L’epopea dell’emigrazione nordestina non è il refrain nostalgico di stracci, maschere abbrutite e marmocchi piangenti coltivato da una memorialistica incline al folklore.
Quell’intrapresa di veneti, friulani, giuliani, trentini “in luoghi assai lontani” disegna il moto poderoso che investe un secolo e mezzo (dall’epoca risorgimentale agli anni Settanta del ’900), influenza il percorso dei Paesi di destinazione e contribuisce al decollo della madrepatria, garantendo rimesse e risparmi al capitalismo protezionista nascente.
È il ciclo narrato dallo storico Emilio Franzina in “Triveneto migrante. Il racconto dell’antica emigrazione dalle Venezie”: reclutamenti su vasta scala e autonome strategie di mobilità dei lavoratori che coinvolgono oltre sei milioni di donne e uomini, alternando nell’immaginario collettivo leggenda, speranza e disillusione.
Napoleone III e il generale Custer
Punto d’avvio, il forte aumento della popolazione (+40% tra 1830 e 1880) favorito dallo “spettacolare declino della mortalità infantile” che determina un surplus di offerta sul mercato del lavoro.
Preceduto dall’espatrio di esuli, avventurieri e soldati – celebre la saga del conte bellunese Carlo Camillo Di Rudio, che attenta alla vita di Napoleone III, fugge dall’ergastolo nell’Isola del Diavolo, combatte con il generale Custer al Little Bighorn – il primo, significativo, esodo coincide con la nascita del Regno d’Italia “ma non va imputato all’Unità” chiosa Franzina, in dissenso con la lectio venetista cara a Franco Rocchetta.
Calderai, seggiolai, spazzacamini, venditori di statuine; ma anche minatori e scalpellini, carbonai e muratori, pasticceri e gelatieri: sciamano dalla Val di Zoldo, Valpolicella e Pedemontana, dall’Altopiano di Mario Rigoni Stern, dai monti dei “carnielli” e da Tolmezzo per riversarsi nell’area franco-germanico-fiamminga. Né mancano colonie triestine in Bosnia, Transilvania, Moldavia, Romania, incoraggiate dalle autorità asburgiche nel quadro dell’espansione edilizia del continente.
Ma è il biennio 1876-77 a salutare la grande fuga dal Veneto centrale nel Rio Grande do Sul brasiliano (dove l’abolizione della schiavitù ereditaria innesca una domanda di manodopera marginale) e dalla montagna friulana verso l’Argentina.
“America! America! Si sente cantare/ Andiamo nel Brasile, Brasile a popolare/ America! America si campa a meraviglia/ Andiamo in Brasile con tutta la famiglia”: tra condizioni disperate di bisogno, promesse mirabolanti (e non di rado truffaldine), agevolazioni tariffarie sul viaggio, l’addio alle “Venezie” – l’espressione nasce allora ad opera del linguista goriziano Graziadio Isaia Ascoli – si intreccia alle sanguinose proteste contro la tassa sul macinato di braccianti affamati, piccoli proprietari, affittuari minori a rischio di povertà.
Con il clero in cura d’anime che accompagnano le comunità, accudite dalla congregazione degli Scalabrini o da preti precursori quali il bassanese Pietro Colbacchini. Con i capi lega e sindacalisti, socialisti e repubblicani, che fondano i primi fogli etnici, l’Operaio italiano a Buenos Aires e Il Progresso italo americano di New York, molto apprezzato dai “lanieri” di Vittorio Veneto e dai tessili licenziati da Luigi Rossi di Schio, in cerca di riscatto tra Massachussets, New Yersey e Toronto.
Intanto la “febbre platense” contagia i pionieri friulani né – corre il 1879 – il terrificante sermone sulla Merica del parroco di Podgora (“Scatenò il pianto dirotto tra le donne e ve fu pure taluna svenuta”) offusca il mito evocato dall’imprenditore trentino Pietro Tabacchi, battistrada in Brasile al pari dell’esule mazziniana Clementina Tavernari, che strappa a Pedro III l’“importazione” di 400 braccianti. Sperimenteranno epidemie, condizioni durissime (“Un poca di polenta, sempre fasoi, tanti bissi”), sommosse e rivolte culminate nella morte del fratello dell’imperatore, un fazendero prepotente, ucciso a revolverate dal diciottenne Angelo Lorenzetti.
Fino al rimpatrio tumultuoso dai Paesi europei coinvolti nel primo conflitto mondiale (autunno 1914) mentre in Sudamerica tirolesi e trentini si schierano con l’Impero asburgico e i veneti, pur disamorati, rispondono alla chiamata alle armi sul Carso e l’Isonzo. Contadini-soldati, allettati dalla promessa di terre, ribelli nel biennio rosso, vessati dallo squadrismo agrario che precede la marcia su Roma.
Resistenti ma non arrendevoli
Le nuove mete? Gli Stati Uniti, il Canada, l’Australia del giornalista sovversivo Piero Munari, il Messico – dove l’udinese Tina Modotti, fotografa e attrice di fede marxista, partecipa alla rivoluzione degli Anni Venti – e la vicina Francia, spopolata dalle stragi belliche.
Marisa Gasparini e Giovanni Pantaleoni sposi in Belgio, anni’ 50 LA VALIGIA, VICENZA
Fino all’emigrazione nazionalpopolare nell’Agro Pontino, palingenesi ruralista e redenzione sociale di Benito Mussolini.
Largo agli emiliani (politicamente fedeli) e soprattutto ai veneti pii, mansueti e resistenti alla fatica: “Le genti campioni dell’Italia proletaria e fascista”, sentenzia il Duce inaugurando Littoria nel 1932.
Non sempre arrendevoli, però: tumulti e scioperi divampano tra 1927 e 1934 nella Marca, a Padova, Mestre, Schio, Valdagno: più che moti antifascisti, reazioni disperate alle “feroci restrizioni classiste” del regime.
Quasi 20 mila le richieste pervenute, 4910 quelle accolte con 466 famiglie alloggiate nelle coloniche littoriesi, esclusi i veneziani e i bellunesi sospetti di simpatie rosse.
I mezzadri sfuggono dallo spettro della miseria, la propaganda sbandiera “cinematografo gratis e feste da ballo settimanali”: è la “nuova appartenenza al piccolo Veneto lontano dal Veneto”, che si estenderà presto a Carbonia e Arborea in Sardegna, alla toscana Alberese, ai remoti possedimenti africani.
Un prologo all’accordo con Hitler che si tradurrà nell’invio di mezzo milione di italiani, dapprima in forma volontaria e poi coatta, negli squallidi fremdarbeiter descritti nel diario dell’operaio trevigiano Luigi Meneghel.
L’umiliazione in Belgio e il dramma degli esuli istriani
Dieci anni più tardi, la nuova intesa tra Roma e Bonn per orientare nella Germania federale il maggior flusso, assieme a quello svizzero, del secondo dopoguerra. Una valvola di sfogo – 791 mila uscite dalle Venezie tra 1946 al 1958 – “raccomandata” da Alcide De Gasperi e
caldeggiata dal giovane Mariano Rumor, che sconta le umilianti condizioni dettate dal Belgio (200 chili di carbone per ogni minatore) e dilaga nell’Argentina peronista e in Venezuela, mete dei profughi giuliani scacciati dall’Istria. Basta.
L’ultima stagione – segnata dalla nascita dei sodalizi Fogolars Furlans, Trevisani nel mondo, Emigranti Bellunesi, I Polesani – coincide con il diradarsi dei flussi Oltralpe e il crollo di quelli belgi dopo la tragedia di Marcinelle, né la riapertura dei confini Usa nel 1964 (dopo 40 anni di blocco) incide su un movimento Sud-Nord organico al triangolo industriale.
Così, spente dopo il 1975, le partenze conosceranno “significative reviviscenze all’alba del nuovo millennio, modificate per tipologia”, stavolta intellettuale e professionale, “ma di entità non trascurabile, in coabitazione da quarant’anni in qua con una massiccia immigrazione straniera”.
Da Gruaro alla Francia: i braccianti nella miseria
Lavoratori agricoli in partenza dalla stazione di Treviso per la Germania 1941
Una famiglia di braccianti poveri, gli Stefanuto di Gruaro e Cinto Caomaggiore, costretti a spostarsi di fattoria in fattoria per sbarcare il lunario a cavallo del secolo. Sante, l’unico maschio, indossa i vestiti delle sorelle maggiori; la cena prevede due fette di salame a chi lavora, una per bambini e anziani. Scampato alla Grande guerra, ostile al fascismo e ai possidenti agrari che lo spalleggiano, il capofamiglia Luigi guarda alla vicina Francia, spopolata dalle stragi belliche. Dapprima lavori stagionali, muratore nei cantieri degli sbarramenti, poi l’impiego stabile e un salario dignitoso: “Si pensava di tornare al paese”, scrive “ma i bambini hanno costruito qui la loro vita. Siamo diventati francesi”.
Da Sequals a New York: l’artigiano della Little Friuli
Nella New York di fine Ottocento, Onofrio Pasquali di Sequals incarna il sogno americano: sbarcato ad Ellis Island senza un soldo né un contatto, si rimbocca le maniche ed esibisce ben presto spiccate qualità di artigiano del vetro conquistando clienti e commissioni, pubbliche e private, fino a indurre il sindaco ad affidargli la responsabilità organizzativa e di insegnamento della Scuola di Mosaico della metropoli. E’ un protagonista della “Little Friuli” di Manhattan “grande tanto quanto Gemona o Maniago”, animata da personalità quali il conte e patriota udinese Antonio Antoni ed il suo primogenito, agente di cambio in Borsa, che si riunirà nel primo sodalizio etnico regionale “La Famee Furlane de Gnove York”.
Da Trieste al Rio Grande: il console nudista contro le tensioni
Fornace Moretti e Martorelli a Sao Caetano do Sul (Brasile) – 1912
Allo scoppio della prima guerra mondiale, il giovanissimo triestino Bruno Zuculin è console d’Italia a Florianopolis, nel Brasile meridionale, e testimone delle crescenti tensioni che, nelle campagne del Rio Grande do Sul, oppongono i coloni tedeschi agli immigrati italiani, perlopiù veneti. Allarmato dal susseguirsi di “ingiurie percosse, coltellate” tra i gruppi etnici, denuncia “l’intollerabile provocazione germanica” in una lettera al ministro degli Esteri, Sidney Sonnino, invocando – senza successo – l’invio di un contingente militare a protezione dei connazionali. Figura eclettica, Zuculin sperimenterà i bagni di sole nudisti per curare il nervo sciatico e sarà un acceso divulgatore del turismo naturista.
Da Mansué al Brasile: O Rey do café e il suo impero
Imbarco di emigranti al porto di Genova – fine XIX sec
Una carriera folgorante quella di Geremia Lunardelli, incoronato “O Rey do café” dai giornali brasiliani. Figlio di emigranti trevigiani, nato a Fossabiuba di Mansué, giunge in terra paulista all’età di due anni, nel 1886. Lavora fin da bambino nelle fazendas, impara a leggere e scrivere in età adulta ma, grazie al fiuto negli affari, racimola un capitale sufficiente ad acquistare le prime piantagioni di caffè. È il prologo alla nascita di un impero (arrivò a possedere 25.375 ettari di terreno e 30 mila capi di bestiame, 11.500 ettari di cotone e 5.000 coltivati a canna da zucchero) che gli varrà fama internazionale: decorato dall’imperatore, rifiuta i titoli nobiliari offerti dal re d’Italia e dal Papa.
Da Monselice: il prof e pioniere del sindacato
Casa di agricoltori in località Dourado di Aratiba (Brasile) – 1920 circa
A cavallo del secolo, Angelo Galeno di Monselice (1857-1931), deputato socialista e docente di liceo, è il pioniere del segretariato sindacale per l’immigrazione, un organismo ideato per tutelare i diritti dei lavoratori espatriati. L’obiettivo, illustrato sul foglio “L’Avvenire”, è assisterli in ogni parte del continente europeo agendo in stretto collegamento con i partiti fratelli. Più ancora, il padovano – seguace di Filippo Turati, arrestato a più riprese per attività sovversiva – lavora a formare i migranti in partenza attraverso corsi linguistici e vademecum sui Paesi di destinazione, notizie sulle condizioni di donne e fanciulli all’estero, “vigilanza di classe” sui reclutatori a caccia di manodopera.
Da Cortina a Zurigo: il falegname massacrato nel bar
Il falegname Alfredo Zardini, ampezzano di Cortina, emigra a Zurigo a quarant’anni, allettato da un’offerta di lavoro. Corre il 1971, in Svizzera cresce l’insofferenza verso “l’invasione della patria” e l’estrema destra cavalca l’ostilità agli stranieri. Tra i seguaci del radicalismo xenofobo figura il giovane Gerhard Schwitzgebel che il 20 marzo, in un bar, animato da odio razziale, aggredisce all’improvviso Zardini e lo massacra a calci e a pugni, lasciandolo morente davanti al locale. Anni dopo l’omicida sarà condannato a 18 mesi di carcere per “eccesso colposo di legittima difesa”. Il municipio si limita a rimborsare le spese di trasporto della salma in Italia, peraltro anticipate dal locale Fogolàr Furlan.
Il libro
“Triveneto migrante” di Emilio Franzina è il libro, fondamentale, su cui si basa questo approfondimento giornalistico. Il volume libro racconta la grande emigrazione attraverso uno sforzo monumentale: ricerche svolte fra il 1979 e il 2023, che prendono in considerazione i presupposti dei principali esodi da lavoro, e anche le loro conseguenze in chiave demografico-economica e sociale.
Le foto
La straordinaria documentazione fotografica di questo servizio dal Foto Archivio Storico Trevigiano, FAST. Un fondo di grandissima rilevanza che nasce nel 1989 quando la Provincia di Treviso acquista l’archivio fotografico di Bepi Fini. L’archivio cura l’organizzazione di mostre e corsi e la valorizzazione della fotografia come forma di ricerca artistica, informazione e documentazione.
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