La Palestina affonda nel triangolo Trump-Putin-Bibi

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Funzionerà il piano arabo-egiziano per Gaza, reggerà la tregua tra Hamas e Israele? Ecco l’aria che tira: «In Medio Oriente stiamo riportando indietro i nostri ostaggi da Gaza». Così ha detto Trump al Congresso. È sempre più evidente che nel complesso militar-industriale israelo-americano a prevalere è sempre Israele, anzi la «Grande Israele», che va insieme – e forse prima ancora – di Maga (Make America Great Again). Putin, che ha visto all’Onu il voto a lui favorevole di Usa e Israele, nei fatti è d’accordo e viene premiato da Trump. Del resto sia il leader israeliano che quello russo erano stati indicati come i «grandi elettori» esterni del tycoon americano.

In vista ci sono più venti di nuove guerre che di pace. Gli inviati di Trump si sono presentati da Netanyahu con quattro miliardi di dollari di aiuti militari e decine di tonnellate di bombe ad alta penetrazione. Il messaggio è chiaro: se i palestinesi e Hamas non si piegano Trump, con Netanyahu, è pronto «a scatenare l’inferno».

Che una sorta di infernale Patto di Abramo leghi i destini del Medio Oriente a quelli dell’Est europeo non è così sorprendente. Su tutti e due i fronti gli Usa legittimano l’occupazione di territori altrui (da parte dei russi e degli israeliani), visto che anche loro ambiscono a prendersi almeno la Groenlandia, come ha ribadito Trump, e le terre rare ucraine. Siamo in un colonialismo di stampo ottocentesco dove i popoli scompaiono ed esiste solo lo sfruttamento delle risorse. Israele non ha più limiti perché nel mondo di Trump, dove non ci sono più amici e alleati, lo stato ebraico detta l’agenda del presidente americano. Israele, oltre ai territori palestinesi, occupa pezzi di Libano e di Siria, da dove non solo non ha intenzione di andarsene ma punta ad allargare la sua influenza ergendosi come protettore dei drusi. In realtà, come previsto, è in atto la spartizione della Siria tra israeliani e turchi, in quanto la nuova leadership di Damasco non è in grado di controllare il territorio.

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Ma c’è dell’altro. Sta succedendo qualcosa che non ha precedenti nella storia israeliana, scrive Gideon Levy su Haaretz. Mentre una guerra non si è ancora spenta del tutto, Tel Aviv sta già provocando la successiva. L’orizzonte «diplomatico» di Israele, dice Levy, ora consiste solo in una guerra dopo l’altra, senza prendere in considerazione alternative. Ne ha almeno tre in programma: riprendere quella a Gaza, bombardare l’Iran e scatenare un conflitto in Cisgiordania che sta alimentando già dal 7 ottobre 2023. L’occupazione israeliana della West Bank è diventata più brutale che mai. Il giorno dopo gli attentati di Hamas ha di fatto rinchiuso in una prigione i tre milioni di abitanti della Cisgiordania: i posti di blocco fissi e temporanei sono circa 900, spostarsi è diventata una scommessa. I coloni guadagnano terreno ogni giorno. L’unico piano di Israele per i palestinesi è l’espulsione di massa, vale sia per Gaza che per la Cisgiordania, dove vengono svuotati i campi profughi, distrutte le reti idriche ed elettriche, finché non resterà più nulla e nessuno e Trump potrà riconoscere l’annessione israeliana della West Bank, come aveva promesso nel suo primo mandato quando diede già la sua approvazione a Gerusalemme capitale e al Golan siriano occupato.

Gli arabi riuniti al Cairo, guidati del presidente egiziano al-Sisi, un piano per Gaza lo avrebbero trovato, con lo scopo di tenere in vita la soluzione a due stati: prevede l’istituzione di un comitato per Gaza, sotto l’egida del governo dell’Anp, per gestire il territorio durante una fase di transizione di sei mesi, seguita da una ricostruzione in due tempi del valore di oltre 50 miliardi di dollari.

Ma come sottolineava ieri Michele Giorgio sul ö nessuno dei partecipanti al vertice ha garantito un solo dollaro.

La stessa tregua a Gaza è ad alto rischio. Israele vuole il rilascio a breve degli ultimi ostaggi e l’estensione della prima fase del cessate il fuoco, proposta dagli Usa, appare assai incerta. Se non si segue l’agenda di Tel Aviv il governo di Netanyahu tornerà in guerra, con più armi e più soldi degli Stati uniti per polverizzare Hamas.

In tutto questo l’Europa è assente. Impaurita e stordita per l’abbandono americano, stanzia centinaia miliardi per la sua difesa e sta soltanto abbattendo le risorse per l’unica cosa che la distingue dal resto del mondo: lo stato sociale, la sanità pubblica, le pensioni, l’istruzione, l’assistenza alle fasce più vulnerabili. Ma questo è anche il prezzo che si paga per avere accettato sotto casa decenni di occupazione e il genocidio di un popolo senza muovere un dito, essendone anzi complici. Affondiamo nel Mediterraneo tra Trump, Netanyahu e Putin come nel fatale triangolo delle Bermuda.



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