoccupazione, i frontalieri abbiano diritto a un trattamento equivalente a quello svizzero nei primi tre mesi, ossia l’80% dell’ultimo salario”.

Questo grazie anche al Regolamento europeoCollegamento esterno, che stabilisce che, per i primi tre mesi, il Paese di lavoro (in questo caso la Svizzera) debba rimborsare il Paese di residenza (l’Italia) per l’indennità di disoccupazione.

Il problema, però, è che l’INPS non ha ancora emanato la circolare applicativa, e, sebbene questa norma sia in vigore dal primo gennaio 2024, sono già trascorsi 14 mesi senza che sia stata implementata. Di conseguenza, i frontalieri che vengono licenziati oggi percepiscono l’indennità di disoccupazione italiana, dimezzata rispetto a quella svizzera. “Questa è una grave violazione dei diritti dei lavoratori”, sottolinea Pancrazio, che sollecita l’applicazione immediata della legge.

La tassa sulla salute, una questione controversa

Infine, un altro tema scottante è la tassa sulla salute, introdotta dal Governo Meloni nella manovra finanziaria del 2024. Questo contributo, che colpirebbe i vecchi frontalieri, si aggira tra il 3% e il 6% del reddito netto annuo, con un importo minimo di 30 euro e un massimo di 200 euro al mese.

L’obiettivo dichiarato sarebbe quello di destinare i fondi raccolti come “bonus” al personale sanitario degli ospedali italiani situati a meno di 20 chilometri dal confine svizzero, con l’intento di contrastare l’emigrazione di medici e infermieri verso il Ticino, fenomeno che sta colpendo in modo particolare le province di Como e Varese.

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“L’introduzione della tassa sulla salute è una duplicazione dei tributi già versati. Inoltre, rappresenta una violazione del principio di assistenza sanitaria universale, che secondo la Costituzione italiana dovrebbe essere garantita a tutti, indipendentemente dai contributi versati”


Raimondo Pancrazio, segretario generale di Uil Frontalieri

I sindacati hanno espresso forti riserve, chiedendo una valutazione legale sulla doppia imposizione fiscale che questa tassa comporterebbe. I frontalieri, infatti, già pagano l’imposta alla fonte in Svizzera, il cui 40% viene trasferito all’Italia, e la Confederazione continuerà a versare questi contributi (ristorni) fino al 2034.

In questo contesto, l’introduzione della tassa sulla salute risulta essere una duplicazione dei tributi già versati. Inoltre, rappresenta una violazione del principio di assistenza sanitaria universale, che secondo la Costituzione italiana dovrebbe essere garantita a tutti, indipendentemente dai contributi versati. A differenza del sistema svizzero che è un sistema assicurativo, l’assistenza sanitaria italiana è legata alla fiscalità generale.

Il tema dei frontalieri che non contribuirebbero all’assistenza sanitaria è stato sollevato più volte nel corso degli anni. A tal proposito, l’8 marzo 2016, il Ministero della Salute, con una circolare indirizzata agli assessori regionali alla salute, ha chiarito che i frontalieri partecipano alla fiscalità generale tramite i ristorni, ossia pagando l’imposta alla fonte in Svizzera. Di conseguenza, non è legittimo richiedere loro alcun contributo aggiuntivo per l’assistenza sanitaria. “Di fatto – sottolinea Raimondo Pancrazio – questo Governo sta smentendo quanto stabilito in passato dal Ministero della Salute”.

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Fa fatica a trovare un’applicazione la tassa sulla salute che dovrebbero pagare i vecchi frontalieri per partecipare al finanziamento del servizio sanitario nazionale italiano. La Svizzera per ora nega i loro dati ma la Lombardia ha pronto un “piano B”.



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Inoltre, la tassa appare di difficile applicazione. Le Regioni italiane, infatti, non dispongono degli elenchi dei frontalieri, né esiste alcun accordo bilaterale che obblighi la Svizzera a fornire questi dati (i Cantoni coinvolti hanno già negato questi dati). Di conseguenza, le Regioni non hanno ancora emesso direttive al riguardo, e il Piemonte, come sottolineato dal presidente del CAF Uil Lombardia (centro assistenza fiscale), Luca Gaffuri, ha scelto di non prelevare questa tassa.

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