Tra misure tampone e assenza di strategia, difficilmente il decreto Bollette troverà una risposta alla crescita della povertà energetica in Italia. E in più, il testo prenota l’utilizzo del 50 per cento delle risorse del Piano sociale per il clima (da approvare entro giugno 2025), vincolate a contrastare gli impatti sociali provocati dalla decarbonizzazione dei sistemi di produzione e consumo di energia, per il sostegno a famiglie e microimprese vulnerabili
La crescita della povertà energetica nel nostro Paese difficilmente troverà una risposta risolutiva nel decreto Bollette approvato dal Consiglio dei ministri. Nel 2023, secondo dati Oipe, sono state 2,36 milioni le famiglie in povertà energetica, il 9 per cento del totale, in forte crescita rispetto all’anno precedente: 340mila famiglie in più, di cui 293mila nei due scaglioni più bassi della distribuzione della spesa energetica domestica. Il valore più alto mai raggiunto.
Un risultato provocato dalla concomitanza di scelte politiche ideologiche e di congiuntura economica: dalla modifica del reddito di cittadinanza alla crisi del manifatturiero fino all’esplosione del costo della vita. E peraltro nel 2023, anno in cui il costo del gas (il TTF olandese) si è tenuto ai minimi storici degli ultimi 4 anni.
All’inizio del 2025 è invece tornato sopra i 50 euro a megawattora, mentre crescono le preoccupazioni che i nuovi dazi Usa provochino un aumento dei costi del gnl, fornito dagli Stati Uniti all’Europa.
Solo interventi spot
Sulla crescita della povertà energetica ha influito la marcia indietro nelle politiche pubbliche di sostegno alle fasce più vulnerabili, passate dai 27 miliardi di euro del 2022 ai 10 miliardi del 2023, secondo l’Upb. Il decreto approvato dal Consiglio dei ministri prevede solo pochi interventi, con uno stanziamento di 2,8 miliardi, di cui 1,6 per le famiglie, per un contributo straordinario per il prossimo trimestre di 200 euro per Isee fino a 25.000 euro, che si cumula al bonus elettricità e gas per chi già ne fruisce (con Isee fino a 9.530 euro). In totale 8 milioni di famiglie.
A questa misura si aggiunge l’istituzione futura di un meccanismo automatico per l’adeguamento dei costi energetici per famiglie e microimprese vulnerabili, si garantisce il sistema a tutele graduali per i clienti vulnerabili fino al 31 marzo 2027 e si inseriscono misure per rendere più trasparenti le offerte di energia e gas ai clienti domestici sul mercato libero.
Non molto, se lo confrontiamo con gli interventi disposti dal governo Draghi nel pieno della prima tempesta dei prezzi del gas. Certo, nel 2021 e nel 2022 l’Europa è stata sconvolta da un aumento dei costi del gas di molto superiore a quello attuale, con una punta massima del TTF che superò i 300 euro a megawattora. Allora si intervenne ripetutamente, con 16 miliardi aggiuntivi, su più aspetti.
Vanno individuati due fattori di continuità tra i governi Draghi e Meloni: prevalgono gli interventi spot e nulla si fa per intaccare gli extraprofitti delle compagnie del fossile.
Servono interventi strutturali
Oggi la situazione, già profondamente compromessa sul fronte sociale, con l’inflazione che ha consumato la capacità di resistenza delle famiglie e con i rischi che vengono dalle tensioni internazionali, richiede interventi strutturali.
Per esempio, il bonus elettricità e gas non riesce a coprire i bisogni, tant’è che solo il 18 per cento delle persone in povertà energetica nel 2023 è riuscito ad accedere al bonus. Servono una riforma del bonus, perché l’Isee non riesce a cogliere tutte le determinanti della povertà energetica, e una riforma delle bollette, per ripulirle da tutte le voci improprie che vi sono caricate.
Inoltre, per ridurre la piaga degli extraprofitti, oltre a interventi fiscali diretti, serve incentivare i contratti di lunga durata e soprattutto serve modificare il meccanismo di formazione del prezzo dell’energia, staccandolo da quello del gas.
Vanno valorizzate le energie rinnovabili, che già nel 2024 hanno superato il 50 per cento della produzione di energia, e occorre seguire con attenzione quanto avverrà con il passaggio dal prezzo unico nazionale a quello per zone geografiche, che dovrebbe valorizzare la componente rinnovabile.
Nel decreto, nulla di tutto ciò
Per giunta, il decreto apre un vulnus e un’ulteriore preoccupazione, là dove prenota l’utilizzo del 50 per cento delle risorse (circa 3,5 miliardi) che saranno disponibili nel Piano sociale per il clima (da approvare entro giugno 2025) per il sostegno a famiglie e microimprese vulnerabili, mentre il Regolamento europeo dice chiaramente che quelle misure non possono superare il 37,5 per cento delle risorse del Piano, e in ogni caso sono vincolate a contrastare gli impatti sociali provocati dalla decarbonizzazione dei sistemi di produzione e consumo di energia, per cui non possono coprire i prezzi dell’energia prodotta con il fossile e devono rispettare il principio europeo di “non arrecare un danno significativo”.
Insomma, si naviga al buio con misure tampone e senza strategia, che, vista l’approvazione in contemporanea, sembra essere affidata al decreto che rilancia l’energia nucleare, come se davvero il governo pensasse che questa sia la carta strategica da giocare per abbassare il costo dell’energia elettrica nei prossimi anni.
Eppure oggi si è molto raffinata la conoscenza del fenomeno grazie al lavoro di istituti accademici e di ricerca ed enti del terzo settore, che può ben supportare la messa in campo di politiche pubbliche serie e strutturali. Sono conoscenze a disposizione anche del governo.
© Riproduzione riservata
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link