assolto in 29 processi, sta morendo in carcere ma gli negano i domiciliari

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Innocente in 29 processi. Poi l’hanno condannato per un fallimento avvenuto mentre lui era ingiustamente in carcere. Ora sta malissimo ma gli negano i domiciliari. Mattarella, per favore, lo grazi

Mi scusi se insisto, ma ho 17 anni e per questa storia non riesco più a dormire la notte. Ci tenevo a darle un quadro più completo sulla vicenda di mio padre, perché spesso mi è stato chiesto come sia possibile che un tribunale chieda una perizia per poi ignorarla o addirittura smentire completamente i propri esperti, senza averne le competenze. Purtroppo, la storia di mio padre non si limita all’ultima negazione dei domiciliari, nonostante l’incompatibilità con il carcere sia stata accertata più volte dai periti del tribunale, l’ultima meno di un mese fa. La sua storia non inizia oggi. È una persecuzione che va avanti da vent’anni.

Nel 2005, mio padre guidava il 21° gruppo in Italia. Fu allora che iniziarono le accuse infamanti: lo associarono alla Banda della Magliana, distruggendo la sua reputazione e causandogli danni irreparabili. Solo dopo un anno, la Direzione Distrettuale Antimafia smentì ogni collegamento, ma, come spesso accade, la verità non ricevette la stessa attenzione delle accuse iniziali. E così iniziò il calvario. Nel 2007 fu arrestato e trascorse due anni in custodia cautelare, per poi essere assolto. Ma non finì lì. Da allora ha affrontato circa trenta procedimenti giudiziari, quasi tutti conclusi con un’assoluzione, tranne una condanna.

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Nel periodo di processi tra il 2009 e il 2015, nel pieno di questa persecuzione, ha versato circa 250 milioni di euro al fisco. Tasse che non doveva. Cartelle esattoriali notificate mentre era in carcere, per la vicenda che lo vedrà assolto, gonfiate da interessi usurai, con partite (ad esempio) contestate due volte alla stessa società.
Quando è uscito, avrebbe potuto impugnarle, contestarle nelle commissioni tributarie, ma ha scelto di non farlo. Ha deciso di porre fine a tutto, sperando di poter finalmente vivere in pace. Ha svenduto tutto ciò che aveva, solo per liquidare velocemente. Tutto quello che ho scritto è documentato. Ovviamente, non è per questo che mi sono messo in contatto con lei.

Ma credo sia importante dirlo, perché quello che sta accadendo oggi non è un episodio isolato. È solo l’ultimo capitolo di una persecuzione che non si è mai fermata.
Mi sono messo in contatto con lei perché mio padre sta morendo in carcere. Non posso accettare che un uomo che ha già sofferto così tanto debba affrontare una fine così ingiusta. Mio padre non può morire per una decisione arbitraria. Non ha più neanche la forza di inviarmi le lettere a casa. Le chiedo di aiutarlo. Prima che sia troppo tardi. Grazie.

Paolo Coppola

***

Caro Paolo. Nessuno può leggere questa tua lettera e restare indifferente. Per tante ragioni. Una ragione generale, innanzitutto, che non riguarda direttamente tuo padre. La posso riassumere in una domanda: ma voi davvero credete che chiudendo una persona in una gabbia e tenendocelo molti anni, migliorate la società, o la sicurezza, o la civiltà? Non vi accorgete che ogni volta che mettete una persona in prigione, e non lo fate per ragioni drammaticissime di sicurezza, compite un atto di violenza grave almeno quanto è grave il reato che credete di punire, ammesso che quel reato sia stato davvero commesso?

La storia di Danilo Coppola è lunga, è una storia di scalate economiche che lo hanno portato molto in alto e poi lo hanno costretto a combattere battaglie invincibili contro la magistratura. Che Danilo Coppola abbia subìto una persecuzione giudiziaria è una cosa indubbia. Sta nelle cifre: ha dovuto affrontare, come dice il figlio Paolo nella sua lettera, ben trenta procedimenti giudiziari ed è uscito assolto 29 volte. La trentesima volta è stato condannato. Non sono né un avvocato né un giudice, però ad occhio, leggendo i documenti, ho la netta sensazione che la sentenza di condanna sia un errore giudiziario. Coppola è stato condannato per bancarotta fraudolenta relativa al fallimento di una sua società dopo che aveva presentato una richiesta di concordato molto favorevole per i creditori. Non so perché non fu accolta quella richiesta e trovo comunque mostruosamente spropositata la pena che gli è stata inflitta di più di sette anni. È raro che si condanni a pene superiori ai sette anni uno stupratore.

Coppola non ha stuprato nessuno, non ha ucciso nessuno, non ha ferito nessuno, non ha derubato nessuna persona né ha ricattato, ne ha danneggiato, ne ha usato violenza. Seppure fosse colpevole del reato del quale è stato accusato sarebbe colpevole di avere danneggiato alcune banche in operazione di prestiti, interessi e restituzioni. Non riesco a provare un moto di indignazione morale per questo reato. C’è poi da osservare – particolare molto molto importante – che il fallimento di questa società – si chiamava Vittoria – è avvenuto mentre Coppola stava in prigione, in custodia cautelare, per un processo anche quello per bancarotta conclusosi con la sua piena assoluzione. Certamente Vittoria è fallita perché Coppola non poteva amministrala, e non poteva perché era stato messo ingiustamente in prigione su richiesta di un Pm evidentemente non bravissimo, e di un Gip superficiale. È molto probabile che se fosse stato a piede libero e avesse potuto amministrare la società, non ci sarebbe stato il fallimento. Chissà se Pm e Gip oggi girano per le loro città con la coscienza leggera.

Coppola è un signore di un po’ meno di 60 anni. Ha fatto fortuna costruendo case e con operazioni immobiliari e finanziarie. È stato una delle venti persone più ricche d’Italia. Poi, 20 anni fa, quando era all’apice ed era ancora molto giovane, iniziò la persecuzione. Il primo guaio gli venne dal “Sole 24 Ore” che lo accusò di essere uno che aveva avuto contatti con la banda della Magliana. Non era vero. Lo accertò e lo dichiarò solennemente la superprocura antimafia. Ma di fango gliene rimase addosso parecchio. I giornali gridarono per il sospetto, furono sobri e silenziosi quando fu scagionato. Perché quell’attacco? Faccio una ipotesi: forse perché Coppola aveva commesso l’errore della sua vita: acquistare quote di proprietà di grosse banche. Il salotto dei banchieri non era contento. Coppola era un corpo estraneo. Sciò!

L’anno dopo, col terreno già preparato con le calunnie, Coppola fu arrestato in una grossa operazione giudiziaria che riguardava sempre le banche. I giornali definirono lui e altri “I furbetti del quartierino”. Una definizione spregiativa che è diventata famosissima ed è entrata nei dizionari. Una gogna inaudita. Durata 10 anni. Poi l’assoluzione completa. Coppola non aveva commesso nessun reato. Neppure divieto di sosta. Non era né furbo né furbetto. E aveva già pagato caro gli errori di giornalisti e magistrati. Nel 2007 la botta pesante. In prigione per bancarotta, associazione a delinquere e altri reati vari. Lo presero quando la moglie era incinta. 104 giorni in isolamento, in violazione di tutti i trattati internazionali e di svariati articoli della Costituzione. Avete idea di cosa vuol dire stare in una cella di isolamento tre metri per due per più di qualche ora? L’inferno, la pazzia. Coppola, per di più, soffriva di claustrofobia. Tentò il suicidio, era l’unica via per fermare il supplizio. Lo salvarono. E alla fine il giudice di sorveglianza lo fece uscire. Però fu condannato in primo grado a sei anni e restò per due anni in custodia cautelare. Capito? Due anni. Nel 2013 arrivò di nuovo l’assoluzione. Formula piena.

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Due anni regalati alla patria. Nel frattempo alcune sue società (mi pare che fossero sei) erano fallite e allora la procura che aveva subito la sconfitta clamorosa sull’inchiesta originaria, aprì altre inchieste e lo processò di nuovo per il fallimento di aziende che chiaramente erano fallite per colpa della magistratura non di Coppola. Kafka allo stato puro. Andò male alla procura anche quella volta, ovviamente. Assolto, assolto, assolto. E alla fine fu Milano a condannarlo per il fallimento di “Vittoria”. Lui si rifugiò all’estero. L’Italia chiese l’estradizione ma sia la Svizzera che gli Emirati Arabi la rifiutarono perché i magistrati svizzeri ed arabi videro chiaramente la persecuzione. Dissero all’Italia: ci dispiace, noi siamo stati di diritto… Alla fine nel 2022 a Dubai fu arrestato ed estradato. Deve fare sei anni di galera. I due anni passati da detenuto innocente non contano, perché riguardano un altro processo. Quelli ormai son passati in cavalleria. Lui oggi sta malissimo. È stato visitato da periti nominati dalla magistratura e i periti non hanno avuto dubbi: fuori dalla prigione, domiciliari.

Nel 2023 ha avuto un infarto. I medici lo hanno ripreso per i capelli. Lo vogliono morto, credo. Tanto poi diranno: “Che volete che sia, era un furbetto…”. A me pare che sia un caso vergognoso. Sembra una infamia. Poi, certo, lo so benissimo che esistono casi gravi quanto il suo, e forse più gravi, di illustri sconosciuti, e resteranno sempre casi sconosciuti. Verissimo. E questo giornale ogni volta che può se ne occupa. Ma il fatto che il caso Coppola non sia un caso isolato lo rende più grave, non meno grave. Non so chi può risolvere il problema. Certamente il giudice di sorveglianza. Sarebbe opportuno esercitare qualche pressione sul giudice di sorveglianza. E se non c’è altra strada potrebbe intervenire Mattarella. Presidente, ci pensi, non lasci morire una persona finita stritolata dalle follie di una magistratura senza scrupoli né sentimenti. Sarebbe una vergogna per le istituzioni.

P.S. Qualche anno fa Coppola venne a parlare da me, che allora dirigevo Il Riformista. Penso fosse il 2020. Mi raccontò la sua storia. La sottovalutai. Lasciai cadere, non scrissi nulla. Me ne scuso.



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