Giovani e arte: uno ‘studio’ oltre la musica, la storia di Sidy e del laboratorio comboniano di Afrobrix

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L’arte e la musica di Sidy risuonano negli spazi dello studio di registrazione musicale allestito dal missionario comboniano, padre Colombo, e cuore di “Afrobrix”, il Laboratorio Interculturale Afroeuropeo. Uno spazio di incontro e scambio dove fare musica, ma anche un luogo dove ascoltare gli altri. Uno spazio di arricchimento reciproco per giovani musicisti e non solo. Sidy, originario del Senegal, ma cresciuto a Lumezzane, racconta la sua storia, la partecipazione a “X Factor” e a “Sanremo Giovani”, ad Elisa Garatti del settimanale “La Voce del Popolo”.

Sidy (Foto La Voce del Popolo)

Viso sorridente, animo gentile, suona la chitarra e canta qualche brano che ha scritto in questi anni. Poi passa al computer: continua a lavorare sui nuovi pezzi o su quelli che ha composto qualche tempo fa, ma che hanno ancora bisogno di tempo per essere pubblicati. È la musica di Sidy Lamine Casse, in arte Sidy, a far risuonare lo studio di viale Venezia, realizzato negli spazi dei Missionari Comboniani, cuore del festival “Afrobrix”.

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Padre Fabrizio Colombo (Foto La Voce del Popolo)

Quello spazio che il suo ideatore, padre Fabrizio Colombo, lo definisce come “un porto, con barche che salpano e altre che approdano” perché ogni stanza partecipa alla multimedialità: c’è uno studio di registrazione musicale, ma anche uno dedicato alla radio e ai podcast e uno legato alla fotografia e ai video, c’è anche una biblioteca e c’è un salone dedicato all’incontro e allo scambio di conoscenze e competenze tra vari gruppi (https://www.lavocedelpopolo.it/musica/un-porto-dove-liberare-la-creativita) “Abbiamo pensato di creare un luogo, una vera e propria piattaforma di scambio dove questi giovani possono incontrarsi, creare e dare spazio alla loro creatività. L’uso della cultura e dell’arte sono volti a trasmettere valori come la lotta contro ogni forma di discriminazione e di razzismo, l’inclusione e il diritto alla cittadinanza”.

Classe 1998, originario del Senegal, ma cresciuto a Lumezzane (Brescia), Sidy è un musicista e cantautore con tanti sogni nel cassetto. Alcuni di questi sogni, forse, sono già stati realizzati: dalle prime pubblicazioni con la band “E.D.A.” ai brani da solista; da Brescia (alla quale ha dedicato anche una canzone, “Brixia”) ai palchi di “X Factor” e “Sanremo Giovani” fino alle collaborazioni come corista con Mahmood, Mika, Diss Gacha e Ghali. Selezionato nella campagna Newcomer 2025 di Vevo, desidera “suonare in un palazzetto, magari in apertura del concerto di un artista che stimo tanto”.

Tutto è cominciato da Lumezzane e dal successivo incontro con “Afrobrix”…
Ho iniziato a suonare la chitarra quando ero piccolo. Pian piano ho scritto le mie prime canzoni e poi la musica è diventata una vera e propria esigenza. Si sono creati i primi gruppi, che sono nati e si sono sciolti parecchie volte. Nel frattempo, ho continuato la mia ricerca artistica per capire in quale direzione volessi andare. Ad un certo punto, mi sono lanciato e ho partecipato ad “X Factor”, che mi ha dato la possibilità di capire come funzionino l’industria musicale e il suo mercato. Tornato da questa esperienza, ho deciso di provare a fare della musica la mia professione. Nel 2020 ho incontrato padre Fabrizio Colombo e il mondo di “Afrobrix”. Con il mio gruppo, ci siamo trovati a lavorare su un palco enorme, circondati da tanti professionisti, per un festival di tutto rispetto. Non mi sono più separato da “Afrobrix”: il primo anno ho partecipato da ospite e dall’edizione successiva ho preso parte all’organizzazione, occupandomi della gestione degli artisti. Man mano, padre Fabrizio mi ha affidato maggiori responsabilità, facendomi contribuire alla direzione artistica e musicale del Festival.

Afrobrix (la Voce del Popolo)

E così si arriva all’idea dello studio…
All’inizio pensavamo a uno spazio più indirizzato alla comunicazione tra produttore e artista. Poi hanno cominciato a passare da viale Venezia tanti ragazzi, che proponevano generi molto diversi dai miei. Mi sono reso conto che questo posto permetteva a tutti di sentirsi molto liberi. Lo studio è diventato così un vero e proprio spazio di incontro e scambio. Con i ragazzi che passano di qua parliamo, abbozziamo qualcosa, ascoltiamo la musica e i testi, registriamo e lavoriamo insieme, così che loro possano avere una base per iniziare il loro percorso nella musica, che è la parte più difficile. Insomma, oggi lo studio non è solo uno spazio dove fare musica, ma anche un luogo dove ascoltare gli altri. È uno spazio di arricchimento reciproco. È scoprire come i giovani musicisti crescono in città, come vivono… Hanno potenzialità enormi ed è davvero importante che riescano a mettere nella loro scrittura, anche se a volte incerta, quello che hanno dentro e che hanno vissuto. Per me, che ho sempre vissuto una scrittura fiabesca e romantica, il confronto con storie di vita cruda è occasione di riflessione e di crescita.

Uscendo da Brescia, ti sei lanciato ad “X Factor” e, due anni dopo, hai partecipato a “Sanremo Giovani”. Che esperienze sono state?
Ero giovanissimo e a “X Factor” ci sono finito quasi a caso. Ero solo: non sapevo con chi parlare, cosa fare. E il mondo dell’industria musicale rischia di mangiarti se non hai la consapevolezza giusta. Dopo quell’esperienza mi sono preso il tempo per crescere e migliorarmi. Oggi, c’è la tendenza ad avere fretta, a guardare alla fama e al guadagno. “X Factor” mi ha fatto capire che prima di tutto dovevo pensare alla musica. La musica è fatta di anima, di sentimenti e di persone che si raccontano. Questo mi ha portato ad affrontare “Sanremo Giovani” con uno spirito diverso: fin da subito, ho pensato alla mia musica, alla mia crescita personale e professionale. La mia scrittura è molto più personale, è migliorata. Se “X Factor” mi ha insegnato a essere coraggioso, “Sanremo” mi ha fatto capire a che punto sono del mio percorso.

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Le collaborazioni come corista con artisti come Mahmood, Mika, Diss Gacha e Ghali come hanno contribuito a questo percorso?
La prima collaborazione è stata con Mahmood ed è nata per caso. Inizialmente, non mi sentivo pronto, poi mi sono lanciato. Non ci sono state le prove: la prima prova effettiva è stata durante il sound check. Mahmood si è preso fin da subito cura di me. Sono molto contento di tutte queste esperienze perchè mi hanno permesso di imparare sul campo. Sono state fondamentali per la mia crescita.

Nel tuo futuro cosa vedi? Qual è il sogno nel cassetto per questo studio e per la tua carriera?
Sarebbe bello che questo centro diventasse il punto di comunicazione dell’arte a Brescia, dove artisti, pensanti e creativi entrano in contatto per creare nuove cose. E “Afrobrix” dovrebbe essere la sintesi di tutto questo. Per quanto riguarda me, spero di continuare a fare musica e a crescere sempre di più. Sto lavorando, con persone che credono a questo progetto, ad un Ep che uscirà presto.

 





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