Uno sciopero per amore di giustizia. Colloquio con Cesare Parodi

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La protesta all’inaugurazione dell’anno giudiziario e l’astensione dal lavoro dello scorso 27 febbraio. Giudici e pm sono uniti contro la riforma delle carriere. Parola del presidente Anm

L’Associazione nazionale magistrati, che lei presiede, ha espresso ferma contrarietà al disegno di legge costituzionale in tema di separazione delle carriere, giungendo, nel corso della cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario, ad abbandonare l’aula quando hanno preso la parola il ministro Carlo Nordio (a Napoli) o i delegati in rappresentanza del governo (negli altri distretti delle Corti d’Appello). Perché questa riforma è così pericolosa?

 

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«Vorrei rispondere di no, ma non sarei sincero. Stiamo parlando dei princìpi fondamentali che hanno improntato il sistema giustizia e che hanno delineato il ruolo e la funzione del pm e l’indipendenza, in senso sostanziale, di tutti i magistrati. Un sistema che è stato adeguato, in termini assolutamente condivisibili, con le disposizioni sul giusto processo. Forse non ci rendiamo conto che, sottolineando la necessità di un giudice terzo, stiamo affermando che sino a oggi non lo abbiamo avuto. I numeri sulle assoluzioni, il dovuto rispetto per il lavoro che i giudici italiani hanno svolto in tutti questi anni impongono una ferma risposta a una tesi che parrebbe non solo voler alterare gli equilibri per il futuro, ma sostanzialmente anche delegittimare il passato. Non mi pare cosa da poco». 

 

La posizione dell’Anm è condivisa dalla maggioranza dei magistrati italiani? Anche dei magistrati giudicanti?

 

«Assolutamente sì. Chiedere oggi un giudice terzo significa – come ho già detto – che finora non lo abbiamo avuto. Se fossi un giudice, non lo riterrei un complimento. I colleghi giudici sono molto orgogliosi della loro indipendenza e autonomia di giudizio. E i numeri dello sciopero parlano da soli. Conosco molti colleghi che non avevano mai scioperato e che questa volta hanno ritenuto di doverlo fare e conosco altri colleghi che non condividono lo sciopero come strumento di protesta e non hanno aderito, ma che sono fermamente convinti delle ragioni che hanno portato a scioperare».

 

Uno degli argomenti posti per opporsi alla separazione delle carriere è il rischio che il pm diventi dipendente dal potere esecutivo. Il testo della riforma non prevede questa eventualità. Da cosa nasce questo timore? Ci sono segnali in tal senso? In che modo potrebbe avvenire la sottomissione della magistratura inquirente al potere esecutivo?

 

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«Come cittadino mi sento oggi maggiormente garantito, come potenziale indagato, sapendo che il Pubblico Ministero è un organo che si fa carico di un’indagine a 360 gradi sulle condotte che mi vengono contestate. Considerate l’attuale criterio di valutazione previsto dalla riforma Cartabia, dove il pm per primo è chiamato a valutare se gli elementi consentono una ragionevole previsione di condanna. Bene, proprio nel momento in cui questo principio è stato introdotto nel sistema penale, noi chiediamo al Pubblico Ministero di assumere un ruolo diverso. Le nostre ragioni riguardano il ruolo del Pubblico Ministero che è un soggetto, quando inizia le indagini, libero di indagare e valutare solo in base alla sua coscienza e alla sua professionalità. Un Pubblico Ministero doverosamente libero, ma senza pregiudizi. L’avvocato, che è una parte fondamentale del sistema giudiziario – se sarà inserita la sua figura in Costituzione, io sarò il primo a rallegrarmene – evidentemente ha dei doveri nei confronti del proprio assistito. Non ha l’obbligo di depositare prove contrarie al proprio assistito, se lo fa viene meno al suo ruolo. Il Pubblico Ministero ha, invece, in ogni fase del procedimento, dei doveri nei confronti della legge e della propria coscienza. Questo è il punto fondamentale. Perché vogliamo in qualche modo rinunciare a questo? A chi sottolinea che nella riforma non è previsto formalmente l’assoggettamento del pm all’esecutivo e che non è neppure prevista una differente applicazione degli attuali princìpi processuali che impongono al pm di cercare prove a favore anche dell’indagato rispondo che la riforma deve essere valutata in base al generale impatto che può avere sul sistema. Un pm non adeguatamente rappresentato in sede di Csm, oppresso dal timore di incorrere in responsabilità disciplinari di natura “oggettiva”, condizionato dalla necessità di evitare possibili accuse di giustizia ideologica è già un pm che ha perso la propria indipendenza. È un pm destinato a un irreversibile mutamento genetico, calato progressivamente in un’ottica efficientista di ricerca delle condanne».

 

Quindi questa riforma potrebbe comportare uno scadimento della qualità della giustizia italiana?

 

«Spesso la Camera penale interviene, anche con scioperi, quando ritiene che modifiche normative possano incidere sulle garanzie dei cittadini. È uno slancio nobile nelle intenzioni. Mi chiedo: un pm debole, timoroso di conseguenze disciplinari ingiuste, condizionato da poteri forti o semplicemente da cittadini “forti” rispetto ad altri più deboli – magari molto più deboli – è una prospettiva che lascia tutti tranquilli o non sarebbe preferibile un pm pronto ad ascoltare le ragioni di coloro che sono ingiustamente accusati?». 

 

Le carriere di giudici e pubblici ministeri sono separate in moltissime democrazie occidentali. Quali rischi potrebbero esservi in Italia che invece non si sono registrati in altre nazioni?

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«È assolutamente pacifico che in molti Stati dove le carriere sono separate esistono forme di controllo o condizionamento dell’esecutivo sul pm. È questa la soluzione che vogliamo? Vogliamo davvero che a ogni mutamento politico, in esito alle elezioni, la parte soccombente abbia motivi di temere indagini strumentali all’affermazione del potere gestita dai pm condizionati dai nuovi organi governativi? È una prospettiva accettabile? Sarebbe una possibilità così remota? Personalmente non lo credo. Non solo. Mi chiedo: perché non si è parlato del Pubblico Ministero come di soggetto sottoposto soltanto alla legge, come prevede l’articolo 101 della Costituzione per i giudici? Qual è il motivo per cui questo non è avvenuto?».

 

Oggi il giudice è davvero terzo ed equidistante dalle parti come imposto dal Codice e dalla stessa Costituzione?

 

«Osservi i numeri delle assoluzioni: la risposta la può trovare in quei numeri ed è oggettiva. Mi pare inequivocabile». 

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La fiducia dei cittadini nei confronti della giustizia è ridotta ai minimi termini o comunque sensibilmente diminuita. Qual è, secondo lei, la causa? La separazione delle carriere potrebbe riaccendere e rinsaldare quella fiducia?

 

«Domanda delicata e complessa. Questa riforma non sarebbe stata ipotizzata se non si fosse creata, nel tempo, una diffusa opinione negativa sul ruolo, sui poteri, sulle scelte della magistratura. Questo è l’humus all’interno del quale la volontà di riforma è nata, è cresciuta e ha assunto le attuali forme. Noi non nascondiamo i problemi, le criticità che si sono manifestate. Se oggi vogliamo essere creduti, quando affermiamo che difendiamo i princìpi della Costituzione in tema di giustizia nell’interesse solo dei cittadini, dobbiamo prima dimostrare di essere credibili. Questa è la nostra vera sfida per i prossimi mesi: difficile, ma senza alternative».

 

L’Anm sarebbe disponibile a un dialogo per apportare modifiche al testo di legge – penso, ad esempio, alla previsione del sorteggio – o la sua contrarietà alla riforma è assoluta, senza che sia possibile raggiungere alcuna forma di compromesso?

 

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«È proprio la natura non ideologica delle ragioni che portano Anm a opporsi alla riforma che rende logicamente ardua questa possibilità. Su ognuno dei punti della riforma esistono delle ragioni specifiche, che abbiamo più volte descritto, le quali rendono sostanzialmente impossibile una logica di scambio».

 

Rispetto all’istituzione dell’Alta Corte disciplinare, qual è il suo pensiero? Crede che il Csm abbia svolto bene la funzione disciplinare o sul punto è opportuna un’autocritica?

 

«L’opposizione all’Alta Corte, in estrema sintesi, si fonda su più argomenti. Prima di tutto, si tratta di una scelta che desta quantomeno qualche stupore, perché tutti gli organismi di valutazione in sede disciplinare sono in realtà fortemente integrati con il momento gestionale organizzativo dell’ente, nell’ambito del quale le responsabilità disciplinari vengono valutate. Ci pare difficile che ci possa essere una scissione tra quella che è la valutazione dell’attività fisiologica di un ente, di un organo, e quello che è il momento disciplinare, quindi patologico, dello stesso. Come si fa a valutare correttamente i profili patologici, se non si conosce nel dettaglio quotidianamente quella che è la fisiologia del sistema e del suo funzionamento? A noi interessa che chi potrà valutare dal punto di vista disciplinare la condotta dei colleghi sia pienamente calato in questa realtà, fortemente calato, perché solamente in questo modo ci potrebbe essere una valutazione equa, fondata su una conoscenza concreta dell’attività dei colleghi. Inoltre, dobbiamo rilevare che il nuovo sistema prevede una valutazione in sede di appello sempre in capo all’Alta Corte. Non voglio neanche porre un problema di autoreferenzialità: mi permetto di rilevare come in questo modo l’Alta Corte verrebbe completamente svincolata dalle indicazioni della Corte di Cassazione, che invece è la massima garanzia per tutti i cittadini, anche in una prospettiva di lettura ai sensi dell’articolo 111 della Costituzione». 

 

Lo sciopero del 27 febbraio scorso è stato partecipato? È soddisfatto?

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«Lo sciopero non è stato solo un successo, ma anche un evento di grande portata per la vita associativa. Dopo molti anni di polemiche e di divisioni – per certi aspetti fisiologiche – lo sciopero e ancora più le valutazioni sulla riforma ci hanno consentito di scoprire che sono più le ragioni ideali che ci accomunano di quelle che ci dividono. Vecchi e giovani, moderati e democratici. Ho cercato di dare un nome a questo e forse è facile. Siamo tutti, in fondo, innamorati dei princìpi della Costituzione in tema di giustizia. L’amore si declina in vari modi: con passione o con tenerezza, con impeto o con dolcezza (mai con violenza). Ecco: siamo tutti innamorati, ciascuno a suo modo. Ed è una splendida sensazione».



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