Sul Sud Sudan l’ombra di un nuovo conflitto

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Arrestati i vertici militari in capo all’SPLM-IO. Combattimenti nell’Upper Nile tra forze governative e milizie filo-opposizione

La tensione monta ormai da mesi. Gli arresti a Juba sono collegati a quanto sta avvenendo nella contea di Nasir, teatro da metà febbraio di scontri tra le Forze di difesa popolare del Sud Sudan (SSPDF) e la milizia White Army, affiliata all’SPLA-IO

Il presidente Salva Kiir (a sinistra) e il primo vicepresidente Riek Machar (Credit: CGTN)

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Il Sud Sudan rischia di sprofondare, nemmeno troppo lentamente, verso un nuovo conflitto. Lo fa temere il susseguirsi di notizie che arrivano dalla capitale Juba e da territori roccaforte dell’opposizione, in particolare nello Stato di Upper Nile, teatro di pesanti combattimenti.

Arrestati i vertici militari e un ministro dell’opposizione

Ma partiamo dalla capitale, dove ieri, 4 marzo, al quartier generale dell’esercito è stato arrestato il capo di stato maggiore delle forze armate, tenente generale Gabriel Duop Lam.

Lam è dal 2022 il numero due dell’esercito ed è un alto ufficiale del Movimento di liberazione del popolo sudanese in opposizione (SPLM-IO), partito politico/milizia che fa capo al primo vicepresidente del Sud Sudan, Riek Machar.

Secondo il portavoce di Machar, anche Wesley Welebe, Koang Gatkuoth e un altro generale dell’opposizione sono in stato di detenzione. In manette da questa mattina anche il ministro del petrolio Pout Kang Chol, i suoi famigliari e numerosi altri membri dell’SPLM-IO.

Da ieri inoltre, forze di sicurezza, compresa la divisione d’élite Tiger, sono dispiegate nelle strade di Juba, in particolare attorno alla residenza di Machar.

Le tensioni politiche tra il presidente Salva Kiir e il suo vicepresidente, esponenti di punta dei due movimenti armati che hanno combattuto uno contro l’altro per cinque anni, dal 2013 al 2018, montano ormai da mesi.

Aspri combattimenti nell’Upper Nile

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Gli arresti sono direttamente collegati a quanto sta avvenendo nella contea di Nasir, nello Stato nord-orientale dell’Upper Nile, dove da metà febbraio si registrano scontri quasi quotidiani tra le Forze di difesa popolare del Sud Sudan (SSPDF) e la milizia composta da giovani di etnia nuer, nota come White Army (Esercito Bianco), affiliata all’SPLA-IO.

Scontri che si sono intensificati nei giorni scorsi, trasformandosi in pesanti combattimenti. Nella serata di ieri il leader del White Army, Ter Chuol Gatkuoth, ha dichiarato a Radio Tamazuj che la città era sotto il loro controllo e che i soldati delle SSPDF erano stati cacciati. Una notizia non confermata da altre fonti.  

Vecchi e nuovi attriti

Nasir è una piccola città strategica vicina al confine con l’Etiopia. La zona è da tempo terreno di tensioni legate alla presenza delle forze armate, accusate di violenze contro i civili.

La situazione si è infiammata dopo che il governo ha deciso di schierare nuove truppe in sostituzione di quelle di stanza nell’area da diversi anni. Una mossa che ha suscitato malessere tra la popolazione che teme che le SSPDF possano avviare una campagna di disarmo, accompagnata da nuove vessazioni.

Scontri sul terreno e attacchi aerei effettuati dalle SSPDF su presunte postazioni dell’SPLA-IO sono stati segnalati anche nella contea di Ulang e in quella di Nyirol, nel vicino Stato di Jongley.

Il fantasma di un esercito unificato

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La comunità locale contesta il dispiegamento delle SSPDF e delle alleate milizie etniche Agwelek, guidate dal generale Johnson Olony, chiedendo invece l’impiego della Necessary Unified Force (NUF), come delineato nell’accordo di pace del 2018.

La NUF è la forza militare che avrebbe dovuto assorbire e rimpiazzare le due milizie che si sono contrapposte durante la guerra civile, divenendo l’unico esercito regolare del Sud Sudan.

Di fatto però la sua piena operatività resta in alto mare, così come gran parte del processo che avrebbe dovuto portare il Paese alle sue prime libere elezioni dall’indipendenza, ottenuta dal Sudan nel 2011. Elezioni più volte rimandate rispetto alla data prevista, nel 2023, e ora fissate al dicembre 2026.

Terminata la prima fase di addestramento e dispiegamento, il processo si è fermato per mancanza dei fondi necessari al pagamento degli stipendi dei militari, alle loro necessità di base e all’implementazione della prevista seconda fase.

Molti soldati rimasti senza soldi, cibo, acqua e assistenza medica, hanno abbandonato le loro basi disertando, come denunciato lo scorso agosto dalla Commissione congiunta di monitoraggio e valutazione ricostituita (R-JMEC), incaricata di sovraintendere l’implementazione degli accordi di pace.

Due milizie etniche ancora contrapposte

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A fare le veci di un esercito fatiscente sono le SSPDF, nuova denominazione data all’SPLA, braccio armato del Movimento popolare di liberazione del Sudan che fa capo al presidente Salva Kiir.

Nella sua analisi pubblicata il 3 marzo da Radio Tamazuj, Dak Buoth Riek Gaak, presidente degli affari legali e costituzionali del Movimento popolare del Sud Sudan (SSPM), così descrive il quadro attuale: “Sebbene il nome sia cambiato, le politiche e le filosofie di base delle SSPDF rimangono invariate”.

“La forza – prosegue – continua a operare con una mentalità politica, discriminatoria e tribale. La logica alla base del cambio di nome era quella di riqualificare e rinominare l’esercito in una forza moderna in grado di salvaguardare la sovranità della nazione e del suo popolo da minacce esterne. Tuttavia, questo obiettivo non è stato raggiunto”.

Sul fronte opposto resta attivo anche braccio armato del SPLM-IO di Riek Machar.

Ben lungi dallo smantellamento dei gruppi armati e dalla creazione di un esercito unificato, sei anni dopo la firma della pace, i due uomini protagonisti del devastante conflitto, rimangono dunque ancora alla testa delle rispettive milizie etniche.

Ora, le forze fedeli a Machar accusano forze governative di ripetute e importanti violazioni dell’accordo di pace.

Preoccupazione e appelli al dialogo

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“Entrambi i leader politici saranno ritenuti i principali responsabili se il Paese tornerà alla guerra su vasta scala a causa della cattiva gestione di questa crisi”, ha avvertito il direttore esecutivo del Center for Peace and Advocacy (CPA), Ter Manyang Gatwech.

Altrettanto allarmanti le dichiarazioni del capo della Missione delle Nazioni Unite in Sud Sudan (UNMISS): “Finora – avvertiva la scorsa settimana Nicholas Haysom – la violenza che si è intensificata è stata una violenza intercomunitaria, ma ora stiamo rilevando qualcosa che assomiglia a un conflitto politico. Che si sta diffondendo… E questo ci preoccupa ancora di più”.

Profonda preoccupazione e appelli al dialogo sono stati espressi anche dalla Missione dell’Unione Africana in Sud Sudan (AUMISS), dall’Autorità intergovernativa per lo sviluppo (IGAD) e dalla Commissione monitoraggio R-JMEC.

Il primo a reagire è stato Riek Machar che il 27 febbraio ha chiesto un vertice con Salva Kiir per discutere del deterioramento della sicurezza. Un incontro che si è tenuto il 3 marzo a Juba. Al termine solo una dichiarazione di circostanza del ministro dell’Informazione Michael Makuei Lueth: “I leader hanno concordato di collaborare per il bene della nazione”, il suo messaggio alla stampa.

Parole rassicuranti, pronunciate però proprio mentre a Nasir si registravano nuovi, intensi combattimenti, con un numero imprecisato di vittime e molti residenti in fuga, e solo poche ore prima della raffica di arresti di alto livello avvenuti nella capitale. 





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