700 medici mancanti in Veneto

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Mancano oltre 5.500 medici di medicina generale in Italia e sempre più cittadini faticano a trovarne uno anche in Veneto. A fronte di migliaia di pensionamenti, il numero di giovani medici che scelgono questa professione continua a diminuire, mentre la popolazione italiana è sempre più anziana e malata. L’allarme è stato lanciato da Fondazione Gimbe, che ha analizzato dinamiche e criticità normative che regolano l’inserimento dei medici di base nel sistema sanitario nazionale, stimando l’entità della loro carenza nelle regioni italiane. «L’allarme sulla carenza dei medici di medicina generale – ha commentato Nino Cartabellotta, presidente di Fondazione Gimbe – riguarda ormai tutte le regioni e affonda le radici in una programmazione inadeguata, che non ha garantito il ricambio generazionale in relazione ai pensionamenti attesi. Negli ultimi anni poi la professione ha perso sempre più attrattività, rendendo oggi spesso difficile per i cittadini trovare un medico di medicina generale vicino a casa, con conseguenti disagi e rischi per la salute, soprattutto per anziani e persone fragili».

Tra le prime criticità evidenziate da Fondazione Gimbe c’è il massimale degli assistiti. Ogni medico di base potrebbe avere al massimo 1.500 assistiti. Un tetto che però può essere aumentato in casi particolari. Il massimale di 1.500 assistiti è superato da oltre la metà dei medici di base in dieci regioni. E nel Veneto si supera anche i due terzi (68,7%). «Questo livello di sovraccarico – ha spiegato Cartabellotta – riduce il tempo da dedicare ai pazienti, compromettendo la qualità dell’assistenza. Inoltre influisce sulla distribuzione omogenea e capillare sul territorio dei medici in rapporto alla densità abitativa e limita la possibilità per il cittadino di esercitare il diritto della libera scelta».

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Per evitare sovraccarichi servirebbero più medici, ma nei corsi di formazione specifica in medicina generale è emersa una tendenza preoccupante: i partecipanti sono inferiori ai posti disponibili. E la mancata presentazione di candidati è molto evidente in regioni come Marche (-68%), Molise (-67%), Provincia autonoma di Bolzano (-57%), Lombardia (-45%), Liguria (-42%) e anche in Veneto (-41%). «Questa spia rossa – ha evidenziato Cartabellotta – già accesa da anni in alcune regioni, da un lato segnala il crescente disinteresse verso la professione, dall’altro evidenzia gravi criticità in varie regioni, come Lombardia e Veneto, dove la carenza è già rilevante».

Infine, sulla base dei dati disponibili all’1 gennaio 2024, la carenza complessiva stimata in tutta Italia è di 5.575 medici di medicina generale. E Fondazione Gimbe ha messo in evidenza tra le situazioni più critiche quelle di Lombardia (-1.525), Veneto (-785), Campania (-652), Emilia Romagna (-536), Piemonte (-431) e Toscana (-345).

«I dati del rapporto Gimbe sui medici di famiglia confermano che esiste una realtà drammatica, pesante rovescio della medaglia rispetto allo scenario radioso disegnato come sempre da Zaia, tralasciando accuratamente le carenze gravi nella sanità territoriale e di prossimità – hanno commentato le consigliere regionali del Partito Democratico Vanessa Camani e Anna Maria Bigon – E fanno emergere come la vera eccellenza sia quella rappresentata dai professionisti del nostro sistema sanitario che, malgrado le pesanti lacune, fanno salti mortali per garantire i servizi. Evidente è il sovraccarico di pazienti seguiti dai singoli medici. Per non parlare delle carenze dei medici di medicina generale, che vedono il Veneto secondo solo alla Lombardia tra le grandi regioni. Segno delle conseguenze di un modello leghista sempre più improntato sulla privatizzazione dei servizi e sul depotenziamento della medicina territoriale. Crediamo che si debba cambiare rapidamente strada, valorizzando il lavoro prezioso dei medici di famiglia e garantendo sostegni concreti, a partire dal rafforzamento del personale amministrativo, adeguando in termini economici le borse per la formazione e trasformando la scuola regionale per medicina generale in specialità universitaria, al pari di ogni altra specializzazione. In generale va dunque reso appetibile questo ruolo, fondamentale peraltro anche per ridurre a monte gli accessi ai pronto soccorso, altra piaga che trasforma in un calvario l’accesso al servizio e che espone a sua volta a stress e rischi di incolumità fisica gli operatori».



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