I giovani e le donne credono nel “loro” Sud. E lo Stato che fa?

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Da decenni la narrazione sull’innovazione in Italia si è cristallizzata in uno schema rigido e prevedibile: il Nord come motore pulsante del progresso tecnologico e industriale, il Centro come area di transizione con un equilibrio tra tradizione e modernità, e il Sud come eterna terra di ritardi, segnata da emigrazione, disoccupazione e opportunità mancate. Questo copione, però, inizia a mostrare crepe significative alla luce di alcuni dati più recenti, che ci spingono a riconsiderare le dinamiche territoriali italiane, meridionali in particolare, con uno sguardo più critico e aperto.

Il Mezzogiorno, infatti, non è più solo il fanalino di coda delle statistiche negative: accanto al persistente primato nel numero di NEET (giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano, non lavorano e non seguono percorsi di formazione), emerge un fenomeno inaspettato e promettente. Negli ultimi anni, il Sud ha visto una crescita sorprendente delle startup innovative, spesso guidate da giovani sotto i 35 anni e da donne, con percentuali che in alcuni casi superano quelle del Nord e del Centro.

Secondo i dati di Unioncamere aggiornati al 2024, su un totale nazionale di 12.000 startup innovative, 2.049 sono fondate da under 35, pari al 16,9% del totale. Analizzando la distribuzione geografica, il Sud si distingue con un’incidenza del 17,7% di startup giovanili sul totale delle imprese innovative dell’area, contro il 16,4% del Nord e il 16,9% del Centro. Ancora più impressionante è l’andamento temporale, il Sud guida la crescita del settore: tra il 2016 e il 2024, la crescita nazionale di queste realtà è stata del 66,5%, ma nel Mezzogiorno ha raggiunto il 69,1%, superando il Nord (+67,5%) e il Centro (+60,2%). A livello regionale, la Campania spicca con un incremento del 184,7%, mentre province come Napoli (231 startup giovanili), Bari e Palermo (entrambe con 168) testimoniano un fermento imprenditoriale che sfida i pregiudizi.

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Parallelamente al dinamismo giovanile, un altro aspetto che illumina il desolato panorama del Sud è la crescente partecipazione femminile nel mondo delle startup innovative, un fenomeno che aggiunge ulteriori elementi alla trasformazione in atto. A livello nazionale, le imprese femminili costituiscono il 13,6% delle startup innovative, una percentuale inferiore rispetto al 22,7% delle aziende italiane complessive, ma che mostra una traiettoria di crescita costante e incoraggiante.

Nel Mezzogiorno, questa tendenza assume contorni ancora più marcati e significativi: tra il 2016 e il 2024, le startup innovative guidate da donne sono aumentate del 175,5%, un balzo che supera di gran lunga il Centro (+106,3%) e il Nord (+99,7%).

I numeri diventano quasi incredibili quando si scende nel dettaglio regionale e provinciale: il Molise registra un aumento del 533,3% (da una base ridotta, ma comunque indicativo), la Campania del 337,7%, la Puglia del 203,7%. A livello locale, Avellino si distingue con un incremento del 1000%, passando da 2 a 22 startup femminili in otto anni, un dato che, pur partendo da valori assoluti bassi, segnala una vitalità straordinaria.

Questi progressi non ci permettono di gioire, il Sud e le isole soprattutto, rappresentano le macro regioni con il più basso tasso occupazionale femminile dell’area UE, e neanche cancellano il divario di genere nell’innovazione – le startup femminili restano una minoranza rispetto a quelle maschili – ma indicano un potenziale enorme, soprattutto in un contesto come il Sud, dove la disoccupazione femminile raggiunge livelli drammatici (in alcune regioni supera il 20%, contro una media nazionale del 9%).

Il quadro si complica quando si considera il contrasto con la realtà dei NEET, che nel Mezzogiorno toccano percentuali allarmanti, soprattutto in Sicilia, dove il 30% dei giovani tra i 15 e i 29 anni è escluso da lavoro e formazione.

Questa doppia faccia del Sud – terra di esclusione e allo stesso tempo di innovazione – pone interrogativi cruciali: se il sistema educativo e formativo meridionale è davvero così fallimentare, come spesso si sostiene, come si spiegano questi numeri? E se il Sud fosse davvero una terra di opportunità per i giovani, perché così tanti restano ancora ai margini? La risposta sta in una complessità che merita un supplemento di analisi.

Da un lato, dunque, abbiamo una forte spinta dell’innovazione e dall’altro permanenti difficoltà di sistema per quel che riguarda il sistema della formazione generale e l’occupazione dei giovani tra i 15 e i 29 anni e delle donne. Questa contraddizione riflette una polarizzazione profonda: da un lato, una minoranza di donne e giovani riesce a emergere, sfruttando competenze, creatività e spirito imprenditoriale; dall’altro, una larga fetta della popolazione giovanile resta intrappolata in un circolo vizioso di marginalità. Il successo delle startup femminili, giovanili più in generale, dunque, è una luce nel buio, ma non basta a illuminare l’intero panorama.

Per sfruttare appieno questo potenziale, servirebbero politiche mirate, nel caso dell’occupazione femminile: incentivi specifici per l’imprenditoria femminile, accesso agevolato al credito, programmi di mentorship e una rete di supporto che valorizzi le eccellenze senza lasciare indietro chi parte da condizioni svantaggiate. Il Sud, in questo senso, potrebbe diventare un laboratorio di innovazione inclusiva, ma solo se si superano le barriere strutturali che ancora lo frenano.

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Più in generale, la coesistenza di un boom di startup e di un elevato numero di NEET nel Sud non è un paradosso inspiegabile, ma il riflesso di un sistema economico e sociale profondamente disomogeneo, dove le opportunità non sono equamente distribuite. Il sistema formativo meridionale, spesso criticato e sottovalutato nel dibattito pubblico, dimostra di saper produrre talenti e competenze di alto livello, come confermano i successi delle startup giovanili e femminili, e non solo. Tuttavia, si sconta un accesso all’istruzione fortemente frammentato: scuole e università di qualità convivono con realtà carenti, e le disparità si amplificano in contesti di povertà familiare e territoriale. Disparità che partono fin da subito, non godendo studenti e studentesse fin da subito di accesso alla formazione prescolare dei nidi e al tempo pieno, fatto che incidono profondamente sulle fragilità di rendimenti, soprattutto nel corso dei percorsi scolastici successivi (dati OCSE).

A differenza del Nord, inoltre, dove esiste una solida continuità tra formazione (università o scuole professionali), mercato del lavoro e tessuto industriale, nel Sud questa connessione è debole e frammentata. Il risultato è che molti giovani, pur formati, non trovano sbocchi occupazionali stabili e finiscono per ingrossare le fila dei NEET – un fenomeno che in Italia coinvolge oltre 1,6 milioni di persone, con il Mezzogiorno che contribuisce per oltre il 50% del totale.

Per alcuni, però, troppo pochi in realtà ma in forte crescita come ci segnala UnionCamere, questa carenza di opportunità diventa la via per l’autoimprenditorialità: non trovando lavoro, creano la propria strada, dando vita a startup innovative. Ma questo percorso non è accessibile a tutti: fondare un’impresa richiede competenze tecniche, risorse economiche, accesso a finanziamenti e una rete di supporto – elementi che non tutti possiedono. Di conseguenza, il mondo delle startup resta un ecosistema elitario, con circa 2.000 imprese under 35 a livello nazionale, mentre i NEET rappresentano una massa ben più ampia e spesso priva degli strumenti per emergere.

L’assenza di politiche attive per il lavoro efficaci aggrava il problema: a differenza dei paesi nord-europei, dove i giovani esclusi vengono rapidamente reinseriti tramite tirocini e formazione mirata, in Italia – e soprattutto nel Sud – i centri per l’impiego sono inefficaci e le misure di sostegno frammentate. Per superare questa dicotomia, servono interventi strutturali: collegare università e imprese con incubatori nei campus e stage obbligatori, potenziare la formazione continua per i NEET in settori strategici come il digitale e la green economy, e sostenere l’autoimprenditorialità diffusa, soprattutto femminile, anche oltre il modello delle startup tecnologiche, valorizzando microimprese e innovazione nei processi, costruire un ecosistema burocratico e amministrativo favorevole e non d’intralcio. Inoltre, è necessario un cambiamento culturale che promuova il lavoro come qualcosa da creare, non solo da cercare, senza dimenticare chi ha bisogno di occupazione stabile.

Il Sud sta dimostrando di essere un laboratorio di innovazione, ma il rischio è che questo successo resti confinato a una minoranza. Solo rendendo le opportunità più inclusive si potrà trasformare questa energia in una crescita collettiva, riducendo il divario tra chi innova e chi resta indietro.



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