I NUMERI DEL LAVORO/ Ecco i lavoratori che l’Italia attrae e quelli che non riesce a trattenere

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Sempre più spesso, nella nostra cerchia di amici, colleghi o familiari, conosciamo qualcuno che ha deciso di trasferirsi all’estero per lavoro o studio. Allo stesso tempo, il nostro quotidiano è arricchito dalla presenza di colleghi e collaboratori di origine straniera che contribuiscono al tessuto economico e sociale del Paese. La mobilità internazionale è ormai parte della nostra realtà, con l’Unione europea che facilita gli spostamenti attraverso la moneta unica, il riconoscimento delle qualifiche professionali e programmi di cooperazione come Erasmus+.



Ma quali sono le reali dimensioni dei flussi migratori che interessano l’Italia? Chi arriva nel nostro Paese per lavorare e chi, invece, sceglie di partire? Quali legami si mantengono con il Paese d’origine in un’epoca in cui la comunicazione e le reti professionali sono sempre più interattive? In questo articolo analizzeremo i numeri e le tendenze della migrazione lavorativa, evidenziando anche i flussi di rientro e le nuove dinamiche di interazione tra chi si sposta e la propria terra d’origine.

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Il contesto europeo

L’Unione europea ha trasformato la mobilità del lavoro in una dinamica sempre più fluida. Spostarsi da un Paese all’altro per lavorare non richiede più lunghi iter burocratici: il riconoscimento dei titoli di studio e un mercato del lavoro sempre più interconnesso permettono a milioni di persone di costruire il proprio percorso professionale senza vincoli geografici.

Secondo Eurostat (dati 2023), circa 17 milioni di cittadini Ue risiedono in uno Stato membro diverso da quello di nascita. I flussi tra i Paesi Ue sono più dinamici rispetto a quelli con Paesi extra-Ue, grazie alla libertà di movimento. Programmi come Erasmus+, che inizialmente si concentravano sulla mobilità studentesca, oggi offrono opportunità anche per tirocini e inserimenti lavorativi.



L’Italia si colloca in questa realtà come punto di arrivo per molti lavoratori stranieri e, allo stesso tempo, come Paese di partenza per numerosi italiani.

Chi viene a lavorare in Italia?

L’Italia continua ad attrarre diverse categorie di lavoratori migranti, sia comunitari che extracomunitari, grazie alla richiesta di manodopera in settori chiave dell’economia: agricoltura, soprattutto nel Centro-Sud; edilizia, con una forte presenza di lavoratori dall’Est Europa e dal Nord Africa; servizi alla persona, dove prevalgono lavoratrici provenienti dall’Europa dell’Est e dall’America Latina; industria e logistica, con un incremento di lavoratori provenienti da Asia e Africa; sanità, con un’affluenza di medici e infermieri da Spagna, Albania e Romania.

Alcuni dati: 5,2 milioni di stranieri risiedono stabilmente in Italia (Istat, 2023); Il 60% degli immigrati lavora in settori con elevata richiesta di manodopera (ministero del Lavoro, 2023); più del 12% delle imprese italiane è gestito da imprenditori stranieri (Unioncamere, 2023). Molti di questi lavoratori mantengono forti legami con il Paese d’origine, inviando rimesse economiche e costruendo reti professionali transnazionali.

Gli italiani che partono: un’emigrazione qualificata

Se l’Italia accoglie lavoratori stranieri, tanti italiani scelgono l’estero per cercare condizioni di lavoro più vantaggiose. Questo fenomeno riguarda sia giovani laureati che professionisti con esperienza.

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Essi vanno principalmente: in Germania e Regno Unito, se ingegneri, ricercatori e specialisti tecnologici; in Francia e Spagna, con una forte presenza nel settore culturale e artistico; in Svizzera, se specialisti nel settore sanitario e finanziario; negli Usa, in Canada e Australia, quando imprenditori e lavoratori della ricerca.

Alcuni dati: 5,8 milioni di italiani iscritti all’Anagrafe italiani residenti all’estero (ministero degli Affari esteri, 2023); la fascia più mobile è quella tra i 25 e i 40 anni (Istat, 2023); gli stipendi nei Paesi di destinazione possono essere fino al 50% più alti rispetto all’Italia (Eurostat, 2023).

La tecnologia ha reso più semplice mantenere legami con l’Italia: molti italiani all’estero collaborano con aziende italiane o lavorano da remoto senza perdere il contatto con il Paese d’origine.

Il fenomeno del rientro

Negli ultimi anni, alcuni italiani hanno scelto di rientrare, attratti da nuove opportunità o incentivi economici. In particolare: incentivi per il rientro dei cervelli (per esempio, sgravi fiscali per chi torna a lavorare in Italia); connessione con il mercato del lavoro globale, che consente di operare dall’Italia pur collaborando con aziende estere; desiderio di rientrare per motivi familiari senza rinunciare alla carriera.

Una mobilità sempre più aperta

Oggi la mobilità del lavoro è un fenomeno fluido e interattivo: chi parte non si stacca completamente dal proprio Paese e chi arriva mantiene legami con la propria terra d’origine.

L’Italia e l’Europa devono però guardare avanti: la mobilità lavorativa non deve essere vista in una logica di competizione con economie emergenti come Cina e India, ma come un’opportunità di costruzione comune. Per essere competitiva, l’Ue deve rafforzare questa contaminazione, incentivando ulteriormente la libera circolazione, il riconoscimento delle competenze e la collaborazione transnazionale.

In un mondo sempre più interconnesso, la mobilità del lavoro non è solo una necessità, ma un’opportunità per costruire un mercato europeo del lavoro dinamico e resiliente.

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