L’accesso alla giustizia delle associazioni aventi finalità di tutela ambientale

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T.A.R. LOMBARDIA, Milano, Sez. III – 7 gennaio 2025 n. 22

Le associazioni che perseguono finalità a tutela dell’ambiente sono legittimate ad agire in giudizio, ancorché non vi sia una espressa previsione legislativa in tan senso, solo ove dimostrino a) la non occasionalità del perseguimento di obiettivi ambientali; b) l’adeguata rappresentatività dell’associazione sul territorio e c) lo stabile collegamento con il bene a fruizione collettiva che si assume leso (c.d. vicinitas).

Con riferimento alle persone fisiche che agiscono per la tutela di interessi ambientali, la loro legittimazione all’azione si correla all’elemento della vicinitas, derivante dal fatto che tali soggetti privati vivano abitualmente in prossimità del sito prescelto, o comunque abbiano uno stabile collegamento con esso, per la realizzazione dell’intervento contestato con il provvedimento impugnato.

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Quanto al requisito dell’interesse ad agire, l’associazione ricorrente deve dimostrare una verosimile prospettazione relativa ad un danno sia pure potenziale derivante dall’atto impugnato e/o dalle opere contestate.

Il T.A.R Milano affronta il tema dei presupposti e delle condizioni che devono sussistere affinché le associazioni ambientaliste non individuate dal Decreto del Ministero dell’Ambiente ai sensi dell’art. 13 L. 8 luglio 1986, n. 349 e prive di un espresso riconoscimento legislativo che attribuisca loro la legittimazione ad agire possano comunque agire in giudizio a tutela dell’interesse ambientale che ritengono leso.

Nella sentenza in commento, una O.N.L.U.S. e diverse persone fisiche impugnano il Decreto Dirigenziale con cui è stato adottato il Provvedimento Autorizzatorio Unico (P.A.U.) ai sensi dell’art. 27 bis D. Lgs. n. 152/2005, che consente l’intervento di modifica di un polo ambientale composto da un impianto di depurazione, di termovalorizzatore rifiuti e di codigestione per il trattamento di rifiuti di natura organica di origine alimentare. L’intervento è volto alla realizzazione di una bio piattaforma integrata in sostituzione dell’inceneritore esistente.

I ricorrenti ritengono il provvedimento lesivo dell’interesse alla salvaguardia del territorio sotto il profilo urbanistico, ambientale ed igienicosanitario.

Il T.A.R. rigetta il ricorso deducendone l’inammissibilità per difetto di legittimazione ad agire e carenza di interesse, allineandosi a quella giurisprudenza che nel corso dell’ultimo decennio è divenuta maggioritaria[i] e che ammette la legittimazione ad agire delle associazioni ambientali non iscritte all’albo nazionale tenuto dal Ministero dell’Ambiente purché però dimostrino in giudizio la sussistenza di determinati presupposti.

Al fine di comprendere le ragioni che hanno portato il T.A.R. Milano a rigettare il ricorso proposto, occorre ripercorrere gli orientamenti giurisprudenziali susseguitisi in materia di accesso alla giustizia delle associazioni che perseguono obiettivi di tutela ambientale.

In linea generale, al fine di poter accedere alla tutela giurisdizionale occorre che sussistano i requisiti della legittimazione ad agire e dell’interesse ad agire.

In particolare, quanto al primo presupposto, il soggetto che agisce in giudizio è tenuto a dimostrare l’effettiva titolarità di una situazione giuridica, ossia di una posizione giuridica qualificata e differenziata. 

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La questione di fondo all’esame della sentenza in commento deriva dal fatto che il bene ambiente nella sua accezione più ampia è un interesse diffuso, per sua natura adespota, ossia privo di un effettivo titolare e appartenente ad un insieme indefinito di soggetti[ii].

Al fine di garantire la tutela giurisdizionale effettiva anche a tali tipi di interessi la giurisprudenza ha affermato la necessità di “soggettivizzare” l’interesse diffuso, individuando cioè una collettività di soggetti che in forma stabile ed organizzata – quali ad esempio le associazioni e i comitati – possa considerarsi titolare di interessi collettivi[iii].

Una volta individuato tale gruppo di soggetti, per poter stabilire se questo è legittimato ad agire in giudizio, occorre tenere in considerazione l’art. 81 c.p.c. che stabilisce che “fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui”.

Partendo da tale principio, la giurisprudenza più risalente[iv] ha affermato che quella dell’ente collettivo sia una forma di legittimazione ad agire sostitutiva, posto che gli enti fanno valere un interesse non proprio ma di altri e cioè della collettività cui si riferisce l’interesse diffuso, con conseguente ammissibilità di una tale forme di legittimazione solo in presenza di una espressa previsione legislativa, pena la violazione dell’art. 81 c.p.c.[v]

Tale minoritario orientamento è stato però criticato e superato, tra le altre, dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza 20 febbraio 2020, n. 6, che ha affermato che “il percorso compiuto dal legislatore sia stato […] contraddistinto dalla consapevolezza dell’esistenza di un diritto vivente che, secondo una linea di progressivo innalzamento della tutela, ha dato protezione giuridica ad interessi sostanziali diffusi […] riconoscendone il rilievo per il tramite di un ente esponenziale che ne assume statutariamente e non occasionalmente la rappresentanza.

Deve quindi escludersi che le associazioni, nel richiedere in nome proprio la tutela giurisdizionale, azionino un diritto di altri. La situazione giuridica che tendono a tutelare è la propria, ed è “relativa ad interessi diffusi nella comunità di riferimento che vivono sprovvisti di protezione sino a quando un soggetto collettivo strutturato e rappresentativo non li incarni” (§6.2 Cons. Stato, ad. plen., 20 febbraio 2020, n. 6).

L’Adunanza Plenaria ha, in sostanza, confermato la correttezza di quel maggioritario filone giurisprudenziale – cui si è allineata la sentenza in commento – che riconosce la teoria del c.d. doppio binario di legittimazione, che consente cioè l’accesso alla giustizia, non solo alle associazioni ambientaliste la cui legittimazione ad agire è prevista ex lege, ai sensi del combinato disposto degli artt. 13 e 18 L. 8 luglio 1986 n. 349, ma anche a quelle associazioni prive di espresso riconoscimento legislativo in tal senso purché ricorrano cumulativamente le seguenti condizioni: a) il perseguimento non occasionale di obiettivi di tutela ambientale; b) la presenza di un adeguato grado di rappresentatività e stabilità finalizzato a tutelare l’interesse che si assume leso e c) la sussistenza di un rapporto di prossimità con la collettività di riferimento (c.d. criterio della vicinitas, che pone in relazione la tutela degli interessi diffusi con la loro localizzazione su un dato territorio al fine di contribuire alla creazione di una posizione differenziata in capo al gruppo associativo)[vi].

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Tale consolidato assetto giurisprudenziale ritiene dunque che le associazioni ambientaliste hanno sì titolo ad impugnare qualsiasi atto amministrativo, ma la sussistenza della loro legittimazione a ricorrere sia condizionata a monte dagli scopi da esse perseguiti: ciò consente loro unicamente la deduzione di censure funzionali al soddisfacimento di interessi ambientali e impedisce invece la proposizione di doglianze relative a violazioni di altra natura che non corrispondono alle finalità perseguite dall’associazione stessa[vii].

In questo modo viene ampliata e rafforzata la tutela degli interessi diffusi evitando il proliferare del contenzioso posto che, con riguardo alle associazioni prive di un espresso riconoscimento legislativo in ordine alla loro legittimazione ad agire, il giudice è tenuto volta per volta ad accertare la sussistenza dei presupposti tipizzati dalla giurisprudenza, svolgendo una rigorosa verifica della rappresentatività del soggetto collettivo, in assenza della quale il ricorso non potrà che essere dichiarato inammissibile per carenza di legittimazione di agire.

Nel caso in esame, infatti, il T.A.R. Milano rigetta il ricorso affermando che l’associazione “ha omesso di produrre qualsiasi documento in grado di apportare argomenti di prova a sostegno della propria legittimazione” in quanto i ricorrenti non hanno dimostrato l’esistenza delle predette condizioni.

In particolare, i giudici rilevano che non è stato depositato in atti lo Statuto dell’Associazione a comprova della finalità perseguita dall’ente medesimo, né ulteriori documenti idonei a fornire elementi sul grado di rappresentatività e sul collegamento stabile con la porzione di territorio interessata dal provvedimento impugnato.

Per completezza, si evidenzia che altra parte della giurisprudenza ha dato una certa rilevanza al fattore temporale: secondo tale orientamento l’ente deve dimostrare di aver svolto la propria attività per un certo arco di tempo e non debba essere stato costituito al solo scopo di procedere all’impugnazione di singoli atti o provvedimenti[viii].

La rilevanza di questo elemento è stata criticata dalla sentenza del Consiglio di Stato, sez. III 10 dicembre 2020 n. 7850, la quale ha sottolineato che “se l’elemento temporale fosse dirimente si impedirebbe in modo irragionevolmente discriminatorio a formazioni sociali di nuova costituzione […] di accedere agli strumenti che l’ordinamento mette a disposizione per la tutela di situazioni giuridiche protette, in violazione dei principi espressi dagli artt. 2, 3 e 39 Cost. Ed ancora, attribuire all’elemento temporale [..] tale funzione di discrimine, introdurrebbe un indebito elemento discrezionale se non arbitrario la cui delimitazione […] o valutazione non è, del resto, in alcun modo dalla legge considerata né, quindi, attribuita a qualsivoglia organismo”.

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Attualmente, dunque, ogniqualvolta ad agire in giudizio siano associazioni ambientali non riconosciute, la giurisprudenza ne riconosce la legittimità se la ricorrente dimostra la sussistenza dei tre presupposti sopra evidenziati.

Coerentemente con quanto fino a qui esposto, con riferimento al secondo presupposto dell’azione – ossia l’interesse a ricorrere – la sentenza afferma che i ricorrenti hanno altresì omesso di dimostrare una verosimile prospettazione relativa ad un danno, sia pure potenziale, derivante dall’atto impugnato, richiamando la sentenza Cons. Stato. 7 agosto 2024 n. 7033 che afferma che “anche per l’azione in giudizio di soggetti portatori di interessi diffusi e di associazioni di categoria, per agire in giudizio occorre la necessaria sussistenza dell’interesse ad agire. Le associazioni portatrici di interessi ambientali non iscritte nell’apposito elenco previsto dall’art. 18 comma 5 della l. n. 349 del 1986 devono dimostrare, al pari di ogni altra condizione dell’azione, anche la presenza dell’interesse ad agire, ovvero la concreta ed attuale lesione della propria posizione soggettiva, che deve sussistere dal momento della proposizione del ricorso e permanere fino al momento della decisione. Tuttavia, proprio perché le associazioni non devono occuparsi di questioni che interessino i singoli associati, la delibazione della concretezza e attualità della lesione della posizione soggettiva corporativa azionata in giudizio deve essere compiuta dal giudice con riferimento ai suoi profili collettivi”.

Nel caso in esame i giudici rilevano che le modifiche autorizzate con il provvedimento impugnato evidenziano la modernizzazione di un polo già in funzione e non una sua modifica pregiudizievole per gli interessi ambientali, circostanza che imponeva ai ricorrenti la puntuale dimostrazione del danno asseritamente subito.

Come per ogni azione innanzi al giudice amministrativo, dunque, anche le associazioni ambientali sono tenute a dimostrare l’utilità concreta ed attuale che le stesse potrebbero ottenere dall’accoglimento del ricorso nonché il potenziale danno che ritengono di subire in base all’atto impugnato.

In conclusione, la prova della sussistenza delle condizioni tipizzate dalla giurisprudenza relativamente alla legittimazione ad agire nonché dell’interesse a ricorrere in capo alle associazioni che svolgono attività a tutela dell’ambiente, consente, ad avviso di chi scrive, di creare un certo equilibrio tra a) l’esigenza di tutelare il bene ambientale, assicurandogli un’effettiva tutela giurisdizionale in un’ottica evolutiva slegata dal mero dato testuale e normativo, e b) la necessità di garantire l’accesso alla giustizia secondo profili di soggettività costruiti attorno ad un interesse inerente all’individuo o ad un gruppo determinato di individui, scongiurando le ipotesi di legittimazione oggettiva[ix].

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Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato.

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NOTE:

[i] Ex multis: T.A.R. Lazio-Roma, sez. I, 14 giugno 2021, n. 7041; T.A.R. Lazio-Roma, sez. V, 05 ottobre 2022, n.12639; Cons. di Stato, sez. IV, 18 maggio 2022 n. 3921; Cons. Stato, sez. IV, 26 gennaio 2022, n. 530.

[ii] L’interesse diffuso “è un interesse sostanziale che eccede la sfera dei singoli per assumere una connotazione condivisa e non esclusiva, quale interesse di tutti in relazione ad un bene dal cui godimento individuale nessuno può essere escluso, ed il cui godimento non esclude quello di tutti gli altri” (Cons. Stato, ad. plen., 20 febbraio 2020, n. 6).

[iii] L’interesse collettivo è una species dell’interesse legittimo e può essere definito come interesse che “pertiene a gruppi di soggetti definiti e dotati di strutture organizzative” (G. Manfredi, Interessi diffusi e interessi collettivi (dir. amm.), in Enc. Dir., Annali, Milano 2014, 513).

[iv] La sentenza Cons. Stato, sez. VI, 21 luglio 2016, n. 3303 ha affermato che “la legittimazione ad agire degli enti esponenziali trova espresso riconoscimento in una puntuale disciplina normativa, che si preoccupa però anche di stabilire chi può agire e, soprattutto, il tipo di azione che può essere esercitata. Si riscontra, in sostanza l’affermazione di una nuova e più matura tassatività delle azioni esperibili”.

[v] Verico G., Legittimazione ad agire a tutela degli interessi diffusi: Codacons e amministrazione straordinaria di Alitalia, Ius Amministrativo, 21 settembre 2022. 

[vi] A tal proposito la giurisprudenza successiva ha aggiunto che “quando si afferma che l’ente collettivo può agire a tutela di un interesse diffuso anche in mancanza di una previsione di legge perché sta facendo valere un ^interesse proprio^ e non di ^altri^, lo si fa per escludere che occorra, ai sensi dell’art. 81 c.p.c., una espressa previsione di legge ma non anche che si possa prescindere da una, sia pur implicita, base legale che richiede che l’ente sia comunque in possesso di determinati requisiti che sono quelli tipizzati dalla giurisprudenza” (Cons. Stato, sez. VI, 26 gennaio 2022, n. 530).

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[vii] T.A.R. Lombardia – Milano, sez. IV, 3 luglio 2023, n. 1699; T.A.R. Campania – Salerno, sez. II, 10 aprile 2020, n. 412.

[viii] Consiglio di Stato sez. IV, 18 maggio 2022, n. 3921.

[ix] Mannucci G., Legittimazione e interesse a ricorrere delle associazioni ambientaliste, federalismi.it, 5 giugno 2023: “La giurisdizione amministrativa resta, in questo modo, a carattere soggettivo: l’ingresso occasionale di un interesse diffuso in giudizio non determina uno snaturamento del processo, ma testimonia la volontà del legislatore di innalzare il livello di garanzia (anticipando la soglia di tutela) in casi particolari”.



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