FI sostiene il piano ReArm Eu, Lega furiosa e contraria. La premier in Ue media. Divisa anche l’opposizione: Pd critico ma non chiude del tutto, M5s sulla linea leghista
Anche visto da Bruxelles, dove Giorgia Meloni è arrivata solitaria e soprattutto silente per partecipare al consiglio straordinario Ue con al centro l’ipotesi di riarmo, il panorama della politica interna italiana è sempre più desolante. Spaccata è la maggioranza, divisa è anche l’opposizione sulla complessa questione del piano ReArm Eu da 800 miliardi, proposto da Ursula von der Leyen. Forse solo quest’ultima è la nota positiva per la premier, che da settimane ormai continua a rifiutare di presentarsi in parlamento per rendere conto della posizione dell’Italia a livello internazionale come chiesto da Pd e Movimento 5 Stelle.
Del resto, l’imbarazzo è molto e le crepe nella maggioranza di governo sono sempre più evidenti. Da una parte Forza Italia, la forza più europeista che con il Ppe sostiene il piano di riarmo che «è garanzia di sicurezza, non di guerra» e soprattutto è «favorevole alla difesa comune e all’esercito europeo», come ha detto il vicepremier Antonio Tajani, che pure ha definito «infelice» la scelta del nome del piano. Il ministro degli Esteri ha infatti ribadito che, in ogni caso, la «spesa militare dovrà salire al 2 per cento», come chiede la Nato.
Il no della Lega
Su posizioni diametralmente differenti, invece, c’è l’altro vicepremier, Matteo Salvini, che ha definito il ReArm Eu «una scelta sbagliata, a partire dal nome» e si è detto contrario su tutta la linea perché «bisogna investire in sanità , non in armi». Nel mezzo, ancora una volta, c’è la presidente del Consiglio.
Consapevole che gli alleati sono ai ferri corti e ormai non si premurano nemmeno più di dissimulare il reciproco fastidio, Meloni non può far altro che predicare prudenza. Anche FdI è favorevole a una difesa comune, dunque il piano di von der Leyen potrebbe essere appoggiato, ma il timore è sull’accento – considerato «eccessivo» – sull’acquisto massiccio di armi. Il timore è che l’enfasi sul riarmo non piaccia all’elettorato, che invece risponderebbe meglio ai richiami sulla sicurezza. Tesi, questa, condivisa con Tajani. Tuttavia da palazzo Chigi trapela anche una certa perplessità sul fatto che il piano di Bruxelles possa avere un impatto negativo sul debito: la spesa ipotizzata sarebbe ingente e la finanziaria licenziata in dicembre era invece francescana pur di non sforare sui conti. Anche per questo sono stati condivisi i dubbi manifestati dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che ha frenato davanti a piani «fatti in fretta e senza logica».
La posizione di Meloni, dunque, è riassumibile in un’analisi soprattutto di natura economica: l’Italia sarà contraria al dirottamento dei fondi di coesione sull’acquisto di armi – salvi i casi di scelte volontarie in questo senso da parte dei paesi ai confini con la Russia – e spesa per il riarmo dovrà rientrare nella contabilizzazione in ambito Nato. La speranza, inoltre, è che il dibattito sulle spese di difesa possa portare a una modifica più allargata dei vincoli del patto di Stabilità .
Il tentativo è quello di usare il dialogo sulle spese militari per tentare di conciliare ciò che ad oggi appare ancora inconciliabile: le esigenze comuni europee e le richieste del presidente americano Donald Trump. In questo senso, infatti, va la richiesta di conteggiare i futuri investimenti nei programmi di difesa europei in quella percentuale di Pil che gli Stati Uniti hanno chiesto ai paesi Nato di spendere.
La premier, tuttavia, è cosciente del fatto che molto del successo politico dell’operazione passa da come il piano di von der Leyen verrà comunicato, anche a destra. La convinzione è che il concetto di difesa vada allargato: non solo armi, ma anche «cybersicurezza, di infrastrutture, di ricerca e sviluppo». In questo il nome ReArm Eu non è certo d’aiuto e anzi, è un assist interno alla linea del no di Salvini.
Le opposizioni
Se il centrodestra è spaccato, con la Lega sempre più solitaria su posizioni contrarie e anti-europeiste, anche il centrosinistra non gode di coesione interna.
La segretaria del Pd, Elly Schlein, ieri è volata a Bruxelles per un incontro dei Socialisti europei. All’interno il suo partito ribolle, con posizioni molto distanti tra l’ala sinistra molto scettica sul riarmo e il gruppo dei riformisti. Schlein, dunque, deve muoversi con cautela: «Inaccettabile utilizzare i fondi di coesione e dirottarli sulla spesa militare», ha detto, spiegando le critiche al piano von der Leyen: «Noi crediamo che serva una difesa davvero comune, non l’aiuto al riarmo dei 27 singoli stati nazionali. Sono due cose molto diverse», con «progetti fatti insieme da più paesi europei, interoperabilità dei sistemi di difesa, coordinamento dei sistema di difesa». Lineare sulla carta, più complicato da mettere a terra in un breve e medio periodo, come la fase geopolitica del momento richiede.
Nemmeno a dirlo, diametralmente opposta (e con molte assonanze con quella leghista) è la posizione del Movimento 5 Stelle. «Noi siamo sempre stati contrari ad investire soldi nelle armi», ha detto il leader Giuseppe Conte, che ha criticato le aperture dei socialisti al piano ReArm Eu, che ha definito «folle». Sui social ha scritto che «dobbiamo fermare questa logica per cui si spende sempre di più in armi, mentre si tagliano le buste paga» e ha invitato i cittadini a scendere in piazza il 5 aprile contro il governo Meloni. Come in passato l’invio di armi in Ucraina, oggi il riarmo europeo mostra la frammentazione politica italiana dentro i due principali blocchi. Con una differenza: se in passato la premier si era sempre assunta la responsabilità delle scelte rivendicandole apertamente, oggi il suo silenzio mostra come qualcosa – dentro palazzo Chigi – si stia inceppando.
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