“L’Italia è pronta per la rivoluzione del nucleare, il consenso è vasto. Dopo il referendum non abbiamo mai interrotto la ricerca”

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Il ministro Gilberto Pichetto Fratin è ormai considerato il politico che di più ha voluto il rientro dell’Italia nel nucleare di nuova generazione. Esponente di Forza Italia, da titolare del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, ha indovinato la formula per allineare le sue due competenze, l’energia e l’ambiente, in una direzione univoca e chiara. Lo sviluppo dell’energia verde per antonomasia, il nucleare pulito, è la chiave.

Sul nucleare, Ministro, è la volta buona?
«È la volta buona perché il governo ha licenziato il provvedimento di legge delega. Una legge che ha avuto un anno di preparazione, necessaria a prendere in considerazione tutte le istanze ricevute. Poi tutto è perfettibile. Se il Parlamento vorrà ci potranno essere delle variazioni, ma certamente il passaggio al Consiglio dei Ministri è stato decisivo non per fare annunci, ma per dotare davvero questo Paese di una autonomia energetica, per creare le condizioni giuridiche ma anche tecnologiche perché in Italia si possa andare verso la produzione di energia nucleare sostenibile».

Quindi basato su una visione strategica di medio-lungo periodo?
«Esatto, si tratta davvero di creare il quadro giuridico completo. Non voglio che il Ministro dell’Ambiente e dell’Energia che sarà in carica tra tre o cinque anni quando arriverà un consorzio di imprese intenzionato a dotarsi di un modulo nucleare di nuova generazione, sia obbligato a rispondere che il Paese non è ponto, che le regole non ci sono, che serve ancora tempo per creare l’Autorità o per stabilire quali certificazioni sono necessarie».

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E dunque stabilire regole chiare a monte?
«Esatto, stabiliamo le regole, dotiamoci di tutto e creiamo le condizioni perché si possa guardare avanti. Nei prossimi quindici anni avremo una vera esplosione della domanda energetica. Basta pensare allo sviluppo dei data center, all’intelligenza artificiale, ma anche al semplice aumento dei consumi diretti. Lavorare alla elettrificazione dei sistemi produttivi significa anche decarbonizzazione. E per coniugare la decarbonizzazione alla sicurezza energetica è necessario produrre energia pulita e sicura, serve cioè aggiungere una fonte programmabile come il nucleare alle rinnovabili tradizionali».

Puntando sulle nuove tecnologie, vedremo in campo gli small reactor. SU questo c’è tanta ricerca anche delle start up italiane?
«Sì, c’è tantissima ricerca. Questo settore ha avuto un’accelerazione notevole negli ultimi cinque anni. Io sono stato questa settimana in visita presso una delle start up italiane che si occupa della quarta generazione di reattori, quelli con raffreddamento a piombo, che è proprio la più moderna delle nuove tecnologie. Si tratta davvero di un campo che sta avendo un’accelerazione enorme».

Paradossalmente l’essere stati fermi a lungo ci dà modo di riempire questo vuoto saltando sull’ultima delle tecnologie…
«Abbiamo interrotto l’uso del nucleare con il referendum del 1987 e la riavviamo oggi ma non abbiamo mai interrotto la ricerca. Anzi, siamo rimasti – nonostante questo lungo periodo di blocco – il Paese di Enrico Fermi, che è stato il più illustre studioso che ci sia mai stato in questo settore. Fermi del tutto non lo siamo mai stati. Abbiamo mantenuto un livello di know-how altissimo. Molte commesse del nucleare in Europa sono garantite dall’industria italiana».

Per esempio?
«L’ultima grande centrale è stata costruita da Enel in Slovacchia. E pensi che quando in Francia hanno fatto il maxi reattore Super Phoenix, le imprese italiane ne hanno costruito più di un terzo. Ancora adesso ci sono commesse di centinaia di milioni per quelle che sono imprese con capacità tecniche elevatissime».

Le nostre università trasformano di nuovo qualche centinaio di ingegneri nucleari all’anno. Peccato che spesso vanno poi a lavorare all’estero…
«È chiaro che bisogna creare una filiera della conoscenza: il riavvio della produzione di energia nucleare avrà una ricaduta sul lavoro di impatto notevole. Si tratta di creare una filiera di professionalità che manca nella fascia intermedia di specializzazione. L’energia nucleare di nuova generazione implicherà lo sviluppo di un ramo industriale di primaria importanza per il nostro Paese».

Noi stiamo parlando anche di start up, di innovazione, di ricerca, di università, però è chiaro che è un settore di rilevanza strategica nazionale. Il controllo di sicurezza sullo sviluppo della tecnologia nucleare come verrà effettuato?
«La legge delega prevede un programma di redazione di tutta una serie di norme attuative entro i 12 mesi successivi all’approvazione e naturalmente questi atti riguardano l’istruzione, l’alta formazione, le procedure di localizzazione e installazione, le caratteristiche tecnologiche ai fini della sicurezza, la creazione di un ente che deve dare tutte le garanzie di sicurezza».

Quale sarà questa Autorità?
«Sarà l’evoluzione di Isin, cioè dell’attuale Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare, che dovrà trasformarsi secondo le regole europee e quindi diventare ente certificatore. È chiaro che i prossimi dodici mesi saranno molto impegnativi, proprio perché bisognerà avere tutte le garanzie necessarie».

L’interesse sull’argomento del nucleare è il più ampio, ci sembra di poter registrare anche un cambio nell’opinione pubblica, nelle simpatie, nelle aperture.
«Ho visto un consenso notevole in Italia a partire da quel 21 settembre 2023, giorno in cui ho istituito la Piattaforma Nazionale per il nucleare sostenibile. Ho trovato un vasto consenso in particolare tra i giovani, nel mondo accademico e produttivo e in generale in tutta l’opinione pubblica. Poi certamente anche delle critiche, alcune anche causate dalla necessità di trasferire ai cittadini maggiori e più complete informazioni sulle nuove tecnologie».

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Altre, diciamocelo, a un certo retaggio ideologico. C’è una parte della sinistra che vive nel passato, con una visione museale…
«Esiste dappertutto il no a prescindere come c’è il no di una parte di opposizione legata a un vecchio modo di intendere l’ambientalismo in forma puramente ideologica. A chi mi dice che il nucleare costa troppo evidenzio ce la risposta non può essere data oggi, prima ancora che ci sia il prodotto. Vedremo, valuteremo e decideremo quando ci saranno le condizioni. Poi c’è la richiesta di sicurezza che è una giusta corretta domanda a cui naturalmente va garantita una risposta chiara e completa da parte dello Stato».

Anche nella ricerca c’è dibattito. I sostenitori dell’idrogeno, per esempio…
«Non stiamo escludendo alcuna forma di energia. Abbiamo da poco presentato la Strategia Nazionale per l’Idrogeno. E poi bisogna chiarire ce il nucleare andrà a sostituire il gas e ad affiancare tutte le altre forme di energia rinnovabile, che stiamo fortemente incentivando: dall’eolico, al fotovoltaico, al geotermico. Se vogliamo dare una risposta concreta all’esplosione di domanda di energia che ci sarà nei prossimi due decenni dobbiamo dotarci di un mix energetico completo, senza alcuna esclusione. Soprattutto di natura ideologica».

Come lo immagina, Ministro, questo mix energetico tra dieci anni?
«Lo immagino con un 20% di eolico, 20% di fotovoltaico, 20% di idroelettrico, 20% di nucleare e l’altro 20% tra idrogeno e geotermico. Dobbiamo creare le condizioni per non dipendere da una sola energia».

E tanto più per non dipendere da altri.
«E tanto più per non dipendere da altri. A chi mi dice che non abbiamo l’uranio ricordo che non abbiamo neppure il petrolio e nemmeno i pannelli solari».

Sul PNRR sono stati presi tanti soldi, già spesi per due terzi. Una parte sono andati in palestre, in corsie per l’atletica. Si poteva spendere di più per l’energia?
«Ogni cosa, anche se appena finita, ha bisogno di correzioni. Si pensi alle auto di Formula 1, ce sono forse il più alto concentrato di tecnologia. Eppure, gran premio dopo gran premio le scuderie intervengono con modifiche ed evoluzioni. Il PNRR è nato in un certo momento storico: oggi sembra che siano passati secoli eppure sono solo quattro anni dai tempi del covid. È stato costruito in un certo modo, a tante mani, forse anche senza una scelta politica di lunga visione. Dunque sì, poteva esserci qualcosa di diverso. Ma ci sono anche un po’ di fondi Pnrr per le energie rinnovabili. Ci sono 5 miliardi tra comunità energetiche, agrivoltaico ed eolico. E poi con Repower c’è tutta la parte della cosiddetta linea adriatica: 450 km di nuova tubazione che consentirà di far passare più gas da Sud, miscelato anche a idrogeno».

Il provvedimento sulle concessioni idroelettriche a che punto è?
«C’è l’intenzione del governo di valutare una quarta via che è il rinnovo. Il Ministro delle Politiche comunitarie, Tommaso Foti, sta interloquendo con la Commissione Europea: bisogna sbloccare quello che era un vincolo, in questo caso legato al PNRR. C’è davvero tutta la volontà da parte del Governo di raggiungere l’obiettivo».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.





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