sui brevetti l’Europa è battuta da Usa e Cina

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Se la finanza è il flusso vitale del sistema economico, con effetti talvolta positivi e spesso controversi, l’innovazione tecnologica è il motore del cambiamento strutturale, essenziale per migliorare produzione industriale, valore aggiunto, tutela ambientale e progresso medico. Il legame tra innovazione e crescita economica è oggi più evidente che mai, ma l’Europa sembra ancora faticare a tradurre questa consapevolezza in una strategia efficace.

Riccardo Lombardi, primo prefetto di Milano, partigiano e socialista, sosteneva che la politica economica e industriale è come sostituire il motore di un’auto senza fermarla. Un’immagine che ben rappresenta la complessità della transizione tecnologica odierna: mentre il mondo si evolve a ritmi sempre più serrati, le economie avanzate devono innovare senza interrompere la produzione e la competitività.

In questo contesto, la conoscenza è divenuta un fattore cruciale per guidare la crescita economica e industriale.

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Manca l’investimento pubblico

Il Clean Industrial Deal, presentato dalla Commissione Europea il 26 febbraio 2025, riflette questa esigenza, ma con evidenti limiti. Il piano, infatti, riconosce l’importanza dell’innovazione per affrontare le sfide ambientali, energetiche e digitali, ma soffre di due criticità: l’assenza del settore pubblico come attore diretto del cambiamento tecnologico e la mancanza di risorse aggiuntive, dato che i fondi sono semplicemente redistribuiti all’interno del bilancio Ue.

Anche il ricorso agli aiuti di Stato potrebbe dare un contributo, ma non costituisce una svolta strutturale. Inoltre, per evitare di accrescere il debito comune, la Commissione ha scelto di non emettere titoli europei, rinunciando così a un intervento più incisivo. Tuttavia, il ritardo dell’Europa in ricerca, sviluppo e brevetti non dipende solo dalle politiche comunitarie.

Si tratta di un problema più profondo, legato alla specializzazione produttiva e a un modello industriale che fatica ad adattarsi alle nuove sfide. Le priorità individuate dalla Commissione – transizione ecologica, energia e digitalizzazione – restano perlopiù disattese, mentre il rallentamento degli investimenti penalizza la competitività.

Un allentamento delle normative ambientali, spesso indicato come soluzione, non basterà a rilanciare il sistema economico europeo, poiché le sue difficoltà risiedono altrove: scarsa innovazione, debole spesa in ricerca e sviluppo e bassa produzione di brevetti.

Investimenti, r&d e brevetti

Per comprendere meglio la posizione dell’Europa rispetto a Cina e Stati Uniti, è utile analizzare alcuni indicatori chiave: investimenti, ricerca e sviluppo e numero di brevetti. Gli investimenti non sono solo una voce del PIL, ma rappresentano un segnale della fiducia delle imprese nel futuro. Quando le aspettative sono positive, le aziende destinano più risorse allo sviluppo; in caso contrario, gli investimenti si riducono, innescando un circolo vizioso di stagnazione.

Dal 1995 al 2023, la Cina è passata dal 5 al 45 per cento degli investimenti totali nei Paesi Ocse, dimostrando una straordinaria capacità di crescita. Gli Stati Uniti, unico competitor in grado di mantenere il passo, hanno incrementato la loro quota dal 30 al 35 per cento.

L’Europa, invece, ha subito un declino, passando dal 25 al 20 per cento. Questo rallentamento non è solo un dato economico, ma il segnale di un sistema industriale che fatica a rinnovarsi e ad adattarsi alle nuove sfide globali. La conseguenza diretta è un indebolimento della dotazione tecnologica e una perdita di competitività rispetto a Cina e Stati Uniti.

Anche la spesa in ricerca e sviluppo evidenzia il progressivo declino europeo. Nel 2023, gli Stati Uniti rappresentavano il 38 per cento della spesa Ocse, con un leggero calo rispetto al 1995. La Cina ha registrato un incremento straordinario, passando dal 3 al 35 per cento.

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L’Europa, invece, si è ridotta dal 20 al 9 per cento, un dato allarmante che riflette non solo una riduzione degli investimenti, ma anche una specializzazione produttiva meno orientata all’innovazione. Infatti, non è tanto la volontà politica a mancare, quanto un’industria che, per caratteristiche strutturali, non richiede livelli di ricerca e sviluppo paragonabili a quelli di Cina e Stati Uniti.

I brevetti rappresentano un altro indicatore chiave della capacità innovativa. Analizzando l’evoluzione dei brevetti attraverso il Triadic Patent Family, negli ultimi 20 anni si osservano profonde trasformazioni. Sebbene l’intelligenza artificiale sia spesso al centro del dibattito, la sua presenza nel settore brevettuale è ancora marginale: nel 2020, solo il 5 per cento dei brevetti riguardava l’AI, contro il 20% dell’ambiente-energia e il 12 per cento della medicina.

Anche la nanotecnologia, che sembrava promettente, è rimasta su livelli contenuti. A livello internazionale, Europa e Stati Uniti dominano il settore farmaceutico, con il 35 e il 20 per cento dei brevetti rispettivamente. La Cina, invece, appare ancora marginale in questo campo. Diversa è la situazione nei brevetti ambientali ed energetici, un settore strategico per il futuro.

Qui la Cina ha registrato una crescita impressionante: nel 2000 non aveva brevetti in questo ambito, ma nel 2020 rappresentava già il 13 per cento del totale. Gli Stati Uniti, invece, sono scesi dal 25 al 16 per cento, mentre l’Europa ha perso terreno, passando dal 27 al 15 per cento, con una tendenza negativa ancora in corso.

Questi dati suggeriscono che le grandi sfide tecnologiche non hanno ancora un vincitore assoluto. Tuttavia, l’Europa rischia di rimanere indietro se non individua strategie più incisive per rafforzare il proprio sistema industriale e tecnologico.

Più che inseguire narrazioni ottimistiche, è necessario un approccio pragmatico che affronti i problemi alla radice: investimenti insufficienti, carenza di innovazione e difficoltà nel trasformare la ricerca in vantaggio competitivo. Solo con una visione chiara e politiche industriali adeguate sarà possibile colmare il divario con Stati Uniti e Cina e garantire un ruolo centrale all’Europa nel futuro dell’economia globale.

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