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In gennaio il prezzo dell’energia elettrica all’ingrosso in Italia è balzato a 143,03 euro per Mwh (Megawatt-ora) dai 108,5 della media del 2024. Era il più alto d’Europa nel 2024 come negli anni precedenti e continua imperterrito a esserlo. La ragione per la quale vanta questo non invidiabile record è che il 60% dell’energia elettrica che consumiamo viene prodotta bruciando gas, e il gas è più caro del carbone, del nucleare e delle energie rinnovabili ed è diventato particolarmente caro dopo l’invasione della Russia all’Ucraina.
In Germania è ancora usato il carbone, in Francia e Spagna c’è il nucleare, i Paesi scandinavi hanno il nucleare e molte rinnovabili e questo spiega perché l’elettricità costa meno.
Di fronte all’ultimo aumento dei prezzi il governo ha deciso di intervenire fiscalizzando, mettendo cioè a carico della collettività una parte della bolletta delle famiglie con redditi più bassi e delle piccole e medie imprese.
Si tratta per le prime di un intervento di welfare e per le seconde di una scelta di politica industriale. È un intervento congiunturale che è stato già fatto in passato da governi diversi e in altri Paesi, ma il problema, chiunque sia a pagare la bolletta, rimane.
Il mercato dell’energia è enormemente complesso, la sicurezza, ovvero la garanzia per tutti di avere l’energia di cui abbiamo bisogno dove e quando ne abbiamo bisogno, richiede legami solidi con i fornitori di materie prime, connessioni consolidate con gli altri sistemi elettrici, ridondanza della capacità produttiva e delle reti di distribuzione. Tutto questo ha un costo ed è giusto che siamo noi consumatori a pagarlo insieme alle altre componenti che insieme determinano il costo dell’energia elettrica, così come è giusto che nel prezzo sia compreso un margine di profitto per le imprese del settore, tale da consentire loro di finanziare gli investimenti e remunerare il capitale.
Ma, anche comprendendo tutto ciò, il prezzo che paghiamo resta troppo alto. Abbiamo detto che il mercato dell’energia è molto complesso, dobbiamo aggiungere che il sistema energetico è anche estremamente sofisticato e tecnologicamente avanzato. È in grado cioè di utilizzare luogo per luogo e momento per momento la fonte di produzione più efficiente e di misurare momento per momento il suo costo
Questa efficienza però non arriva nelle nostre bollette, perché il prezzo dell’energia non viene fissato in base all’insieme delle diverse fonti di volta in volta utilizzate, ma su quella “marginale”, che in genere è il gas. Poiché il gas è la fonte più costosa, a fare il prezzo che noi paghiamo è la frazione prodotta dall’impianto meno efficiente che utilizza la materia prima più cara. L’effetto è che una parte di quanto pagato dalle famiglie e dalle imprese, cioè da tutti, diventa una rendita a vantaggio di qualcuno.
La motivazione che in Italia, come nel resto d’Europa, ha giustificato la scelta di fare il prezzo sulla “unità marginale”, quasi sempre quella più costosa, è che così si incentiva lo sviluppo delle energie rinnovabili che non dovendo pagare la materia prima, e cioè il vento per l’eolico, il sole per il solare e l’acqua per l’idroelettrico, hanno costi di produzione decisamente più bassi e quindi margini più alti.
Nobile motivazione, peccato che quantomeno in Italia si sia creato un corto circuito, perché da una parte strapaghiamo l’energia per favorire l’investimento in fonti rinnovabili e dall’altra blocchiamo quegli investimenti con una serie di ostacoli in parte reali e soprattutto artificiali. Un esempio? I pannelli solari di ultima generazione hanno una efficienza energetica di 3-4 volte superiore a quella dei pannelli di quindici anni fa, ma per sostituirli è previsto un iter autorizzativo del quale non si capisce la ragione, visto che gli impianti sono già istallati e si tratta solo di cambiare i pannelli, né i motivi della lentezza e complessità.
Le soluzioni al problema dei prezzi troppo elevati dell’energia ci sono. La prima è sciogliere i lacci e lacciuoli che frenano lo sviluppo delle rinnovabili. Siamo oltre il 40% della produzione italiana e raggiungere il 60 o il 70 in pochi anni con il revamping dei vecchi impianti e l’istallazione di nuovi è assolutamente alla nostra portata. Più rinnovabili significa meno dipendenza dal gas, che importiamo e che costa molto e il cui prezzo è soggetto a oscillazioni per ragioni geopolitiche e spesso anche speculative. È una scelta che il governo italiano, se volesse, potrebbe fare.
La seconda soluzione, che non è alternativa alla prima, è cambiare il metodo di formazione del prezzo basato sull’«unità marginale», eliminando così l’iniquo passaggio di denaro dalle tasche delle famiglie e delle imprese consumatrici alla rendita dei produttori. Questa è una scelta che va fatta a livello europeo. Queste due soluzioni, virtuose e complementari consentirebbero il decoupling, la parola magica degli ultimi anni, la separazione dei prezzi dell’elettricità da quelli del gas.
La terza soluzione, che non è alternativa né alla prima né alla seconda, è ridurre il prezzo del gas combattendo, come suggerisce Mario Draghi, a livello europeo la speculazione e creando un acquirente unico europeo che avrebbe un potere contrattuale con i Paesi esportatori di combustibili fossili ben maggiore.
Si tratta di soluzioni concrete e percorribili che sono sul tavolo da tempo. Perché non vengono adottate? La risposta è la solita: «Follow the money», segui i soldi. Gli interessi in gioco sono enormi e i conflitti di interesse matasse intricate. In Italia lo Stato è importante azionista di Eni ed Enel, i maggiori produttori di energia dai quali riceve pingui dividendi; inoltre in Italia, come negli altri Paesi, ha un prelievo fiscale sulle bollette tanto più alto quanto più alto è il costo dell’energia.
Su un altro fronte Eni, Enel, Edison e gli altri maggiori produttori di energia sono associati a Confindustria, che di fronte agli interessi di questi grandi contributori al suo bilancio fa fatica a difendere quelli delle decine di migliaia dei suoi meno potenti iscritti. Questo quadro vale ovunque, la forza di Iberdrola in Spagna, di Edf, Engie e Total in Francia, di E.On in Germania, di Vestas e delle altre grandi ha un peso su quello che si decide nelle capitali come a Bruxelles.
È, quello dei prezzi dell’energia, uno dei casi più evidenti di confronto tra gli interessi forti dei grandi produttori di energia elettrica con quelli diffusi delle decine di milioni di famiglie e di imprese europee che quella energia consumano e pagano a caro prezzo.
Parlamenti e governi rappresentano gli uni o gli altri? Forse i tempi difficili delle nostre preziose democrazie dipendono anche un po’ dalla sensazione che gli interessi forti di pochi prevalgano su quelli diffusi di molti. Il problema dei prezzi dell’elettricità è sul tavolo, le soluzioni pure, potrebbe essere l’occasione per parlamentari e governanti di dimostrare che stanno dalla parte di chi vota. —
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