Il caso di Mostro di Milano sarà affrontato nella puntata di questa sera, giovedì 6 marzo, di Detectives: casi risolti e irrisolti. Si tratta della storia della serie di femminicidi omicidi commessi da Antonio Mantovani, tra gli anni ottanta e novanta.
Antonio Mantovani nasce nel 1957 a Trevenzuolo, in provincia di Verona. Un’infanzia segnata dall’abbandono materno e dai maltrattamenti subiti in collegio, che contribuiranno a plasmare una personalità disturbata e incline alla violenza. Già a 13 anni manifesta impulsi sessuali deviati, tentando di violentare una bambina di tre anni. In quel caso Mantovani fu assolto, in quanto minore.
L’omicidio di Carla Zacchi
Nel febbraio del 1983 avviene il primo omicidio: la vittima è Carla Zacchi, 26 anni, il cui corpo viene ritrovato lungo il Canale Villoresi a Monza. L’esame preliminare del cadavere non evidenzia segni di violenza, a eccezione di un labbro spaccato e un ematoma sulla guancia. La donna, sposata con Raffaele Colaianni, era stata dichiarata scomparsa dal marito.
L’autopsia rivela che Carla Zacchi è stata colpita alla testa, strangolata e poi gettata nel canale, con la corrente che ha trasportato il corpo fino al luogo del ritrovamento. Colaianni riferisce agli inquirenti alcuni dettagli inquietanti: la sera della scomparsa, la cornetta del citofono in casa era fuori posto e metà della cena preparata dalla moglie era rimasta sulla tavola. Sottolinea inoltre che la moglie era una persona metodica e precisa, difficilmente sarebbe uscita di casa senza motivo, a meno che non fosse stata attirata da qualcuno di sua conoscenza. Un dettaglio che lo insospettisce è l’assenza, quella sera, di un ospite atteso a una cena tra amici alla quale Colaianni aveva partecipato: Antonio Mantovani, che all’ultimo momento non si era presentato.
Le indagini portano rapidamente i Carabinieri a convocare Mantovani in caserma. I sospetti nei suoi confronti aumentano dopo la testimonianza di tre uomini, i quali dichiarano di averlo visto la sera della scomparsa di Carla in una pizzeria a Sesto San Giovanni con graffi sul volto e sulle mani. Pressato dagli inquirenti, Mantovani giustifica le ferite affermando di essersele procurate mentre lavorava.
Gli investigatori approfondiscono il suo passato e scoprono un curriculum criminale inquietante: oltre a reati di furto e ricettazione, nel 1971 era stato denunciato per atti di libidine su minore e nel 1979 aveva tentato di violentare la moglie di un amico, senza però subire condanna poiché ritenuto semi-infermo di mente.
Il processo conferma la sua colpevolezza. La sera del delitto, consapevole dell’assenza del marito di Carla, Mantovani si era recato da lei con l’intento di sedurla. Al suo rifiuto, aveva reagito con violenza, picchiandola fino a farle perdere i sensi, per poi strangolarla e gettare il corpo nel canale.
Il 5 dicembre 1985, Antonio Mantovani viene condannato a 29 anni e due mesi di reclusione.
Gli omicidi degli anni novanta
Nel 1996 ottiene la semilibertà, ma pochi mesi dopo uccide Dora Vendola, strangolandola nella sua auto. Nonostante i sospetti, mantiene la semilibertà e nel 1997 commette altri due omicidi: Simona Carnevale, giovane parrucchiera scomparsa a Milano, e Cesarina De Donato, sua padrona di casa, trovata carbonizzata nel proprio letto con una macabra messinscena: il corpo della donna giaceva, infatti, sul letto semicarbonizzato e intorno al suo volto erano presenti i segni di alcuni sacchetti di plastica.
In modo particolare, della scomparsa di Simona Carnevale si occupa il programma Chi l’ha visto. La redazione del programma riceve una lettera anonima in cui si racconta di un’aggressione subita dalla giovane in metropolitana. Secondo l’autore della missiva, dopo l’aggressione, Simona sarebbe stata caricata a forza su un’auto e portata via.
A puntare il dito contro Mantovani sul caso Carnevale, è Carlo Fermi, un suo compagno di cella, che dopo aver visto in televisione una foto della ragazza scomparsa, ricorda di averla vista in compagnia proprio dell’uomo. Fermi riferisce inoltre che, la sera della scomparsa di Simona, il compagno di detenzione era rientrato dalla semilibertà in evidente stato di agitazione e gli aveva confessato di aver ucciso una ragazza, chiedendogli aiuto per farne sparire il corpo.
Nel frattempo, Mantovani viene ritenuto responsabile anche dell’omicidio della sua padrona di casa, Cesarina De Donato.
Il 19 aprile 2000, dinanzi alla Corte d’Assise di Milano, si apre il processo contro Antonio Mantovani, accusato del duplice omicidio di Simona Carnevale e Cesarina De Donato, oltre che di distruzione di cadavere, occultamento di un altro corpo, ricettazione e falso in relazione alla falsificazione di un passaporto e di una carta d’identità (reati commessi durante la sua evasione dal regime di semilibertà).
Nonostante Mantovani continui a professarsi innocente, il 12 novembre 2001 viene condannato all’ergastolo per l’omicidio di Simona Carnevale e a 29 anni di reclusione per l’omicidio di Cesarina De Donato. La sentenza viene confermata sia in Appello sia in Cassazione, il 13 giugno 2002.
Antonio Mantovani, che non ha mai ammesso le proprie responsabilità, si suicida nel carcere di Saluzzo il 28 marzo 2003.
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