La Germania di Friedrich Merz e l’Unione europea

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Lo scorso 18 febbraio, Mario Draghi è intervenuto al Parlamento europeo nell’ambito della settimana parlamentare europea. Invitato a introdurre il dibattito sullo stato di avanzamento del Rapporto Il futuro della competitività europea ‒ da lui scritto su incarico della presidente della Commissione, Ursula von der Leyen ‒, Draghi ha rinnovato l’allarme già lanciato nel settembre 2024, in occasione della presentazione del documento. In quella circostanza, l’ex presidente del Consiglio e della Banca centrale europea aveva esortato gli Stati membri e le istituzioni dell’Unione europea ad agire con “urgenza e concretezza” per scongiurare il rischio di una “lenta agonia” dell’Ue. A Strasburgo, il tono si è fatto ancor più severo: dall’esortazione si è passati a un vero e proprio grido d’allarme. A spingere Draghi ad abbandonare la consueta compostezza è stata l’inazione dei governi europei, incapaci di reagire efficacemente alle sfide epocali che si trovano ad affrontare:

“Dite no al debito pubblico, dite no al mercato unico, dite no alla creazione di un’unione dei mercati dei capitali. Non si può dire di no a tutto! Altrimenti, per essere coerenti, si deve anche ammettere di non essere in grado di rispettare i valori fondamentali per i quali è stata creata l’Unione europea”.

Il riferimento ai “valori fondamentali” chiarisce come l’intemerata non scaturisca solo dalla delusione di chi vede languire le proprie proposte, ma rappresenti piuttosto un richiamo alle leadership politiche ad assumersi le proprie responsabilità di fronte alla gravità del momento. Occorre restituire slancio all’Unione europea, al di là della pur importante questione della competitività. Per farlo, suggerisce Draghi, gli europei devono convincersi ad “agire sempre di più come se fossimo un unico Stato”.

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Non è azzardato immaginare che tra i principali destinatari (e bersagli polemici) delle succitate parole vi fosse la Germania. D’altronde, è superfluo soffermarsi sul ruolo cruciale svolto da Berlino nell’Unione europea. Perciò, qualora si ammetta la fondatezza del caveat di Draghi ‒ come le pericolose convergenze tra Trump e Putin, volte a marginalizzare l’Ue, sembrano purtroppo confermare ‒ risulta opportuno interrogarsi sulla possibilità che, dopo le elezioni federali anticipate del 23 febbraio scorso, il governo tedesco che verrà possa adottare posizioni più coraggiose in Europa rispetto a quelle assunte dalla coalizione “semaforo” guidata da Olaf Scholz.

Il criterio di valutazione per misurare le prossime mosse della Germania non deve necessariamente essere la sua disponibilità a concepire l’Ue “come se” fosse uno Stato: si tratta di una prospettiva piuttosto complicata. A meno che ‒ ipotesi invero non del tutto irrealistica ‒ le tensioni a cui è sottoposto il sistema internazionale non preparino un sisma politico (o di altra natura) di portata ancora più ampia rispetto a quelli registrati ad oggi, il cui riverbero in Europa potrebbe innescare il “momento hamiltoniano” e condurre (obbligare) a un consolidamento politico dell’Ue. Ex malo bonum: dalle risposte alle crisi, ci spiega il funzionalismo à la Monnet, si esce approfondendo l’integrazione.  

La storia insegna che la formazione di una Grosse Koalition richiede sempre molto tempo, una prospettiva in contrasto con l’urgenza delle risposte che l’Unione europea deve dare agli eventi, tumultuosi e inattesi, che si stanno dipanando sul piano internazionale

Che cosa possiamo dunque attenderci dal nuovo governo tedesco, che sarà guidato dal leader della Cdu-Csu Friedrich Merz, nello scenario europeo? Iniziamo dalle cattive notizie. Intanto ricordiamo che si tratterà di un governo di coalizione, che unirà i cristiano-democratici con la Spd. La storia insegna che la formazione di una Grosse Koalition richiede sempre molto tempo, una prospettiva in contrasto con l’urgenza delle risposte che l’Unione europea deve dare agli eventi, tumultuosi e inattesi, che si stanno dipanando sul piano internazionale. Aspettare Berlino è necessario, ma potrebbe avere un costo elevato. Bisogna quindi augurarsi che i negoziati tra i partiti per la stesura del programma di governo procedano speditamente. La seconda osservazione è che il “modello tedesco” è alquanto ammaccato. La Germania sta vivendo una profonda crisi economica e sociale. Da almeno cinque anni non registra una crescita economica significativa. Il Paese è diviso, come dimostra la mappa della distribuzione del voto, che ripropone la separazione – vigente ai tempi della guerra fredda – tra la parte occidentale, che ha dato fiducia alla Cdu, e quella orientale, dove Alternative für Deutschland rappresenta la maggioranza. Forse è  esagerato parlare di una Germania destabilizzata. Il futuro governo, tuttavia, dovrà dedicare molta della sua attenzione alle questioni interne. 

Ma, e veniamo alle buone notizie, ci sono anche ragioni che inducono a sperare che la Bundesrepublik voglia riappropriarsi della sua leadership nell’Unione europea che ai tempi della cancelleria Scholz si è alquanto appannata, ma che da sempre (in tandem con la Francia) costituisce il perno irrinunciabile dell’Ue. La biografia di Merz è il primo punto da cui partire. Il leader democristiano si è affermato nella vita politica ai tempi di Helmut Kohl, l’artefice della riunificazione tedesca (un passaggio strettamente legato all’integrazione europea, come è noto) e uno degli architetti del Trattato di Maastricht istitutivo dell’Ue. Nel 1989 era stato eletto al Parlamento europeo, dove rimase per l’intera legislatura facendo parte della Commissione per i problemi economici e monetari e la politica industriale, e contribuendo a perfezionare il funzionamento del mercato unico. Quali tracce abbia lasciato questo apprendistato “europeista” – e quanto possa essere utile per affrontare i temi posti dall’attualità – lo si può valutare da un appello che Merz ha lanciato nel 2018, insieme a Jürgen Habermas e ad altri politici tedeschi, a favore di un esercito comune, di un approccio europeo anziché nazionale alla definizione del livello dei salari e dei prezzi, e infine alla realizzazione di un sistema europeo di assicurazione contro la disoccupazione. In breve: difesa ed embrioni di un Welfare sovranazionale. Il secondo obiettivo era promosso con questa spiegazione: “Una moneta unica implica anche un’unica politica monetaria per tutti, orientata alla media dell’Eurozona. Ciò significa che essa indebolisce i più deboli e rafforza i più forti. Per questo, sono necessari stabilizzatori per attenuarne e compensarne gli effetti, così come sforzi individuali da parte di tutti i membri”.

Naturalmente, un conto sono gli appelli dall’opposizione, un conto è l’azione politica quando si detengono gli strumenti per governare. Durante la campagna elettorale e all’indomani del voto, il proposito di istituire meccanismi di stabilizzazione sociale comuni per i Paesi della zona euro è sostanzialmente evaporato. Ma ciò che è rimasto dell’afflato europeista presente nell’appello del 2018 potrebbe comunque costituire una buona base per restituire vitalità all’Unione europea. In primo luogo, Merz intende riattivare il motore franco-tedesco (finito in panne ai tempi di Scholz, che non è mai riuscito a trovare un’intesa con Emmanuel Macron) e dare nuova linfa al “Triangolo di Weimar”, com’è chiamato il forum di coordinamento istituito nel 1991 tra Berlino, Parigi e Varsavia (con quest’ultima che svolge un ruolo sempre più rilevante nelle vicende dell’Unione europea). In secondo luogo, benché l’atlantismo abbia rappresentato uno dei pilastri della sua visione dei rapporti internazionali, Merz ha dovuto prendere atto della crisi dei rapporti tra Bruxelles e la nuova amministrazione americana. Di più: quanto ha detto il vicepresidente Vance alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco ha mostrato – come ha scritto Tony Barber sul “Financial Times” – l’“aperto disprezzo” con cui gli Stati Uniti trattano gli alleati europei, in questo caso la Germania. Per questo, in un discorso televisivo poco dopo l’ufficializzazione della sua vittoria elettorale, Merz ha avvertito che l’Europa deve urgentemente rafforzare la sua difesa e, potenzialmente, persino trovare un’alternativa alla Nato: “La mia priorità assoluta sarà rafforzare l’Europa il più rapidamente possibile, in modo da ottenere gradualmente una vera indipendenza dagli Stati Uniti”. Non meno dirompente è l’apertura che Merz ha fatto alla protezione nucleare europea (da raggiungere attraverso un accordo con Londra e Parigi) quale strumento di dissuasione contro potenziali aggressori del territorio dell’Ue. Una apertura (che dovrà essere accettata dalla Spd) che dà il senso del terremoto in corso nelle relazioni internazionali. Al contempo, è appena il caso di ricordare come alle dichiarazioni debbano seguire i fatti: la “svolta epocale” annunciata dal precedente cancelliere Scholz all’indomani dell’invasione dell’Ucraina, con cui prefigurava grandi cambiamenti nella politica estera e di difesa della Repubblica federale, è un buon esempio delle difficoltà che si incontrano a dare seguito alle promesse impegnative. 

La drammaticità del momento e la centralità del tema della difesa dell’Europa (che dovrebbe includere il Regno Unito) hanno comprensibilmente messo in secondo piano le altre proposte che la Cdu-Csu ha presentato nel suo programma elettorale

La drammaticità del momento e la centralità del tema della difesa dell’Europa (che dovrebbe includere il Regno Unito) hanno comprensibilmente messo in secondo piano le altre proposte che la Cdu-Csu ha presentato nel suo programma elettorale e che comunque, è bene ricordarlo, dovranno essere rese compatibili con il punto di vista del partner di governo. Per quanto uscita fortemente indebolita dalle urne, la Spd avrà voce in capitolo nella determinazione dell’indirizzo governativo. Tuttavia, non sembrano esserci grossi ostacoli a trovare un accordo tra i due partiti sulla necessità di integrare i mercati europei dell’energia, delle telecomunicazioni e dei capitali, di ridurre la burocrazia europea e di incrementare la competitività.  

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Le ricette proposte dalla Germania consentiranno all’Ue di essere all’altezza dei cambiamenti che stanno accadendo nel mondo? È difficile rispondere, anche perché – mi verrà perdonata la locuzione un po’ logora – la storia sta accelerando. Quello che è certo è che l’Unione sta pagando il prezzo delle sue antiche esitazioni nel creare una difesa comune. I tempi lunghi che occorreranno per farla funzionare (ovviamente nell’ipotesi che si dia seguito alle proposte) sono incompatibili con l’urgenza imposta dai fatti. Da questo punto di vista, cercare di mantenere rapporti solidi con gli Usa, per quanto ormai complicato, rappresenta una necessità. La delusione e l’irritazione per le scelte compiute a Washington dovranno lasciare spazio – in Merz come negli altri leader europei – a scelte basate su un assai complesso equilibrio tra pragmatismo e difesa dei principi e dei valori irrinunciabili su cui è nata l’Unione europea.    



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