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L’assegno delle pensionate è più leggero del 36%. Colpa del gap retributivo di genere. Ma le italiane svolgono tre ore al giorno di lavoro extra a titolo gratuito, che vale circa 7mila euro all’anno. L’Osservatorio Moneyfarm
Il gap retributivo di genere e la discontinuità che caratterizza la loro carriera continuano a pesare sulle pensioni delle italiane. La prova sta nel fatto che, secondo l’ultimo rapporto annuale dell’Inps, nel 2023 l’assegno medio è stato pari a 1.750 euro lordi per gli uomini e 1.069 euro lordi per le donne (circa 1.430 e 947 euro netti), con queste ultime che ricevono quindi in media il 36% in meno. E la situazione non migliora neppure guardando alla previdenza integrativa, a cui si affida appena meno di una giovane su cinque. A tirare le somme è l’ultimo Osservatorio Moneyfarm, che sottolinea come alle italiane vengano però richieste tre ore al giorno di lavoro extra a titolo gratuito per la cura dei familiari, che se retribuite varrebbero circa 7mila euro all’anno.
Dal gender pay gap al gender pension gap
Secondo l’Istituto di previdenza, nel settore privato la retribuzione media annua dei dipendenti maschi è pari a 26.227 euro contro i 18.305 euro delle colleghe. Con una differenza di quasi 8mila euro all’anno che si traduce inevitabilmente in un assegno più basso per le future pensionate. Il divario salariale inizia solitamente a manifestarsi quando le donne raggiungono l’età in cui si tende a mettere su famiglia: il tema, viene quindi sottolineato dall’Osservatorio, è dunque strettamente legato al costo “sommerso” della cura di figli e familiari. Secondo il rapporto mondiale dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, infatti, le italiane si fanno carico, non retribuite, della quasi totalità (74%) del tempo dedicato all’assistenza e alla cura della persona: oltre cinque ore di lavoro al giorno a titolo gratuito, contro le neanche due degli uomini. Secondo i calcoli di Moneyfarm, se per questo lavoro “extra” di tre ore al giorno alle donne venisse corrisposto un salario minimo di 9 euro all’ora per cinque giorni alla settimana, a fine anno una lavoratrice potrebbe contare su circa 7mila euro in più.
La famiglia pesa anche sul tasso di occupazione
Proprio a causa del carico di lavoro legato alla cura della famiglia, il 21% delle italiane in età lavorativa dichiara di non cercare attivamente un impiego o di non essere disponibile a lavorare. Nel complesso, le donne tra i 30 e i 59 anni hanno un tasso di occupazione medio del 63% circa, contro l’83% degli uomini, ma per le madri di bambini di età inferiore ai sei anni si scende al 53,3%. Le madri con tre o più bambini piccoli lavorano in media tre ore in meno rispetto alle donne senza figli o con figli più grandi e addirittura nove ore in meno rispetto agli uomini senza figli. “Per quanto l’Italia resti tra i Paesi con la più elevata proporzione di occupati rispetto alla popolazione in età lavorativa, le disuguaglianze di genere nel mondo del lavoro restano evidenti”, si legge nell’analisi. E questo gap è decisamente ampio anche rispetto a Paesi europei come Francia e Germania, dove la percentuale di lavoro non retribuito di assistenza e cura svolto dalle donne è inferiore di oltre 10 punti percentuali (Francia 61% e Germania 62%).
La previdenza complementare resta per poche
Sul fronte della previdenza complementare la situazione non è migliore. Su oltre 24,2 milioni di cittadini in età lavorativa (nati tra il 1965 e il 1994), infatti, quelli che hanno un fondo pensione sono solamente il 26%, ma tra le giovani di età compresa tra i 30 e i 39 anni il tasso di adesione crolla al 17%. Il motivo è da ricondurre non soltanto al fatto che le lavoratrici aderiscano meno dei colleghi maschi ai fondi pensione (27% vs 33%), ma soprattutto, ancora una volta, al fatto che vi siano ben 17 punti di tasso di occupazione a separarle dai loro coetanei.
“Il lavoro di cura a titolo gratuito ha un impatto diretto sul reddito delle donne, dal momento che limita le ore di lavoro retribuito e la possibilità di accumulare risorse per il futuro”, fa notare Patrizia Franchi, investment consultant manager di Moneyfarm. Il divario di ore lavorate si traduce infatti in minori guadagni e minori contributi previdenziali versati rispetto agli uomini, quindi in una pensione futura più bassa. “La maternità, le pause lavorative per crescere i figli o il caregiving possono influire significativamente sulla costruzione di un patrimonio solido e su una pensione adeguata”, aggiunge l’esperta. Evidenziano che queste variabili rendono essenziale un approccio personalizzato alla pianificazione finanziaria e previdenziale, per assicurarsi che le donne possano proteggere e far crescere il loro capitale nel tempo, nonostante le difficoltà e gli imprevisti. “In un simile contesto, diventa fondamentale mettere da parte risorse in proporzione alle proprie possibilità, per migliorare la propria situazione finanziaria e costruirsi un domani più sicuro e indipendente”, conclude.
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