Viaggio nella crisi della meccanica che sta diventando strutturale. Ci accompagna Federmeccanica

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La meccanica italiana continua a perdere quota, in maniera sempre più preoccupante. È un trend che prosegue da due anni e che può essere considerato ormai strutturale. Il settore sta attraversando una situazione più critica rispetto a quella dell’industria ex costruzioni: nell’intero anno 2024, i livelli di produzione metalmeccanica sono diminuiti mediamente del 4,2% rispetto all’anno precedente, un risultato di gran lunga peggiore di quello registrato per l’intero comparto industriale (-2,5%).

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La contrazione è accelerata nel quarto trimestre in cui è arrivata a -5,6%. E non ci sono spiragli di ripresa all’orizzonte. È quanto emerso nel corso della conferenza stampa di presentazione della i risultati della 173esima edizione 2025 dell’Indagine congiunturale Federmeccanica sull’Industria Metalmeccanica – Meccatronica italiana.

Federico Visentin è l’attuale presidente di Federmeccanica, oltre a essere il presidente e amminstratore delegato di Mevis di Rosà.

«La fotografia della realtà in cui ci troviamo ha contorni chiari. È sempre una cosa che dobbiamo fare: confrontarci e non scontrarci con la realtà – dice Stefano Franchi, direttore generale della Federazione della meccanica – La metalmeccanica e la meccatronica valgono il 25% del Pil e il 50% dell’export italiano, e quando andiamo bene noi, va bene l’Italia. quando noi soffiamo, la produzione industriale ci viene dietro e sprofonda. Così il dato negativo che ci ha contraddistinto nel 2024 ha inciso sul resto dell’industria».

«Le cose vanno male – aggiunge senza usare giri di parole il vice presidente Diego Andreis – Le Borse sono in fibrillazione per l’incertezza internazionale che permane sul terreno dei conflitti mentre se ne aggiunge altra. Tutto questo congela le decisioni. Soprattutto perché un terzo della nostra meccanica ha margini, prima degli investimenti, sotto il 5% e un altro terzo tra il 5% e il 10%. Sono margini che non permettono di avere fiducia nel futuro. Nel contesto attuale poi è tutto esacerbato». La situazione è complessa. «Ma dobbiamo guidare le nostre imprese verso il recupero della marginalità e dell’ottimismo, elementi che dovrebbero rimettere in moto la volontà di investire», aggiunge Federico Visentin, presidente Federmeccanica.

La spada di Damocle dei dazi (ancora confusi nella loro applicazione pratica e negli effetti) sulla meccanica italiana

Ezio Civitareale, direttore Centro Studi e Stefano Franchi, direttore generale durante la presentazione della 173esima edizione 2025 dell’Indagine congiunturale di Federmeccanica. In collegamento: Diego Andreis, vice presidente).

Non sarà facile, perché gli elementi critici aumentano anziché diradarsi. Trump ha sparigliato le carte sul fronte di una possibile guerra mondiale commerciale. Che impatto possono avere i dazi promessi al 25% sull’import europeo? «Non sappiamo ancora come verranno applicati i nuovi dazi – spiega Ezio Civitareale, direttore del centro studi di Federmeccanica – se il 25% sarà un’aliquota aggiuntiva rispetto ai dazi esistenti o se andrà a sostituirli. Le stime più autorevoli indicano un dazio complessivo intorno al 15%, con un impatto sul Pil italiano compreso tra -0,3% e -0,2%. Il settore della meccanica italiana è particolarmente sensibile a queste variazioni: un dazio del 15% potrebbe ridurre del 6% la nostra quota di mercato negli Stati Uniti».

Attualmente, i dazi sulla meccanica sono relativamente bassi: in media, l’export italiano verso gli Usa è soggetto a un’aliquota dell’1,15%, mentre l’import in Italia è gravato da un 3,3%. «Il presidente Trump ha parlato di reciprocità – sottolinea Andreis – e questo potrebbe tradursi in nuove imposte che colpirebbero fino al 59% del settore meccanico ed elettronico italiano. Trump ha anche citato l’Iva come se fosse un dazio, il che genera ulteriore incertezza. Se si passasse da un’aliquota media del 3,3% al 22%, le conseguenze sarebbero molto pesanti».

La reazione dell’Unione Europea sarà determinante. «L’UE ha strumenti per rispondere a un’escalation commerciale, ma un conflitto di questo tipo danneggerebbe tutti» afferma Visentin. Inoltre, all’interno della media del 3,3% si celano situazioni molto diverse: «Le stime più realistiche prevedono un aumento della tassazione media dal 2,5% al 9,2%. Se il volume di export del 2024 rimanesse invariato, il costo dei dazi passerebbe da 440 milioni a 900 milioni di euro. E questo senza considerare l’effetto della reciprocità assoluta, che però difficilmente si verificherà: tutto dipenderà dai poteri economici in gioco e dalle scelte di politica industriale».

Una crisi strutturale che ha portato la meccanica da traino a zavorra dell’industria: come se ne esce? L’incognita del conflitto ucraino la cui fine, alle condizioni Usa, non è più un game changer. Il riarmo europeo e la fine dell’automotive

«Stiamo mettendo in fila gli elementi per convincere le imprese a ricominciare a investire e trovare una via di uscite – continua Visentin – Prima dell’era Trump, tutti avevamo immaginato che l’unico evento in grado di salvare la situazione sarebbe stata la fine della guerra in Ucraina. Questo avrebbe potuto dare un impulso all’Italia e all’Europa, per la ricostruzione, la ripresa delle interazioni commerciali con la Russia e non solo, e il miglioramento dei rapporti con la Cina, oltre a un abbassamento dei costi dell’energia. Ora non riusciamo più a vedere neanche il beneficio di un’eventuale fine del conflitto, se questo dovesse avvenire alle condizioni di Trump».

Ursula von der Leyen ha proposto il piano “ReArm Europe” che dovrebbe mobilitare 800 miliardi di euro in ambito militare.

Nel frattempo, l’Unione Europea sta avanzando sul fronte del riarmo con il piano presentato in questi giorni da Ursula von der Leyen. «Non è ancora chiaro quale sarà l’effettivo impegno richiesto all’Italia e all’Europa. Gli 800 miliardi annunciati per il riarmo, come verranno distribuiti? Riusciremo a garantire che questi fondi favoriscano la manifattura europea, o finiranno per essere assorbiti dalle aziende americane? E quale sarà l’impatto sul resto dell’industria? Se queste risorse coinvolgeranno la manifattura italiana, interesseranno solo una parte delle imprese, escludendo le Pmi dinamiche che non operano nel settore della difesa. Al contrario, l’UE sembra disinteressarsi dell’industria automobilistica: non credo sia realistico pensare a una conversione di questo settore verso la produzione bellica. Il futuro dell’auto in Europa resta un’incognita. Tuttavia, di fronte a questo scenario, è fondamentale continuare a cercare nuove opportunità, stimolando il settore e investendo in tecnologie strategiche come l’intelligenza artificiale e altre innovazioni, perché il progresso non può prescindere da ricerca e sviluppo».

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Il 38% delle aziende riporta una diminuzione del Mol (Margine Operativo Lordo), un altro 38% lo considera stabile, mentre solo il 24% ha visto un incremento.

E poi c’è il piano Ue per il rilancio dell’automotive appunto. Entro fine mese l’esecutivo Ue presenterà una modifica alle norme per calcolare su tre anni e non uno la conformità agli standard di emissione dal 2025 sulle vendite, che prevedono di non oltrepassare il limite di 93,6 grammi di CO2 per chilometro percorso. ma nel documento ci sono grandi assenze. «Non vengono citati i mezzi pesanti e ci sono dubbi in relazione alla neutralità tecnologica – dice Andreis – Il Commissario Ue ai Trasporti, quando ha spiegato la questione, ha accennato alla valutazione di alternative e si è concentrato sui carburanti sintetici tedeschi, non sui biofuel, a condizione che siano a zero emissioni come l’elettrico. Questo approccio è errato ed è lo stesso che ha messo l’automotive nella posizione in cui si trova oggi. Si deve uscire da questi preconcetti, altrimenti sarà difficile andare avanti. Dobbiamo stare attenti a prendere decisioni che disconnettano imprese e lavoratori dal mercato, perché rischiamo di perdere una parte fondamentale della nostra economia».

Il paradosso del Ccnl e la necessità di un bagno di realtà

E come se non bastassero gli elementi critici macro che sono in gioco e che rischiano di minare alla base la solidità di questa industria così importante per l’Italia e per l’Europa, Federmeccanica rileva un’incomunicabilità paradossale con le parti sociali. Un problema interno e tutto italiano. «Abbiamo qualche difficoltà nella contrattazione sindacale. I sindacati chiedono un impegno scritto su una cifra che aggiorna i salari a un livello quasi doppio rispetto all’inflazione prevista nei prossimi quattro anni. Questa è una posizione rigida da cui è difficile uscire – dice Visentin – Il contratto metalmeccanico, con i meccanismi attuali confermati, garantisce la piena copertura dell’inflazione. Possiamo immaginare che si voglia qualcosa di più, e anche su questo la nostra proposta va in tale direzione, ma in un contesto in cui vediamo un rientro in termini di competitività delle nostre imprese». E Visentin giudica incomprensibile la chiusura del sindacato in un momento in cui il capitolo retribuzioni è l’unico positivo pe l’industria metalmeccanica.

Per quanto riguarda l’occupazione nei prossimi sei mesi, la curva torna in territorio positivo, ma il 70% degli imprenditori ritiene che le prospettive rimarranno stazionarie.

«L’unico dato positivo del 2024 è sulle retribuzioni – conferma Franchi – nel 2024 quelle metalmeccaniche sono cresciute e hanno portato su quelle di tutta l’industria. Abbiamo cercato di calare la proposta di rinnovo del Ccnl nella realtà: abbiamo fatto una proposta di valore che ha dato risposte punto per punto alle richieste del sindacato e alle esigenze delle persone, garantendo la competitività delle nostre imprese e guardando al futuro».
«Dobbiamo essere pragmatici e visionari anche in un momento come questo – conclude Franchi – Perseguiamo la solidarietà, preoccuparci di chi sta peggio. La meccatronica è un universo, ci sono imprese che soffrono, ma la profittabilità delle nostre aziende va valorizzata anche valorizzando la differenza. Gli interventi che proponiamo vanno in questa direzione».

Tutti i numeri della 173esima edizione dell’Indagine congiunturale sull’Industria Metalmeccanica – Meccatronica italiana: cielo nero sull’industria

Mentre l’economia mondiale continua a espandersi nonostante tensioni internazionali e politiche monetarie ancora restrittive, tutti i dati 2024 della produzione industriale sono rivolti verso il basso, con una variazione negativa sempre intorno al 2% e più severa per la meccanica rispetto a quella rilevata nel complesso dell’industria ex costruzioni. «Ci siamo chiesti se ci sia una tendenza strutturale e temiamo che sia così – spiega Civitareale – come suggerisce la variazione tendenziale, pari al -3,4% del secondo trimestre fino al 5,6% nel quarto trimestre, ben più severa di quelle congiunturali. Fatto pari a 100 il valore della produzione 2021, il quarto trimestre 2024 si posiziona a 92,9: il livello più basso dal 2016 se si esclude il tonfo a 67,7 del Covid».

Profondo rosso nel quarto trimestre 2024: l’86,6% della metalmeccanica segna cali vertiginosi

Sui singoli trimestri abbondano i segni negativi. Sull’ultimo trimestre in particolare 5 su 7 comparti della meccanica presentano segni negativi, si salvano apparecchi elettrici e mezzi di trasporto diversi da automotive. A condizionare l’attività produttiva metalmeccanica è stata, in particolar modo, l’evoluzione negativa della produzione di Autoveicoli e rimorchi con volumi trimestrali in significativa contrazione. Al peggioramento hanno altresì contribuito i comparti della Metallurgia, dei Prodotti in metallo e, in misura più contenuta, anche quello delle Macchine e apparecchi meccanici. «L’86,6% del settore è caratterizzato da segno negativo – sintetizza Civitareale – gli autoveicoli sono il centro della crisi con contrazioni a due cifre: sull’anno a -21,2%. I dati positivi sono marginali»

Anche l’Ue a 27 è in profonda crisi: ma non è una consolazione. E l’Italia va peggio di tutti nella produzione meccanica

Anche nell’Unione europea l’attività metalmeccanica continua ad essere in forte sofferenza: sulla base dei dati Eurostat, infatti, i volumi di produzione sono diminuiti del 5,6% rispetto al 2023, pur evidenziando dinamiche congiunturali in attenuazione nei singoli trimestri. «Ma la UE a 27 mostra dinamica in miglioramento in corso d’anno, si alleggerisce la congiuntura pur restando negativa. E ci sono differenze tra i vai Paesi: la Francia migliora da -3,3% a -0,3% dal terzo a quarto trimestre. La Spagna performa bene, con due trimestri negativi. Le Germania è in cisi ma meno dell’Italia: nella metalmeccanica risulta avere lo stesso andamento di quella italiana: tre trimestri di contrazione ma quello italiano è più severo, la Germania non supera mai il -2% noi andiamo anche al -2,3%».

Le dinamiche produttive sono state disomogenee nei diversi comparti e questo anche perché il settore metalmeccanico è un settore fortemente eterogeneo sia per l’inclusione di una vasta gamma di attività produttive, molto diversificate tra loro, sia per le differenti dimensioni che caratterizzano le imprese metalmeccaniche.

Import ed export: meccanica peggio dell’industria

Sul tema dell’interscambio commerciale: nel 2024 l’export totale italiano ha peso il -0,4% e le importazioni il -3,9%. Il metalmeccanico è andato peggio, -3,8% e -3%. «Sebbene i saldi evidenzino un dato positivo non dobbiamo fermarci alla cifra perché sappiamo che la dinamica è determinata da dati negativi. Nel 2022 l’export era positivo a doppia cifra ed è andato via via peggiorando per due anni, l’import negli ultimi due trimestri mostra segni di ripresa», commenta Civitareale. «Sul fronte dei settori: audio tv e strumenti medicali è l’unico comparto che segna un segno positivo e va segnalato il calo solo moderato (-1,6%) di macchine meccaniche. Pe l’import tutti i settori hanno andamenti negativi meno metalli e prodotti di metallo».

Finanziamenti e agevolazioni

Agricoltura

 

Se guadiamo ai mercati di destinazione: nel corso dei 12 mesi la contrazione è stata del 3% rispetto al 2023 che corrispondono a una perdita di 11 miliardi di euro da commercio estero. «Se tradizionalmente i primi 4 mercati di destinazione avevano un peso complessivo del 40% sull’export totale, oggi scesi sotto la soglia del 40%. I cali di Germania e Usa pesano, a causa di una variazione annua severa: -10,4% e -11%. Sei mesi fa le imprese avevano detto di essere preoccupate dalla tematica energetica e dall’andamento delle politiche commerciali. L’ulteriore contrazione della Germania e i dazi di Trump ora peggiorano ulteriormente la situazione».

Segnali deboli per il futuro: nuove nubi si addensano all’orizzonte. Cig in rapidissimo aumento, portafoglio ordini in territorio negativo e fiducia delle imprese sempre più labile

E il futuro? «Un valore segnaletico delle attese che guardiamo è la cassa integrazione, le ore richieste nel 2024 sono aumentate del 33,2%, ma quelle ordinarie del +68,4% e quelle della Cig straordinaria diminuite dell’8,1%. Il quarto trimestre segna dati severi: delle 265mila ore totali ben 82mila sono maturate da settembre». Negli ultimi mesi, il portafoglio ordini ha continuato a mostrare segni negativi, un trend iniziato nel primo trimestre del 2023. «Abbiamo registrato un calo costante della curva, che rimane pesantemente negativa», spiega Civitareale. Tuttavia, c’è un dato leggermente meno preoccupante: il peggioramento del portafoglio ordini è stato meno marcato negli ultimi trimestri. Nonostante questo, il giudizio complessivo degli imprenditori è peggiorato del 20%.

Le ore richieste nel 2024 di cassa integrazione sono aumentate del 33,2%, ma quelle ordinarie del +68,4% e quelle della Cig straordinaria diminuite dell’8,1%.

Sul fronte della liquidità aziendale, la situazione resta critica. L’11% delle imprese la considera “cattiva o pessima”, un dato in leggero miglioramento rispetto al 13% del secondo trimestre, ma che resta tra i più alti dal 2016, escludendo il 2020. Ci sono però alcuni segnali positivi. «Registriamo un miglioramento nei saldi relativi alle prospettive di produzione», afferma Civitareale. Il 26% degli imprenditori prevede un aumento della produzione, anche se oltre la metà si aspetta una situazione stabile. Per quanto riguarda l’occupazione nei prossimi sei mesi, la curva torna in territorio positivo, ma il 70% degli imprenditori ritiene che le prospettive rimarranno stazionarie. Un altro elemento critico è la dinamica dei prezzi alla produzione, che resta elevata da due anni. «Dal 2022 osserviamo un corridoio discendente, ma il calo è molto blando», sottolinea Civitareale. L’indice si attesta a 119,8, rispetto al picco di 123.

E gli investimenti? Gli ultimi 6-12 mesi mostrano una tendenza alla stabilità per il 51% delle imprese. Il 31% ha aumentato gli investimenti, mentre il 18% li ha ridotti, un dato significativo. Le aziende hanno destinato il 16% degli investimenti alla ricerca e sviluppo, il 19% alla digitalizzazione, il 29% al capitale fisico, mentre innovazione e intelligenza artificiale sono in aumento. Focalizzandosi sul fatturato dell’industria, al netto del settore delle costruzioni, la situazione appare complicata. Per tutto il 2024, il fatturato dell’industria è previsto in calo, una dinamica più penalizzante rispetto all’andamento complessivo del settore industriale. «Il 48% delle imprese segnala una riduzione del fatturato, il 22% lo vede stabile e solo il 30% ha registrato un aumento», evidenzia Civitareale.

E per quanto riguarda il Mol (Margine Operativo Lordo)? Il 38% delle aziende riporta una diminuzione, un altro 38% lo considera stabile, mentre solo il 24% ha visto un incremento. L’incidenza del Mol sul fatturato si distribuisce così: il 33% delle imprese registra un valore fino al 5%, il 36% tra il 5 e il 10%, e il 31% oltre il 10%. Uno sguardo alle retribuzioni, secondo un’indagine Istat, mostra un incremento del 6,5% per il settore metalmeccanico entro la fine dell’anno, contro il 5,4% dell’industria in generale.

Secondi i dati Istat, la Germania è il nostro principale partner economico, sia in termini di export (70,9 miliardi) sia di import (84,9 miliardi), con una partnership complessiva che nel 2024 ha raggiunto il valore di quasi 156 miliardi.

Infine, un tema cruciale: i rapporti commerciali con la Germania. «È il nostro primo mercato di export, ma sta attraversando una crisi interna molto severa, che coinvolge energia e automotive», afferma Civitareale. Il 38% delle imprese ha registrato una diminuzione degli scambi con la Germania, mentre solo l’8% segnala un aumento.

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