Brutalismo. Parliamo soprattutto di Architettura e insidie per l’arte

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Il Brutalismo – nato negli anni cinquanta del Novecento in Inghilterra e propagatosi in America, Italia, Europa dell’Est etc. raggiungendo il suo apice negli anni ‘70 – e in contestazione dei principi e degli stilemi del Movimento Modernista, da cui pure in qualche misura prendeva spunto, si contraddistingue per i volumi solidi, le masse e forme essenziali e radicali, per un certo carattere distopico e i materiali esposti nella loro nuda espressività: vetro, mattoni, acciaio, impianti a vista, superfici non rifinite, calcestruzzo, cemento grezzo, o meglio, béton brut, come lo chiamò Le Corbusier mostrandone gli esiti nel suo Unité d’Habitation de Marseille, edificata fra il 1947 e il 1952, nota anche come Cité Radieuse (oggi Patrimonio UNESCO).

Unité d’Habitation de Marseille, nota anche come Cité Radieuse – di Le Corbusier

Dà quindi corpo a una poesia estetica e costruttiva rozza ma dalle forze potenti, quasi scultoree, in chiara polemica con l’allora (e ancora oggi in molti casi) dominante armonia e i canoni liccati ma fatui, aggraziati ma compiacenti, quindi di pura “cosmetica” (per dirla alla… Ulay), opponendosi “alla società della produzione di massa, troppo mediocre”, e anche superficiale, omologata, per una nuova, ardita visione.

Per taluni o molti, quella inedita bellezza era (e resta) disturbante ma è intellettualmente e compositivamente coraggiosa, antiaccademica e va percepita e apprezzata anche per il suo carattere morale – ma non moralistico – “resistenziale”, radicale, a suo modo idealista.

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Ne sono esempi, per restare in Italia, tra le altre: la Casa Sperimentale a Fregene, Roma, del 1969, di Giuseppe Perugini; il Villino in Via dei Colli della Farnesina 144 a Roma, del 1969, di Francesco Berarducci (e in cui Elio Petri girerà, nel 1970, scene di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto); il Policlinico Federico II di Napoli, datato 1964-1971, di Carlo Cocchia; la Neoliberty Torre Velasca (1956-1958) di Milano, del Gruppo BBPR; la Tomba Brion, nel Cimitero di San Vito, Altivole, di Carlo Scarpa.

immagine per Casa Sperimentale, Fregene, RM -di Giuseppe Perugini, 1969 -ph. Flavia Rossi
Casa Sperimentale, Fregene, RM -di Giuseppe Perugini, 1969 -ph. Flavia Rossi

Le (oggi controverse) Vele di Scampia a Napoli, 1962-1975, di Francesco Di Salvo; il Complesso SNOS ex Officine Savigliano di Corso Mortara a Torino; lo Studio-Museo Augusto Murer, Falcade, di Giuseppe Davanzo (1970-71); il Complesso residenziale Le Lavatrici Pegli 3, Genova; il Tempio Nazionale a Maria Madre e Regina, Trieste, di Antonio Guacci e Sergio Musmeci, 1965; i Cimiteri monumentali – ampliamento – di Jesi, di Leonardo Ricci, 1984-1994 e di Busto Arsizio, di Luigi Ciapparella, 1971; il visionario fabbricato residenziale incompiuto, Bisaccia, di Aldo Loris Rossi, 1981, costruito nel 1990.

immagine per Le Vele di Scampia, Napoli -ph. Salvatore De Rosa -courtesy AntiVirus Archive.
Le Vele di Scampia, Napoli – ph. Salvatore De Rosa – courtesy AntiVirus Archive.

Le ville Gontero Cumiana (Torino), di Carlo Graffi e Sergio Musmeci, 1969-71, e Atelier a Polpenazze (Garda); l’Istituto statale di istruzione superiore Cipriano Facchinetti, Castellanza, 1965, di Enrico Castiglioni e Carlo Fontana; Urban furniture, Collevalenza (Todi) di Julio Lafuente, 1953-1974; il più razionalista Hotel DUPARC Contemporary Suites di Torino, 1971, di (finalmente una donna!!) Laura Petrazzini…

immagine per Brutalismo razionalista - Hotel DUPARC Contemporary Suites, Torino, 1971 - di Laura Petrazzini
Hotel DUPARC Contemporary Suites, Torino, 1971 – di Laura Petrazzini

E poi il Convento di Santa Maria de La Tourette, Éveux, nei pressi di Lione, in Francia, 1959, di Le Corbusier; la Transgas di Praga; la Casa dei Soviet di Kaliningrad, 1970; la Torre Genex di Belgrado, progettato nel 1977 da Mihajlo Mitrović e terminato nel 1980.

La Biblioteca Centrale a Birmingham, del 1973; e a Londra: il Royal National Theatre, progettato dall’architetto Sir Denys Lasdun, il Centre Point, l’unità abitativa Thamesmead, nel sud-est di Londra, della metà degli anni ’60 (dove Stanley Kubrick girò molte scene del film Arancia meccanica nel 1971), il Barbican Complex (più tardo: 1982); il londinese a Buenos Aires Banco di Londra, di Clorindo Testa, che nella capitale argentina progettò anche la Biblioteca nazionale.

immagine per BRUTALISMO - Royal National Theatre, Londra
Royal National Theatre, Londra

Il grattacielo al 33 Thomas Street (ex AT&T Long Lines Building) Lower Manhattan, New York City; il Municipio di Boston del 1968, progettato dagli architetti Kallmann McKinnell & Knowles, con gli ingegneri Campbell, Aldrich e Nulty e alla LeMessurier Associates; il Sanatorio Druzhba, Yalta, 1985, di Kurortproekt Institute con IA Vasilevsk.

Il più recente Museo del Passo Rombo (Timmelsjoch Passmuseum), sul valico di confine Italia-Austria, inaugurato nel 2010 e firmato dall’altoatesno Werner-Tscholl; e poi: tanta produzione dell’Est e sovietica tra cui il Palazzo della Cultura a Ulyanovsk in Russia, 1987; l’Hotel Forum a Cracovia, 1977, e il più… Space Age  Poplavok Café, Dnipro, Ucraina, 1976, di Oscar Grigorievich Havkin…

L’elenco di edifici e progetti brutalisti, storici o successivi, sarebbe lunghissimo; molto lo potete trovare sulla piattaforma Social Facebook, ad esempio, dove c’è un interessante Gruppo, fondato nel 2007 dallo Storico dell’Architettura Barnabas Calder, che lo ha titolato The Brutalism Appreciation Society e che ha ormai raggiunto i 264.074 iscritti che partecipano alla costruzione di un vero e proprio Archivio sul tema, con Post, link, approfondimenti ed altro.

Reyner Banham, con il suo The New Brutalism in “Architectural Review”, nel 1955 scrisse in tempo reale e in modo esemplare del nuovo fenomeno architettonico ribelle: il suo testo è reperibile in Rete, ripubblicato.

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Nel poderoso film The Brutalist del regista Brady Corbet (coadiuvato da Mona Fastvold) c’è molto di questi concetti, non solo nella storia legata all’architettura su cui si regge apparentemente la narrazione, ma proprio abbracciando il tema nel suo complesso, nelle sue tante articolazioni e con una vis decisamente politica.

immagine per The Brutalist - frame dal film - dettaglio del mausoleo di Thot
The Brutalist – frame dal film – dettaglio del mausoleo di Thot

Infatti, svela la contrapposizione tra genio e capitale, arte e danaro, la parte più forte e oppressiva e quella più fragile; la dipendenza e trappola insidiosa tra progettualità e sua realizzazione, tra creatività e necessità economica per sostenerla e concretizzarla; e mostra la controversa spinta del mecenatismo e dell’interesse collettivo verso il prestigio privato da rendere più pubblico possibile. Peccato veniale che può diventare perverso.

Se il film non è piaciuto a molti architetti, è forse perché si aspettavano da questa enorme narrazione cinematografica più Storia dell’Architettura: insomma, proprio più… Brutalism. Ma è un errore questo fraintendimento dei veri concetti affrontati dal film.

Di questo ha ben scritto il nostro collega e non mi soffermo oltre perché confermiamo qui un focus rivolto ad altri ragionamenti e sottotesti (o in realtà proprio testi?) individuati nello sviluppo narrativo, come stiamo indicando. Però…

Però non possiamo ignorare una nota sui Premi Oscar: restiamo d’accordo con il citato collega anche sul fatto che The Brutalist avrebbe meritato più riconoscimenti; per la multiforme sceneggiatura (Brady Corbet e Mona Fastvold) e regia (Corbet), per il non facile montaggio (David Jancsò) e la scenografia (Judy Beker); ma se li è aggiudicati almeno per la fantastica Colonna sonora (David Blumberg), la splendida Fotografia in antica Vistavision (Lol Crawley) e per il Miglior attore Protagonista maschile, senza nulla togliere all’altro grande, Guy Pierce: un ambiguo, frustrato, prevaricatore, razzista, violento magnate americano Harrison Van Buren reso in modo magistrale).

Adrien Brody, al suo secondo Oscar dopo quello del  2003 per Il pianista, si è totalmente guadagnato questo del 2025. Nel film incarna, quasi, il fragile e ossessivo, vittima ed eroe, sopravvissuto ebreo immigrato ungherese László Tóth, talentuoso architetto brutalista (immaginario, ispirato a più figure emblematiche del settore) in cerca del suo capolavoro.

Lui, e non solo lui, si entusiasma e poi si incaponisce per edificare qualcosa che lasci un segno e abbia un senso preciso, compiuto e soprattutto libero dal feroce senso di possesso e dall’ingerenza debordante della committenza: che sono tra le più infide spade di Damocle sulla testa di artisti, architetti e, più globalmente, di chiunque si occupi di produzioni dell’ingegno. Quel demone della ricerca e creazione, ma anche del riconoscimento del proprio lavoro e della propria unicità è condiviso da tutti loro come necessità insopprimibile, gioia e dolore alla base di ogni sogno e progetto.

SPOILER (ma non troppo) – Il finale, inaspettato, termina non a caso con un riconoscimento importante come quello dato agli architetti dalla celebrante Biennale di Architettura veneziana; nel caso del protagonista: acclamato nella prima, quella del 1980, diretta da Paolo Portoghesi, dove la Presenza del Passato dell’architetto e teorico (Roma, 2 novembre 1931 – Calcata, 30 maggio 2023) portabandiera del Postmoderno si contrappone – e parrebbe avere la peggio, almeno da quel che il film suggerisce – alla visione che guarda(va) al Futuro, innovativa e di rottura del vecchio, resistenziale Tóth. Piegato dalla vita, alla fine è lui, lui e il suo genio, e nonostante tutto, a uscirne vittorioso su quel capitalismo tronfio, empio e parvenu americano.

Come a dire che, pur con lacrime e sangue – e nel caso di Tóth non solo quelli – l’integrità di una visione, lo sguardo illuminato, la vera arte resistono al e nel tempo, restano come segno di progresso, civiltà, sperimentazione, esperienza, cura e bellezza: malgrado gli autocrati e i bulli di ogni secolo e geografia. Tutto il resto è vano, destinato a sparire e, semmai restasse in qualche forma, sarebbe un monumento di volgare infingimento e miseria umane.

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Qui pubblicata, una carrellata di immagini di  edificazioni brutaliste. Tra le illustrazioni, una sbirciatina al bel lavoro fotografico dedicato di Roberto Conte e Stefano Perego. Lontanissimo dal film, ovviamente, sono qui mostrati edifici stupefacenti per vigore, ingegno e attualità, che nella pagine del volume sono ben corredati da tutte le indicazioni relative dispiegando ai nostri occhi non solo uno schedario di fabbricati e luoghi ma linguaggi fotografici – due, in perfetta sintonia – che indagano realtà e qualità di un’architettura (in questo caso in Italia) che propose e propone” pluralità di passati assimilati in nuove costruzioni”.

 


immagine per barbara martusciello

Con una Laurea in Storia dell’Arte, è Storica e Critica d’arte, curatrice di mostre, organizzatrice di eventi culturali, docente e professionista di settore con una spiccata propensione alla divulgazione tramite convegni, giornate di studio, master, articoli, mostre e Residenze, direzioni di programmi culturali, l’insegnamento, video online e attraverso la presenza attiva su più media e i Social.
Ha scritto sui quotidiani “Paese Sera”, “Liberazione”, il settimanale culturale “Liberazione della Domenica”, più saltuariamente su altri quotidiani (“Il Manifesto”, “Gli Altri”), su periodici e webmagazine; ha curato centinaia di mostre in musei, gallerie e spazi alternativi, occupandosi, già negli anni Novanta, di contaminazione linguistica, di Arte e artisti protagonisti della sperimentazione anni Sessanta a Roma, di Street Art, di Fotografia, di artisti emergenti. Ha redatto e scritto centinaia di cataloghi d’arte e saggi in altri libri e pubblicazioni: tutte attività che svolge tutt’ora. Ha fatto parte della Commissione DIVAG-Divulgazione e Valorizzazione Arte Giovane per Soprintendenza Speciale PSAE e Polo Museale Romano e è stata Art Curator dell’area dell’Arte Visiva Contemporanea presso il MUSAP – Museo e Fondazione Arazzeria di Penne (Pescara), per il quale ha curato alcune mostre al MACRO Roma e in altri spazi pubblici (2017 e 2018). Durante il periodo del Covid e dei Lockdown ha cofondato AntiVirus Gallery, archivio fotografico afferente al rapporto tra Territorio e Fotografia dal respiro internazionale.
E’ Presidente del CoAC_Commissione Arte e Cultura della nota fondazione no profit Retake.
È cofondatrice di “art a part of cult(ure)” di cui è anche Caporedattore.



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