«Le edicole vanno difese, sono il luogo del dialogo»

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«Le edicole sono l’ultimo baluardo dell’informazione di qualità». A parlare è il presidente dell’Accademia dei Lincei, Roberto Antonelli, professore emerito di filologia e linguistica romanza alla Sapienza di Roma, che interviene nella battaglia per salvare questi punti vendita che rappresentano un patrimonio comune delle città. «I social – continua – non hanno responsabilità critiche. Questo vuol dire che noi dipendiamo completamente da una fonte unica, che non possiamo discutere o modificare, se non rifiutandola in blocco».

Roma, il grido degli edicolanti: «Siamo a rischio sfratto. il Comune ci ascolti»

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«Aedes, come luogo di incontro. Casa, home, come in quel vecchio film di Spielberg, E.T. l’extra-terrestre. Un luogo in cui ci si riconosce che siamo parte di una polis. Edicola, piazza, comunità, partecipazione. Questa è un’altra grande parola, tornata in auge in una enciclica di papa Francesco. Ma c’è un paradosso…»

Quale?

«Che l’esclusione, la chiusura di questi luoghi di partecipazione, avvenga in un momento in cui attraverso i social si pensa di poter partecipare. Ma non è così, perché nei social non c’è dialogo interpersonale, quello che riconosce l’altro come parte di sé».

Le edicole sono luoghi di aggregazione?

«La piazza, dall’antica Grecia in poi, è sempre stata luogo di scambio, e soprattutto di dialogo. Sui social il dialogo è sempre falso. Pensi che anche noi come Accademia dei Lincei ci siamo posti il problema della loro utilizzazione per la diffusione di notizie. Ci siamo pure posti il problema delle riunioni non in presenza. La riunione in remoto tradisce lo spirito scientifico».

Come reagire, come invertire la tendenza?

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«Forse bisogna continuare a sviluppare quell’aspetto che interfaccia l’edicola con la libreria vera e propria e con altre forme di commercializzazione. Sottraendolo invece ad altre sedi, che sono di puro commercio. Ci sono librerie di Roma dove presentare un libro, e ci sono fondazioni e accademie che svolgono la stessa funzione di una libreria. Per l’edicola è difficile pensare a una soluzione di questo tipo».

Nota dei cambiamenti?

«Domenica mattina è successa una cosa straordinaria: c’era una fila di nove persone davanti a me per comprare il giornale. E mentre io aspettavo, c’erano altre sei persone in attesa dietro di me. “La domenica è normale”, mi ha detto l’edicolante. E questo ci porta a una riflessione sui ritmi della nostra epoca».

Vale a dire?

«Leggere un giornale per intero richiede un paio d’ore. Ma nei giorni feriali questo tempo non lo si ha più, Resta solo il tempo che occorre per andare al lavoro. Anche quando ha dovuto fronteggiare la concorrenza della televisione, che fa vedere immediatamente in tempo reale quello che avviene, il giornale si è imposto come fonte di commento critico, di approfondimento. Il paradosso è che i social, che hanno rappresentato uno sviluppo democratico dei singoli, ora stanno producendo la crisi della società liberale e democratica in cui siamo cresciuti. La crisi dei giornali, la crisi del pensiero critico sono parte di questo aspetto e l’Italia farebbe bene a mantenere la sua specificità, la sua differenza, che è fatta anche di Storia, non del solo presente».

Cosa devono fare gli edicolanti?

«Sviluppare ancora di più la propria funzione come luogo di aggregazione. A Roma esiste il problema della chiusura delle edicole, ma nelle piccole città la situazione è ancora più drammatica. Quando vado a Calvi dell’Umbria, devo andare in un altro paesino a sei chilometri di distanza per comprare il giornale. Non in un’edicola, ma nel bar del paese, che richiama in questo modo molti clienti che si fermano a prendere un caffè o a chiacchierare».

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In queste piccole città le edicole sono ancora più importanti?

«Per il loro ruolo di aggregazione, di rapporto e di dialogo, grazie alla piazza che ancora esiste e diventa a certe ore del giorno un punto di aggregazione, l’edicola è fondamentale».

Quale soluzione possiamo adottare?

«Lo Stato, cioè la comunità dei cittadini, la polis, dovrebbe riconoscerne il ruolo sociale. Come la scuola, che molto spesso viene considerata una spesa inutile, perché non se ne vede la redditività immediata. Ma senza scuola, università e ricerca scientifica, l’economia italiana andrebbe al disastro totale. Bisogna riuscire ad arrivare a una percezione dell’importanza sociale delle edicole».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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