Comunità energetiche: impianti facilitati nelle zone agricole e per le leggi regionali

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Se può essere lecito l’interrogativo, perché voler costituire una Comunità energetica, ancora più lecito è domandarsi perché mai non farlo. Oltre ai vantaggi per i consumatori e per i produttori che vi aderiscono – per i primi, in termini di abbattimento dei costi delle bollette, conseguibile senza vincoli e costi; per i secondi, in termini di integrazione, mercè la tariffa incentivante ex Decreto MASE 7.12.2023, n. 414, cd. “Decreto CER”, della quota di proventi derivanti dalla cessione dell’energia prodotta – è da considerare anche un motivo più generale, di carattere sistematico, per cui le configurazioni di autoconsumo collettivo di energia rinnovabile, come delineate nella Direttiva (UE) 2018/2001, cd. “Direttiva RED II”, costituiscono uno degli strumenti di base funzionali al raggiungimento degli obiettivi di incremento della quota di energia da fonti rinnovabili al 2030, come dettati dalla Direttiva citata e come riconosciuto dall’articolo 1 del testo normativo di recepimento di quest’ultima, D.Lgs. 199/2021.

I contenuti di beneficio apportati dalle Comunità energetiche, di carattere insieme ambientale, economico per i loro membri, e sociale in relazione al territorio in cui operano, stanno non solo conquistando il sempre maggiore interesse dell’opinione pubblica, ma anche orientando il legislatore a dettare una sempre più ampia e favorevole cornice istituzionale e autorizzativa in cui le Comunità stesse sono ammesse ad operare.

Ne sia un esempio, in questo senso, il disposto dell’articolo 5, D.L. 63/2024, cd. “Decreto Agricoltura”, che detta regole speciali e derogatorie a favore delle Comunità energetiche nell’ambito della disciplina di contingentamento delle “aree idonee per l’installazione di impianti a fonti rinnovabili” su suolo agricolo.

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È da ricordare che la regolamentazione di carattere generale delle “aree idonee” all’installazione di impianti FER è dettata dall’articolo 20, D.Lgs. 199/2021, il cui comma 1, in particolare, rinvia alla decretazione ministeriale per la determinazione di principi e criteri utili all’individuazione delle predette “aree idonee”; il cui comma 4 demanda alle Regioni l’individuazione finale delle aree in questione, nel rispetto dei principi e criteri ministeriali; e il cui comma 8, nelle more dell’adozione dei sopra richiamati decreti, identifica le casistiche di “aree idonee” ad oggi ammesse. In tale contesto, connotato da limitazioni già di per sé non propriamente secondarie, spicca il neointrodotto comma 1-bis, dell’articolo 20, D.Lgs. 199/2021, inserito appunto dall’articolo 5, D.L. 63/2024 “Decreto Agricoltura”, il quale, se in primo luogo detta ulteriori limitazioni all‘installazione di impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra nelle zone classificate agricole dai piani urbanistici vigenti, in un’ottica di difesa e salvaguardia del suolo a vocazione agricola, permettendola solo in alcune delle “aree ammesse” ex comma 8, dell’articolo 20 citato – segnatamente, per completezza di trattazione, nei siti già dotati di impianti della stessa fonte, limitatamente a interventi di modifica, rifacimento, potenziamento o integrale ricostruzione; nelle cave e miniere cessate, non recuperate, abbandonate o in condizioni di degrado ambientale, comprese quelle già soggette a ripristino ambientale e quelle con piano di coltivazione terminato non ancora ripristinate, nonché discariche o lotti di discarica chiusi o ripristinati; nei siti e impianti disponibili per le società del gruppo Ferrovie dello Stato italiane, dei gestori di infrastrutture ferroviarie e concessionarie autostradali; nei siti e impianti disponibili per le società di gestione aeroportuale all’interno dei sedimi aeroportuali, inclusi quelli degli aeroporti delle isole minori; nelle aree interne agli impianti industriali e stabilimenti, nonché nelle aree agricole situate a non più di 500 metri da gli stessi impianti o stabilimenti; nelle aree adiacenti alla rete autostradale entro una distanza massima di 300 metri – in secondo luogo dispone, tuttavia, che tali limitazioni non si applicano nel caso di progetti che prevedano impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra finalizzati alla costituzione di Comunità energetiche rinnovabili, ai sensi dell’articolo 31, D.Lgs. 199/2021 stesso (nonché in caso di progetti attuativi delle altre misure di investimento del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, PNRR).

Nella stessa direzione di favor, e anzi in maniera ancora più decisa, paiono muoversi poi i legislatori regionali.  Apripista è la Regione Toscana, la cui proposta di legge regionale per la disciplina per l’individuazione delle superfici e aree idonee per l’installazione di impianti di produzione di energia rinnovabile, in attuazione dell’articolo 20, comma 4, D.Lgs. 199/2021, prevede al suo articolo 3, comma 2, che, salva l’esclusione delle sole aree “non idonee” di cui al successivo articolo 5 (e le aree su cui insistono opere idrauliche ai sensi del Testo unico sulle opere idrauliche, R.D. 523/1904), sono sempre aree “idonee assolute” all’installazione di impianti  fotovoltaici quelle finalizzate ad ospitare sia impianti agrivoltaici proposti dagli imprenditori agricoli professionali, a conferma della dimestichezza che il mondo agricolo ha con il settore dell’energia green; sia, in ogni caso e a prescindere dai temi agricoli, impianti di potenza inferiore a 1 MW al servizio di comunità energetiche rinnovabili. Un’apertura da seguire con grande interesse, che, se confermata, facilmente condurrà altre Regioni a supportare lo sviluppo delle Comunità energetiche con analoghe disposizioni.



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