Questa volta non ci sono di mezzo i Pm, su cui di solito si accentrano le polemiche, per il loro ruolo di pubblica accusa e come tali i primi a «esporsi» nella fase delle indagini preliminari, e nemmeno i giudici penali che di solito si trovano, il più delle volte loro malgrado, al centro della scena pubblica, per aver preso decisioni giudiziarie commentate favorevolmente o sfavorevolmente a seconda che siano gradite o sgradite a chi governa, in un dibattito, in questo momento, caratterizzato da forti tensioni tra il potere esecutivo e giudiziario, rinfocolate dalle discussioni sulla controversa riforma sulla separazione delle carriere che in questo periodo è il convitato di pietra di ogni presa di posizione in tema di giustizia.
Questa volta gli strali toccano ai supremi giudici delle Sezioni unite della Cassazione civile, che accogliendo il ricorso di un cittadino eritreo attualmente con lo status di rifugiato in Inghilterra, dove ora vive, hanno emesso un’ordinanza che stabilisce il dovere di risarcirlo per il trattenimento indebito a bordo della nave Diciotti, caso da cui era partita un’indagine a carico dell’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini, a fronte della quale era stata negata dalla Camera di appartenenza l’autorizzazione a procedere. Le due vicende civile e penale, non sono per come oggi sono scritte le norme sul rapporto tra giudicato civile e penale, direttamente interdipendenti.
CHE COSA SONO LE SEZIONI UNITE E SU CHE COSA HANNO DECISO
Non si trattava di decidere se ci fossero stati reati in questo caso, ma di stabilire se, nella controversia tra un singolo cittadino eritreo e il Governo italiano, la persona trattenuta avesse diritto o meno al ristoro per danni non patrimoniali che chiedeva.
Le Sezioni Unite della Cassazione, il più ampio e alto organo giurisdizionale dell’ordinamento italiano, hanno accolto, parzialmente e lo hanno fatto ribadendo alcuni principi destinati a fare giurisprudenza, ma solo per successivi ricorsi su casi eventuali futuri casi analoghi. Va ricordato che l’accoglimento è stato parziale: accolto solo il ricorso principale, respinto quello in quello in via incidentale mentre i casi di altri ricorrenti sono stati respinti in primo e secondo grado perché si decide sempre e solo su casi concreti, non in generale.
I PRINCIPI RIBADITI, IN BASE A QUALI NORME
Qualificando l’atto come «amministrativo», e dunque, a differenza dell’atto politico non sottratto al controllo giurisdizionale, hanno scritto i giudici: «… Nella misura in cui l’ambito di estensione del potere discrezionale, anche quello amplissimo che connota un’azione di governo, è circoscritto da vincoli posti da norme giuridiche che ne segnano i confini o ne indirizzano l’esercizio, il rispetto di tali vincoli costituisce un requisito di legittimità e di validità dell’atto, sindacabile nelle sedi appropriate. E tra tali vincoli rilievo primario ha certamente il rispetto e la salvaguardia dei diritti inviolabili della persona. L’azione del Governo, ancorché motivata da ragioni politiche, non può mai ritenersi sottratta al sindacato giurisdizionale quando si ponga al di fuori dei limiti che la Costituzione e la legge gli impongono, soprattutto quando siano in gioco i diritti fondamentali dei cittadini (o stranieri), costituzionalmente tutelati».
E con riferimento alle fonti: «L’obbligo del soccorso in mare corrisponde ad una antica regola di carattere consuetudinario, rappresenta il fondamento delle principali convenzioni internazionali, oltre che del diritto marittimo italiano e costituisce un preciso dovere tutti i soggetti, pubblici o privati, che abbiano notizia di una nave o persona in pericolo esistente in qualsiasi zona di mare in cui si verifichi tale necessità; come tale esso deve considerarsi prevalente su tutte le norme e gli accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’immigrazione irregolare».
Ricordando che: «Le Convenzioni internazionali in materia, cui l’Italia ha aderito, costituiscono, dunque, un limite alla potestà legislativa dello Stato e, in base agli artt. 10, 11 e 117 della Costituzione, non possono costituire oggetto di deroga sulla base di scelte e valutazioni discrezionali dell’autorità politica, poiché assumono, in base al principio “pacta sunt servanda”, (i patti vanno rispettati, ndr) un rango gerarchico superiore rispetto alla disciplina interna».
LE REAZIONI DELLA POLITICA
La decisione ha suscitato reazioni accese, non sempre composte, nel Governo. Giorgia Meloni ha affermato che «Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno condannato il governo a risarcire «affermando un principio risarcitorio assai opinabile, quello della presunzione del danno, in contrasto con la giurisprudenza consolidata e con le conclusioni del Procuratore Generale». Tajani ha affermato: «È una sentenza che non condivido, non ne condivido le basi giuridiche»». Ha rincarato la dose, Matteo Salvini, definendo la decisione «vergognosa», bollandola come «un’altra invasione di campo indebita» e affermando polemicamente: «Se c’è qualche giudice che ama così tanto i clandestini, li accolga un po’ a casa sua e li mantenga. Chissà se di fronte allo splendido palazzo della Cassazione allestissero un bel campo rom e un bel centro profughi, magari qualcuno cambierebbe idea».
LA NOTA DELLA PRIMA PRESIDENTE DELLA CASSAZIONE
Toni che hanno indotto, per la prima volta nella storia in modo così ufficiale e dalla più alta funzione della magistratura italiana, Margherita Cassano, prima presidente della Corte di Cassazione a emettere una nota formale su carta intestata e firmata di suo pugno, in difesa della separazione dei poteri: «Le decisioni della Corte di Cassazione, al pari di quelle degli altri giudici, possono essere oggetto di critica. Sono invece inaccettabili gli insulti che mettono in discussione la divisione dei poteri su cui si fonda lo Stato di diritto». La nota non ha fermato la controreplica della Lega: «Di inaccettabile c’è solo una sentenza che obbliga gli italiani, compresi disoccupati e pensionati, a pagare chi pretende di entrare in Italia senza permesso».
In difesa dell’indipendenza dei colleghi delle Sezioni unite civili è intervenuta l’Associazione nazionale magistrati: «Ancora una volta inspiegabile è la distanza tra il riconoscimento dei principi e l’applicazione degli stessi. Ora anche le decisioni delle Sezioni unite civili della Cassazione sono oggetto di attacchi ingiustificati, senza alcun rispetto per la separazione dei poteri. Ogni volta che una decisione è sgradita, viene collegata ad una valutazione ideologica».
E intanto anche tutti i consiglieri togati (ossia magistrati) del Csm, insieme ai laici (ossia membri di nomina politica), Carbone, Papa e Romboli, (esclusi solo i laici del Centro destra) hanno difeso i giudici della Suprema Corte, le cui decisioni «devono essere rispettate perché a presidio del principio di eguaglianza e manifestazione del diritto di ricevere tutela giurisdizionale sancito dall’articolo 113 della Costituzione. La Costituzione è un bene comune dei cittadini italiani e deve essere tutelata da tutti gli attori istituzionali».
CHE COSA SUCCEDE ADESSO
Va anche detto come ha osservato il legale del rifugiato che ha vinto il ricorso che il risarcimento, non è automatico, a seguito della decisione della Suprema Corte, ma potrà essere stabilito dalla Corte d’Appello soltanto in seguito a un nuovo ricorso: se la parte interessata non ripropone il giudizio entro tre mesi dalla pubblicazione dell’ordinanza, la causa si estingue.
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