di Ivana Castronovo
Recentemente, durante alcuni momenti di solitaria ricerca di immagini, progetti di studio e talvolta di consumo passivo di informazioni visive sui social, mi sono trovata a pensare che avrei voluto vedere l’espressione sincera ed estemporanea di altri di fronte a ciò che a me in quei contesti si presentava davanti. Per quanto curiosi e stimolanti potessero essere alcuni ritrovamenti e incontri nel corso di questa escursione visiva il tassello mancante diventava l’esperienza condivisa. Questa mancanza ha aperto lo spiraglio a degli interrogativi che diventano qua condivisi in pensieri dal carattere personale e che in parte possono certamente rimandare a innumerevoli supporti di carattere accademico-scientifico.
Fare caso al modo in cui fruiamo, condividiamo, e facciamo in generale esperienza delle immagini e dei luoghi, così come delle esperienze collettive, diventa inevitabilmente un riflesso dallo spettro più ampio di cui la letteratura scientifica in vari ambiti ha esplorato e continua ad esplorarne ragioni, implicazioni, effetti e rimandi.
Qui in via molto personale l’episodio scatenante da cui deriva la riflessione che segue ha trovato, nella fruizione individuale e solitaria, un gap di mancanza. L’Altro, appunto.
Qualunque tipo di arte al di là delle motivazioni personali di chi le produce, implica la necessità dell’alterità, già nell’atto generativo del creare qualcosa al di fuori di sé, che si scontra e confronta poi con la diversità, le similitudini e le infinite combinazioni di emozioni, percezioni e risposte che variano sulla base di sensibilità personali e collettive, sociali, culturali, psicologiche, se non educative.
Ed ecco perché osservarne le risposte diventa un modo per costruire non solo empatia ma per testare anche la temperatura sociale.
L’arte come linguaggio universale senza codificazione univoca. Ed è qui che nella mia esperienza personale la mancanza si è tradotta in necessità di condivisione.
Pochi giorni dopo questo episodio mi sono trovata in viaggio con un gruppo di amici in Portogallo. Il viaggio finalizzato principalmente allo studio e alla documentazione di architetture, spazi pubblici e progetti di design in quei luoghi specifici, è diventato una risposta di fronte a queste suggestioni che hanno preceduto la partenza.
In questi giorni ho condiviso molte poche immagini del viaggio con le persone che lontane non stavano condividendo direttamente quella esperienza con me. Vorrei semmai raccontarne le reazioni, le sensazioni, vorrei scriverne, appuntarne dettagli di cui parlare e che diversamente si perderebbero nella velocità sintetica di un altro tipo di esperienza a questa forse opposta. Senza essere digerite ancor prima di essere masticate insomma.
In questi dieci giorni ho visto amici a cui voglio bene e che sento di conoscere bene, commuoversi per cose che non avrei immaginato, e trovarmi io commossa per cose che non mi sarei aspettata, ho visto reazioni che non avrei potuto custodire, così come ora, nella mia memoria e che non avrei potuto diversamente vivere in quei momenti di solitaria condivisione tramite tutti quegli espedienti ai quali possiamo ricorrere, mentre siamo protetti dalle nostre stanze solitarie, eppure proiettati ovunque in contatto con chiunque nello stesso istante.
Fuori da un algoritmo confezionato su misura del singolo utente, l’esperienza condivisa dell’alterità, è sorpresa e conoscenza che si rinvigorisce in tutte quelle reazioni che non sono state le mie, nelle parole di altri diverse dalle mie, nella ricchezza delle possibilità che questi confronti hanno generato.
Io dopo questo viaggio conosco un po’ meglio i miei amici e anche un po’ meglio me, grazie anche ai luoghi e alle cose che abbiamo voluto osservare e vivere insieme, ricordo la sorpresa nei loro occhi che è stata anche la mia.
Ho appreso da loro in dieci giorni molto più di quanto avrei potuto fare cercando da sola in migliaia di pagine scritte, di fotografie ben fatte, di film o musica custoditi nello scrigno del mio studio personale, come guscio di chiocciola.
Oggi per la prima volta sento questa stanza come la custode di un ricordo che diventerà altro, il movimento si inverte. Non la stanza da cui uscire ma quella a cui fare ritorno e dalla quale iniziare a raccontare quel che c’è fuori. Sia io che lei siamo un po’ più pronte ad accogliere e condividere, per fortuna.
Dialoghi Mediterranei, n. 72, marzo 2025
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Ivana Castronovo, laureata in Discipline delle Arti della Musica e dello Spettacolo presso l’Università degli studi di Palermo, ha sostenuto l’esame finale con un progetto dal titolo Zoo umani, un’analisi estetica e geo-antropologica (dr. Matteo Meschiari e Salvatore Tedesco) dedicato all’analisi delle narrazioni dell’altro e dell’altrove all’interno degli zoo umani a cavallo tra XIX e XX secolo, mediante l’utilizzo di particolari espedienti estetici, geografici ed antropologici. Ha proseguito gli studi presso NABA – Nuova Accademia di Belle Arti di Milano con un Master in Photography and Visual Design. Attualmente risiede a Siracusa dove frequenta il corso di laurea in Design presso MADE, Mediterranean Arts & Design Program.
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