Legge 104, ecco perch� devi conservare sempre gli scontrini quando usi i permessi: eviti sanzioni e salvi il tuo lavoro

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Assistere una persona cara non autosufficiente ed esserle di aiuto nelle difficoltà di gestione della vita quotidiana costituisce una funzione cardine delle relazioni di convivenza, basate sulla libera scelta e alimentate da motivazioni affettive e sentimentali. Il compito del caregiver è un compito oneroso che comporta stanchezza, sia fisica che mentale: il caregiver è la persona che si fa carico della gestione del malato nelle incombenze quotidiane e questa attività assistenziale richiede impegno e dedizione costanti.

Il più delle volte il caregiver è un lavoratore, o una lavoratrice, che si trova a dover assistere genitori, nonni o comunque parenti di una certa età, oppure figli con gravi disabilità.

Il nostro legislatore – con la formulazione dell’art. 33 della L. n. 104 del 1992 – concede a queste persone tre giorni di permesso retribuito al mese dal lavoro, per agevolarli in tale faticosa attività.

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La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 1227 del 17 gennaio 2025, ha chiarito che la valutazione del diritto ai permessi deve considerare non solo il tempo dedicato (aspetto quantitativo), ma anche il tipo e la finalità dell’assistenza prestata (aspetto qualitativo). E, fra le attività legittime, rientrano – oltre a quelle di assistenza diretta al familiare disabile – anche quelle accessorie, come l’acquisto di medicinali, generi di prima necessità e il supporto alla partecipazione sociale del disabile. Tali attività sono ritenute parte integrante del processo assistenziale.

A ciò si aggiunga che le spese che devono sostenere le famiglie con disabili sono molto alte e, quindi, vi è necessità di maggior tutela anche sotto questo profilo. Gli aiuti previsti dal legislatore spaziano tra benefici economici, sconti fiscali, agevolazioni per il trasporto e per l’assistenza sanitaria.
Le persone con disabilità possono, ad esempio, portare in deduzione dal reddito complessivo, ai sensi dell’art. 10 del T.U.I.R., le spese mediche generiche (prestazioni rese da un medico generico, acquisto di farmaci o medicinali) e di assistenza specifica, sostenute nei casi di grave e permanente invalidità o menomazione per:

Nella prassi accade, tuttavia, che i tre agognati giorni di permesso 104 siano spesso al centro di controversie e conseguenti pronunce giurisprudenziali, in cui il datore di lavoro accusa il lavoratore di utilizzarli per dedicarsi a faccende tutt’altro che assistenziali.
E un abuso dei permessi legge 104 può comportare anche il licenziamento, poiché il datore di lavoro può ritenere l’inadempimento così grave da far venir meno la fiducia.

Ecco perché è fondamentale custodire gli scontrini e le ricevute, che certificano i pagamenti in un supermercato, negozio o farmacia: essi costituiranno prova di avere sopperito alle impellenti esigenze del disabile (alimentazione e somministrazione medicine). In sostanza, esibirli in corso di causa consentirà di salvare il posto.

Inoltre occorre considerare altresì che il Fisco può effettuare controlli, anche a distanza di anni e, se non si è in grado di presentare i documenti richiesti, le conseguenze possono essere pesanti, come sanzioni economiche oppure, nei casi più gravi, una revoca delle agevolazioni. Ogni scontrino o fattura dovrà essere conservato con attenzione per almeno cinque anni.

In proposito, in una recente ordinanza – la n. 11999 del 2024 – la Cassazione ha ricordato che le assenze dal luogo in cui si trova il familiare accudito dovranno essere pienamente funzionali alla sua cura e dovranno essere mirate, ad esempio, all’acquisto di generi alimentari per la persona assistita o di farmaci e medicine necessari ai suoi problemi di salute. Niente vieta all’azienda di controllare se, in concreto, il dipendente abbia sfruttato i permessi 104 per le finalità di legge, servendosi eventualmente di un investigatore privato. Ma, in caso di contestazione e di disputa giudiziaria, il beneficiario delle agevolazioni potrà difendersi, dimostrando che non era con il disabile in una certa fascia oraria, perché stava compiendo attività comunque collegate alle necessità dell’assistito. Ricade, pertanto, sul lavoratore la prova di aver svolto la prestazione di assistenza, in luogo diverso da quello della residenza della persona protetta (Cassazione n. 30462/2023).





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