«O fai l’accordo oppure ci tiriamo fuori», aveva detto nell’infuocato faccia a faccia con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky nello Studio Ovale, Donald Trump dopo il “match” di venerdì scorso, durato 45 minuti. L’accordo era quello, poi restato fantasma, sulle terre rare e il ritiro ventilato di qualcosa che potrebbe essere esiziale per Kiev: la fine del sostegno Usa. I toni non si sono affatto abbassati, tutt’altro. E la minaccia è a un passo dal diventare realtà. Il disimpegno americano dallo scenario ucraino vuol dire, in concreto, una cosa sola: chiudere il rubinetto, interrompere il fiume di armi e aiuti militari con i quali, in tre anni di conflitto, gli Stati Uniti hanno sostenuto Kiev sul campo. Lo ha anticipato il New York Times ieri:il presidente ha riunito la sua squadra.Le opzioni sul tavolo? In realtà molto ristrette: la sospensione o l’annullamento degli aiuti militari americani all’Ucraina, comprese le spedizioni finali di munizioni ed equipaggiamento autorizzate e pagate durante l’amministrazione Biden. Poi, però, a sera una doppia precisazione che sembra un voler rilanciare la trattativa: «Non credo che l’accordo sui minerali sia morto, ne parlerò» oggi, nel discorso sullo Stato dell’Unione. E poi: non ho «ancora parlato» di interrompere gli aiuti all’Ucraina, ha aggiunto il presidente.
Una partita molto importante. Stando ai dati del Pentagono, restano ancora circa 3,85 miliardi di dollari di armi della somma che il Congresso ha autorizzato a prelevare dalle scorte del dipartimento della Difesa. Una cifra che, nei piani di Joe Biden, avrebbe coperto Kiev per altri sei mesi. Secondo l’Ap, gli Usa hanno garantito a Kiev aiuti militari per 180 miliardi di dollari dall’inizio della guerra.
L’insofferenza nelle stanze che contano dell’Amministrazione Trump, comunque, è sempre più palese. Un crescendo, dopo lo scontro alla Casa Bianca a la mancata firma all’accordo sulle terre rare, sorta di “risarcimento” preteso da Trump e cardine dell’intera “partita” negoziale che gli Usa intendono portare avanti con la Russia. «L’ostilità di Zelensky è incomprensibile», ha detto anche ieri il consigliere per la sicurezza nazionale americana Mike Waltz.
Ma a che punto è l’accordo sulle terre rare? Le interpretazioni divergono. Zelensky, secondo quanto riferito dalla Bbc, si è detto «pronto a firmare». Il Segretario al Tesoro statunitense, Scott Bessent ha però tagliato corto: al momento – ha fatto sapere – la questione non è sul tavolo. Affermazione poi però smentita dallo stesso Trump.
Resta il punto più controverso. Quanto è “sacrificabile”, agli occhi di Trump, l’attuale leadership ucraina? Il presidente – che oggi terrà il suo primo discorso al Congresso –, come al solito, non ha usato giri di parole né velato le sue reali intenzioni su Zelensky: «L’America non sopporterà ancora a lungo», ha ripetuto ieri, riferendosi ai “tentennamenti” della leadership di Kiev sul cessate il fuoco con Mosca. «Questo tizio non vuole che ci sia la pace finché avrà il sostegno dell’America e l’Europa», ha rincarato la dose il presidente statunitense. In un post su Truth Social che ha condiviso un articolo dell’Ap che citava Zelensky dicendo che la fine della guerra è «molto, molto lontana», Trump è stato lapidario: «Questa è la peggiore affermazione che il presidente ucraino avrebbe potuto fare».

Lo scontro alla Casa Bianca tra Trump e Zelensky – FOTOGRAMMA
Lo stesso Waltz non ha mancato di alludere alla (possibile) defenestrazione del presidente ucraino, peraltro investito da Trump con attestazioni di disistima («un dittatore senza elezioni» e «comico modesto»). Gli Stati Uniti hanno «bisogno di un leader che possa trattare con noi, trattare con i russi quando sarà il momento e porre fine a questa guerra. Se diventa evidente che il presidente ucraino Zelensky, che sia per motivazioni personali e politici, diverge dalla volontà di porre fine ai combattimenti nel suo Paese, avremo un problema serio».
Il leader ucraino si difende come può. Si aggrappa agli europei, smaniosi di ritagliarsi un ruolo. E rilancia. A tutto campo. «Solo gli ucraini possono decidere. Gli americani scelgono il loro presidente, gli europei scelgono i loro presidenti, gli ucraini scelgono il loro». E ancora: «Ho già detto che sono disponibile a dimettermi per l’adesione dell’Ucraina nella Nato, allora significa che ho adempiuto alla mia missione. Nato significa che ho adempiuto alla mia missione». «Per cambiarmi, non sarà facile perché non basta semplicemente tenere le elezioni. Dovreste impedirmi di partecipare. E sarà un po’ più difficile». Poi usa toni più concilianti: «Stiamo lavorando insieme all’America e ai nostri partner europei e speriamo molto nel sostegno degli Stati Uniti nel cammino verso la pace. La pace è necessaria il prima possibile».
E la Russia? Il Cremlino non risparmia gli strali all’indirizzo del presidente ucraino. «Qualcuno deve costringere Zelensky a cambiare idea. Lui non vuole la pace. Qualcuno deve costringerlo a volere la pace», ha dichiarato il portavoce Dmitrij Peskov. «Se lo fanno gli europei, onore e gloria a loro», ha aggiunto, riferendosi al vertice degli alleati europei di Kiev tenutosi domenica a Londra. «Quello che è successo venerdì alla Casa Bianca ha dimostrato quanto sia difficile trovare una soluzione in Ucraina», ha aggiunto Peskov, secondo cui «Zelensky ha dimostrato una totale mancanza di diplomazia». «In questa situazione, solo gli sforzi degli Stati Uniti e la buona volontà di Mosca non saranno sufficienti per porre fine al conflitto in Ucraina», ha concluso.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link