E’ ritornato a Conegliano don Aniello Manganiello

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Nella mattinata del 25 febbraio, Don Aniello Manganiello – paladino della lotta anticamorra – è ritornato nella sede coneglianese dell’Istituto Cerletti, cui era stato ospite due anni fa. A dare il benvenuto al padre guanelliano la professoressa Sabrina Bellin, che ha invitato i ragazzi a cogliere tale opportunità, ascoltando il vissuto di un uomo che rincorre la speranza ed è testimone di una “vita donata”. La docente ha ringraziato la Dirigente Scolastica Mariagrazia Morgan e la Vicepreside Marina Di Fatta per il loro impegno affinché l’esperienza di don Aniello potesse essere “tradotta in parole” nell’incontro promosso dal progetto “Educazione alla legalità e al benessere”, coordinato dalla professoressa Maria Rita Fidilio. Numerose sono state le frasi significative: – “Il silenzio è mafia” – “Per vivere in pienezza la propria vita, bisogna impegnarsi per il prossimo” – “Ogni pregiudizio è un muro” .

Ed è proprio a Scampia, quartiere periferico di Napoli, che don Manganiello ha scelto di  abbattere i muri, trascorrendo gli anni più importanti della sua missione (dal 1994 al 2010), per ritornarci nel 2020 e viverci tuttora. Dopo una breve pausa nella Capitale, dal 2011 ha percorso le strade della Penisola per far conoscere il suo “diario in prima linea”: Gesù è più forte della camorra. Un’opera autobiografica, degna di essere rievocata e approfondita,  testimonianza della lotta alla Camorra, quella fatta di azioni concrete in un territorio dove “l’usura e lo spaccio di droga regnano sovrani”.

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Agli studenti del “Cerletti” ha ribadito l’importanza di attenersi a comportamenti virtuosi,  togliendo l’ossigeno alle organizzazioni malavitose:” Il portafoglio delle mafie si accresce grazie al gioco e alle droghe leggere. Legalità, perciò, significa contrastare tutto ciò che è illegale”.

Ha affrontato il tema della droga, dando una risposta inequivocabile a quanti ritengono poco pericolose le droghe leggere: – “Qualsiasi droga è nociva. Ho seguito tanti tossici a Scampia; avevano iniziato con la cannabis. Chi fornisce la pasticca non lo fa in maniera autonoma: è un pesce piccolo in un contesto ben più grande, non una figura apicale. Se comperate cannabis, i soldi non sono rintracciabili e alimentano il mercato illegale, mentre se i giovani compiono scelte corrette, non superficiali, possono ostacolare l’apparente onnipotenza delle organizzazioni malavitose.”

Il padre guanelliano ha sottolineato poi il valore dello studio, con una riflessione: “La Camorra si nutre di “sottocultura” e funge da “ammortizzatore sociale” nelle aree di povertà. I giovani sono abbagliati dalla pubblicità che crea dei bisogni condizionati, perciò se un ragazzo si sente realizzato con l’abito firmato, ma non può permetterselo, la Camorra “risponde” alle sue esigenze e si occupa del suo “mantenimento economico”. Solamente aprendo la mente alla conoscenza può esserci il riscatto sociale e la libertà di scelta.

Don Aniello successivamente ha approfondito le tematiche, intrattenendosi per un’intervista.

“Portare avanti la vita” è stato il tema principale dell’incontro. Cosa significa tale affermazione?

Le conversioni per le quali mi sono adoperato a Scampia rappresentano “un portare avanti la vita”. Si è trattato di un impegno costante per salvare alcuni malavitosi, spendendomi per la loro conversione. Perciò alle nuove generazioni rivolgo un monito da fissare nella mente: impegnatevi per la comunità.

In riferimento alla sua missione a Scampia, lei ha ribadito che “i pregiudizi sono muri invalicabili.” Ce ne vuole parlare?

Quando sono arrivato a Scampia ho abbattuto un muro alto tre metri che circondava tutta l’opera della comunità guanelliana (oratorio, parrocchia, semiconvitto). L’abbattimento di quel muro “fisico” è stato un messaggio forte per abbattere, successivamente, i muri “mentali” : i pregiudizi che ci costruiamo nei nostri cuori. Dobbiamo nutrire e alimentare la nostra speranza nella convinzione che gli “irrecuperabili” non esistono, dobbiamo imparare a cogliere il positivo in ciascuna persona.  

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Oltre a ciò lei ha affermato che i muri costruiti in adolescenza possono “cristallizzarsi” in età adulta. Come vede i giovani immaginandoli nel futuro?

I giovani sono lontani dal volontariato che potrebbe colmare i loro vuoti e aiutarli a combattere l’ingiustizia della povertà e dell’emarginazione. Il volontariato in Italia, a livello giovanile, si attesta solamente sul 4%, perciò le nuove generazioni vanno educate affinché possano vivere in pienezza la loro vita, impegnandosi per il prossimo, apprezzando il valore della legalità. Ho il timore, invece, che il discorso sulla legalità si stia affievolendo, diventando sempre meno importante. Ritornando a Scampia, nel 2020, mi sono reso conto che la situazione è peggiorata: c’è più sicurezza, ma anche un diffuso appiattimento.

Per quale motivo preferiva un altro titolo per il suo libro più noto, Gesù è più forte della Camorra ?

Preferivo “Dove finisce Gomorra” per prendere le distanze dal progetto di Saviano, che associa il termine “Gomorra” a Scampia, imprimendo una condanna impietosa al territorio. Gomorra è il nome di una città che non viene salvata da Dio; rappresenta un’impossibilità di rinascita, mentre io nel libro voglio raccontare le conversioni dei malavitosi, i percorsi di speranza (sportivi e formativi) in aiuto delle famiglie più povere; le azioni antitetiche alla Camorra.

Quindi non gradisce l’assonanza Gomorra-Camorra.

Certamente no. Gomorra è un termine negativo che tralascia il positivo e imprime un marchio negativo di disgregazione sociale, delinquenza e decadimento morale. Bisogna, invece, cogliere la scintilla del bene: la parte umana di Scampia che vive nella legalità.

Nel suo intervento ha dichiarato che “la politica deve volgere lo sguardo lontano” e che le stesse leggi dovrebbero proteggere i cittadini, garantendo sicurezza. Quando le istituzioni sono davvero efficaci nell’applicazione della legge?

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Le istituzioni svolgono un lavoro efficace quando investono denaro per un rilancio produttivo serio, evitando gli sprechi. Una politica che guarda lontano investe per un cambiamento strutturale con uomini onesti, che non si fanno corrompere. Un Paese è lungimirante quando progetta per il futuro e pone fiducia sui giovani.

Ripercorrendo la sua missione si riscontra che, già nel lontano 2008, lei ha scelto di parlare a volto scoperto delle minacce ricevute, nel programma televisivo “Le Iene”. Qual è stato il momento peggiore di quel periodo?

La fase più tormentata non è stata quando ho ricevuto le minacce, quanto piuttosto il silenzio successivo di chi avrebbe dovuto sostenermi. La diocesi di Napoli non mi ha appoggiato, anzi sono stato accusato di aver cercato la visibilità, di essere uno showman. Il “silenzio degli onesti” fa più paura delle intimidazioni. E’ nel silenzio che cresce la forza delle mafie.

Cosa l’ha spinta a continuare?

L’amore per il territorio. Quando Paolo Borsellino ricevette l’invito da Antonino Caponnetto e Rocco Chinnici di entrare nel pool antimafia di Palermo, ne conosceva i rischi, ma disse che amava quella città. In lui ho ravvisato un modello di legalità che mi ha sempre supportato e, tuttora, mi supporta. Ho deciso di seguire l’esempio di Borsellino; ho scelto di amare Scampia.

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