Più della guerra al Fentanyl, la droga che sta mettendo in ginocchio intere comunità e città statunitensi, il neo-eletto presidente Donald Trump ha dichiarato guerra alle politiche climatiche e ambientali, smontando in poche settimane decenni di avanzamenti lenti e faticosi per ridurre l’inquinamento e le emissioni di gas serra causa del riscaldamento globale. Mentre il mondo mai come oggi non può permettersi un’inversione a U su queste tematiche.
Fondi congelati per programmi delle agenzie ambientali statunitensi, con tanto di licenziamenti di personale, tagli ai finanziamenti per le energie rinnovabili, le automobili elettriche e persino rimborsi ai cittadini che hanno investito in energie pulite, ostacoli alle fonti rinnovabili, dichiarazioni infuocate contro le agenzie delle Nazioni Unite e gli obiettivi net zero, fino a una censura alla ricerca accademica, con picchi grotteschi come l’oscuramento dei siti istituzionali dedicati al cambiamento climatico. Il tutto in sole cinque settimane dall’insediamento alla Casa Bianca.
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In rotta con le politiche di Biden (che erano comunque insufficienti)
Quello di Trump è un attacco vasto e coordinato alla politica ambientale degli Stati Uniti, da parte di un presidente che ha sempre negato i principi della scienza e la realtà stessa dell’aumento delle temperature globali. In una nazione di per sé non certo all’avanguardia, visto che gli Usa sono il secondo maggior produttore di emissioni di gas serra e responsabili di circa il 13% delle emissioni di anidride carbonica globali. Al termine del mandato di Joe Biden, le emissioni di CO2 degli Stati Uniti sono inferiori del 20% rispetto ai livelli del 2005: ben al di sotto dell’obiettivo del 50-52% promesso entro la fine del decennio.
Tuttavia, dei progressi durante la precedente amministrazione democratica erano stati fatti. Biden aveva approvato 1000 miliardi di dollari in prestiti, sovvenzioni e crediti d’imposta per l’energia pulita all’interno di vasti pacchetti legislativi come l’Inflation Reduction Act e la legge bipartisan sulle infrastrutture. Al dipartimento dell’Energia erano state avviate politiche per sostenere l’integrazione della rete elettrica con le fonti rinnovabili e la ricarica di veicoli elettrici, mentre l’Agenzia per la protezione dell’ambiente (EPA) aveva assunto più di 6000 dipendenti a tempo pieno per contribuire alla realizzazione delle iniziative del presidente in materia di clima.
I tagli alle agenzie ambientali e ai programmi per il clima
Invece, proprio sul taglio del personale si è concentrato il primo assalto del presidente Trump alle politiche sul clima, dando il via libera ad Elon Musk, la persona più ricca del mondo, per ridurre drasticamente le dimensioni della burocrazia federale attraverso il dipartimento per l’Efficenza del governo degli Stati Uniti (Doge). Il diktat di riduzione dei costi ha portato al licenziamento di centinaia di lavoratori dall’Agenzia per la protezione dell’ambiente e dai dipartimenti dell’Energia e degli Interni, con tagli ancora più drastici in arrivo. Quasi 170 persone sono state licenziate dalla National Science Foundation. All’EPA il personale mandato a casa per il momento è arrivato a quota 388 persone, mentre è stato chiesto di interrompere i rapporti con i borsisti.
Il dipartimento dell’Energia è stato tra i primi a subire tagli al personale, a partire dagli uffici per la diversità e l’equità. Il dipartimento degli Interni ha tagliato 2700 dipendenti, mentre il servizio forestale, una divisione del dipartimento dell’Agricoltura, ha licenziato 3400 persone. Quando il personale non può essere licenziato, viene riassegnato a lavori che non rientrano nelle proprie competenze, come è accaduto al dipartimento di Giustizia, dove gli avvocati per l’applicazione delle norme ambientali e per i diritti civili sono stati dirottati su altri compiti.
I licenziamenti sono solo una delle armi con cui la nuova amministrazione ha attaccato le “costole” ambientali delle proprie istituzioni, impedendogli di lavorare correttamente. L’annacquamento o il congelamento dei programmi per l’ambiente è un’altra. Oltre a licenziare 200 persone, l’Agenzia federale per la gestione delle emergenze ha approvato una direttiva che prende di mira i programmi climatici. Trump ha minacciato di far “scomparire” la Nation’s disaster response agency. Si prevede che l’EPA pubblicherà a breve un elenco di regolamenti che intende eliminare e sostituire con standard più deboli, o addirittura senza alcuno standard.
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Fondi congelati per le rinnovabili e ostacolo alla crescita
Lo stesso destino è toccato alle fonti rinnovabili. Per prima cosa l’amministrazione ha bloccato il flusso di miliardi di dollari federali per gli sconti energetici, le installazioni solari a basso reddito, i caricabatterie per i veicoli elettrici e altro ancora, talvolta ignorando i tribunali che avevano ordinato il ripristino dei fondi. Col risultato che adesso imprese e organizzazioni non profit che si aspettavano di ricevere sovvenzioni dal dipartimento dell’Agricoltura o dall’EPA, ma anche i distretti scolastici per l’acquisto di autobus elettrici, temono di non essere rimborsati o pagano di tasca propria.
Gli effetti sul mercato sono stati immediati: le aziende che hanno investito per produrre pannelli fotovoltaici o veicoli elettrici temono effetti negativi sul loro business perché gli ordini si stanno esaurendo, pianificano licenziamenti oppure hanno bloccato gli investimenti. Come c’è attesa e incertezza sui dettagli della decisione di Trump di imporre tariffe sulle importazioni, che potrebbero ostacolare le catene di approvvigionamento delle tecnologie verdi e invertire il calo dei prezzi delle fonti rinnovabili.
Trump ha firmato un ordine esecutivo che blocca a tempo indefinito nuove concessioni per l’energia eolica offshore negli Stati Uniti, mettendo a rischio progetti per un totale di 32 gigawatt di potenza, sufficienti per alimentare oltre 12 milioni di case. L’ordine, emanato il primo giorno del suo nuovo mandato, sospende anche il rilascio di nuovi permessi, colpendo in particolare i progetti lungo la costa orientale. Allo stesso tempo, Trump ha riaperto le acque costiere statunitensi alle trivellazioni di petrolio e gas, segnando una svolta a favore dei combustibili fossili.
L’ordine esecutivo rischia di compromettere gli obiettivi di decarbonizzazione di stati come New York, New Jersey e Virginia, che puntano sull’eolico offshore per ridurre la dipendenza dal gas e potrebbe portare a una nuova corsa alle fonti fossili. Il blocco ha già avuto effetto: il New Jersey ha deciso di sospendere il progetto Atlantic Shores, proprio a causa dell’incertezza derivante dalle azioni di Washington. TotalEnergies ha interrotto i piani di sviluppo per progetti eolici offshore, mentre Orsted, il gigante danese dell’eolico, ha annunciato di voler tagliare le spese del 25% perché teme ricadute negative sui propri investimenti.
Censura al mondo accademico e parole “proibite”
La censura è l’altro aspetto su cui si è concentrata la furia anti-ambientalista di Donald Trump. La parola “clima” è divenuta tabù per l’amministrazione statunitense. Persino l’affermazione lapalissiana dell’EPA secondo cui i gas serra mettono in pericolo la salute umana – la chiave di volta di tutte le norme sul clima previste dal Clean Air Act – potrebbe essere messa in discussione. A volte sono solo gesti simbolici e provocatori, che però lasciano intendere quale sia il punto di vista dei repubblicani. Se gli utenti internet cercano la pagina della Casa Bianca dedicata al cambiamento climatico il risultato sarà: “404: Pagina non trovata”. Non sono più fortunati quando cliccano sulle sezioni relative a questo argomento sui siti web dei dipartimenti di Stato, Difesa, Trasporti o Agricoltura. Sono scomparsi. Sul sito dell’EPA, la sezione sul cambiamento climatico non è più accessibile né dalla home page né dalle schede “argomenti ambientali”.
Ben più grave, è stato ritirato il supporto per la ricerca scientifica su studi che anche lontanamente si riferiscono alla crisi climatica, come stanno rivelando numerosi accademici. Altri hanno denunciato casi di autocensura: hanno ricevuto pressioni per eliminare parole chiave sul tema ecologico nei documenti per cui si chiedono sovvenzioni, mentre le agenzie che finanziano la ricerca scientifica tra cui i National Institutes of Health e la National Science Foundation hanno messo in pausa le commissioni incaricate di valutare le proposte di sovvenzione su diversità e giustizia ambientale. L’attacco di Trump al mondo accademico si è manifestato con vere e proprie ingerenze, ordinando agli scienziati governativi statunitensi di interrompere il lavoro sul prossimo rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), mettendo a rischio la collaborazione scientifica statunitense.
Accordi di Parigi e net zero, il nemico di sempre
Tutto ciò dimostra come le conseguenze del nuovo corso impresso dall’amministrazione Trump avrà ricadute anche a livello internazionale. Il presidente, a poche ore dal suo insediamento, ha ritirato l’adesione degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi, come già era avvenuto nel precedente mandato. Il segretario dell’Energia Chris Wright ha assunto toni da crociata definendo gli sforzi per azzerare le emissioni come un obiettivo “malvagio”.
Intanto, il dipartimento di Stato ha revocato 4 miliardi di dollari di finanziamenti promessi al Fondo verde per il clima delle Nazioni Unite. Mentre il dipartimento del Tesoro ha abbandonato un gruppo di ricerca che studiava i rischi finanziari del cambiamento climatico perché legato agli obiettivi dell’Accordo di Parigi, di cui gli Stati Uniti non vogliono fare più parte. Come sono stati interrotti o abbandonati una serie di programmi legati al clima presso l’USAID, l’agenzia Onu per lo sviluppo internazionale, con la speranza di Trump di chiudere a breve l’agenzia. Per il momento è riuscito a licenziare tutti i 1600 dipendenti statunitensi. Da crociata a caccia alle streghe in poco più di un mese.
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