Noi non ci saremo: perché il PCI rifiuta la manifestazione del 15 marzo a sostegno dell’Unione Europea

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Nei giorni scorsi, dalle pagine del quotidiano La Repubblica, Michele Serra, editorialista, ha lanciato l’appello “Una piazza per l’Europa” promuovendo una grande manifestazione da tenersi a Roma il prossimo 15 marzo, volta a sostenere il processo di Unione Europea fortemente scosso dalle politiche assunte e/o prospettate dal neo presidente degli USA Donald Trump.

Queste ultime sono dichiaratamente tese a porre fine alla guerra in atto tra Russia e Ucraina e, sul piano economico, ad imporre dazi alle esportazioni europee al fine di riequilibrare lo scambio commerciale in essere, con le relative pesanti ricadute sulla già provata economia del vecchio continente.

All’appello in questione, rivolto indistintamente ai diversi schieramenti politici, che dovrebbero ritrovarsi unicamente sotto la bandiera europea all’insegna del “o l’Europa si fa o muore”, hanno a tutt’oggi aderito, pur con accenti diversi, molteplici soggettività politiche, sindacali e sociali. Ed altre si pronunceranno a breve.

Conto e carta

difficile da pignorare

 

È un dato di fatto che a fronte di ciò sia la compagine governativa che l’opposizione presentano non poche divisioni al proprio interno (emblematica la posizione della Lega da una parte e soprattutto del Movimento 5 Stelle dall’altra che ha proposto una manifestazione alternativa da tenersi il 5 aprile).

Noi, il PCI, non saremo presenti alla manifestazione del 15 marzo.

Al di là della retorica profusa a piene mani circa l’Unione Europea, i suoi principi e valori fondanti (peraltro sovente smentiti dai fatti) che si ritiene messi in discussione dalle posizioni populiste di Trump, la questione centrale attiene alle politiche messe in campo, innanzitutto relativamente alla guerra in atto tra Russia e Ucraina, un conflitto che già ad oggi ha prodotto la drammatica situazione in termini di morti e di distruzione che è sotto gli occhi di tutti.

Tale conflitto si poteva e doveva evitare. Ma l’Unione Europea ha assecondato la deriva bellicista promossa dalla presidenza Biden e, in nome della rinsaldata alleanza euro atlantica a guida statunitense, l’ha sostenuta e rilanciata, con pesanti ricadute sulla propria economia e sul piano sociale. Ancora oggi intende alimentarla, come dimostra quanto proposto nei giorni scorsi dalla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen; e realisticamente la suddetta folle deriva sarà confermata dal Consiglio Europeo straordinario previsto nella giornata odierna.

Ciò che si vuole è consolidare un’Unione Europea non volta alla pace, come peraltro sancito dalle politiche dalla stessa messe in campo in questi ultimi tragici anni, ma protesa alla guerra, ad un militarismo e ad un interventismo sempre più marcati, ad un progressivo incremento delle spese militari.

La proposta oltremodo emblematica è di investire in quattro anni 800 miliardi di euro in spese militari, dei quali 650 presi dai deficit che gli Stati membri potranno fare in più e 150 da un fondo alimentato dal debito comune, che farà prestiti a tassi agevolati, nonché dai fondi di coesione, spese che non rientrerebbero nel Patto di stabilità vigente.

La scelta, sin dal titolo dato al progetto “Rearm Europe”, è quella di andare decisamente in direzione di un riarmo coordinato dei singoli Stati, lasciando sullo sfondo, per le lunghe necessarie procedure, la questione di una difesa comune, di un esercito europeo che comunque, come sottolineato dai suoi fautori, sarebbe parte della NATO a guida statunitense.

L’Unione Europea, che dichiara di volere sostenere l’Ucraina “fino alla vittoria” in nome di un diritto internazionale del quale ha contribuito nel tempo a fare strame, conferma la sua natura, abdica alla ricerca della pace, si prepara alla guerra.

Finanziamenti e agevolazioni

Agricoltura

 

Una scelta sbagliata, che è nell’interesse delle élites economiche e finanziarie che la governano, non certo dei popoli che la abitano.

Ciò che serve è un’Unione Europea altra da quella data.

Per queste ragioni non saremo presenti alla manifestazione del giorno 15 marzo, che si configura come il sostegno ad un progetto che entro le direttrici date dai trattati che la sorreggono chiede più Europa, nonostante la crisi evidente che ne è derivata, non certo quello di un’altra Europa necessaria e possibile assieme.



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