I paesi europei incapaci di usare le risorse generate dal mercato del carbonio

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Se l’Italia non brilla per capacità di spesa dei proventi generati dal sistema ETS, anche altri paesi dell’Unione mostrano scarsa trasparenza nella rendicontazione e un uso non conforme dei fondi: secondo la NGO Bellona Europa (How to allocate carbon princing resources, 2024), solo nel 2022, ben 11 miliardi di euro su 30 non sono stati spesi in azioni climatiche. Nell’analisi di Bellona sotto accusa non è tanto la cattiva volontà degli Stati – per quanto riluttanti nell’accettare che una direttiva di Bruxelles dica loro come cosa fare dei propri fondi – quanto gli obiettivi indicati dall’EU nell’ultima riforma del 2023 (riduzione emissioni e sviluppo delle reti elettriche; evitare la deforestazione; miglioramenti nell’efficienza energetica; rimozione della CO2; azioni climatiche per i paesi terzi vulnerabili, copertura dei costi amministrativi della gestione ETS) che sarebbero «vaghi e privi di criteri basati sulla scienza», tali da assicurare che vengano effettivamente indirizzati verso attività a favore dell’ambiente.

INOLTRE, A QUESTE AZIONI NON VERREBBERO dati livelli di priorità. Per esempio, nel report di Bellona si fa riferimento al vantaggio climatico di infrastrutture abilitanti come le reti elettriche che è «significativamente maggiore rispetto alle tecnologie di rimozione come le tecnologie DACCS (Direct air carbon capture and storage). Questo lascia la porta aperta a possibili azioni climatiche inefficaci, o di greenwashing».

IN UNA LETTERA CONGIUNTA DI VARIE ONG che si occupano di politiche climatiche (tra cui ECCO, Bellona, Transport and Environment) e istituti di ricerca indirizzata al Direttore generale per l’azione climatica Kurt Vandenberghe, vengono richiamati alcun principi-guida che gli stati membri dovrebbero tenere in considerazione per l’allocazione dei fondi ETS: là dove vengono spesi in misure per la decarbonizzazione, queste devono avere impatti dimostrabili, contribuire alla riduzione dei gas in atmosfera, non devono costituire un ostacolo alla decarbonizzazione di altri settori. Inoltre, va data priorità alle misure più tempestive e a quelle che non creano danni ad altri obiettivi ambientali dell’UE nel quadro delle politiche del Green Deal.

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NEL RAPPORTO SULLA COMPETITIVITA’ presentato in autunno, anche Draghi ha parlato di un uso non adeguato dei proventi ETS: nelle sue raccomandazioni ha richiesto una revisione degli utilizzi, sottolineando che «non sono stati destinati a sostenere il cammino verso la decarbonizzazione e la competitività delle industrie» e che andrebbero spesi «per incentivare la produzione di tecnologie pulite».

IL MODELLO POTREBBE ESSERE la Germania, il paese europeo dove le aste ETS generano i proventi maggiori. La Germania incanala tutti gli introiti nel KTF (Climate and Transformation Fund), un fondo ibrido legalmente ed economicamente separato dal bilancio federale nel quale affluiscono anche altri stanziamenti da parte dello stato: per il 2024, dei circa 25 miliardi € di fondi, 18 miliardi provenivano dal sistema ETS (5,5 miliardi da EU ETS, e 13 miliardi dall’ETS nazionale tedesco Emissionshandelssystem, o nEHS, introdotto nel 2021). Il fondo viene amministrato da vari ministeri (Affari economici e clima e Finanze): secondo il think tank tedesco Agora i fondi sono stati utilizzati per il 49% nel 2022, e il 56% nel 2023.

SI TRATTA DI UN FONDO ABBASTANZA trasparente con dati facilmente accessibili secondo Michael Pahle, a capo del Climate and Energy policy del Potsdam Institute for Climate Impact Research. «I fondi disponibili vengono effettivamente impiegati in misure climatiche – spiega Pahle – la quota maggiore per progetti di efficientamento energetico degli edifici, per la decarbonizzazione delle industrie, l’espansione delle rinnovabili oltre a numerosi progetti minori. Con una sola eccezione: i sussidi all’industria dei semiconduttori (usati nella produzione anche dei pannelli fotovoltaici, ndr), che può essere più o meno in linea con le azioni di decarbonizzazione. Si tratta di una scelta politica».

ORA CHE LA NORMA EUROPEA sull’utilizzo dei fondi ETS è diventata più stringente e il 100% deve essere destinato ad azioni per il clima, il 2025 sarà un anno chiave per capire come gli Stati europei intendono fare di questi «tesoretti» che diventano sempre più consistenti con l’aumento del prezzo della CO2. «Penso che nel 2025 capiremo se le norme più stringenti e più precise introdotte nel 2023 hanno avuto effetto. Non credo che ci sia mancanza di chiarezza nelle norme, ma c’è sempre spazio per l’interpretazione. Nulla vieta che investimenti per l’energia nucleare possano essere messi in relazione all’efficienza energetica. Il vero nodo è la trasparenza, ma da ora in poi dovrebbe diventare più chiaro come vengono usati i fondi e semmai la Commissione valuterà come correggere il tiro», commenta Pahle.

COME L’ITALIA, ALTRI PAESI HANNO indirizzato i proventi ETS non al clima ma ad altre politiche o se li sono tenuti a bilancio. Secondo l’EU Climate Action Progress Report 2024, il Belgio, per esempio, ha i proventi bloccati in attesa di una sentenza su come debbano essere ripartiti tra regioni e governo federale; la Croazia rimanda «a rendicontazione futura»; la Spagna ha impegnato solo il 33%; in Polonia non risulta chiaro l’8% della sua rendicontazione, mentre la maggior parte degli stati membri ha usato fondi per compensare i costi indiretti del carbonio, cioè l’aumento dei prezzi dell’energia riconducibili al sistema ETS. Queste compensazioni sono ammesse dalla direttiva ETS nella misura del 25%. Tuttavia, ogni euro speso a compensare i costi indiretti è un euro sottratto alle politiche climatiche e non ha un impatto sugli obiettivi strategici di competitività, senza il raggiungimento dei quali l’EU non potrà riconquistare la sua leadership nella produzione di tecnologie pulite.



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