Antonio Briganti, ingegnere maremmano, sta lavorando al mega-progetto della città che non esiste ancora, Trojena: una distesa di sabbia che diventerà una metropoli. Ovviamente la nostra Redazione ha una visione diametralmente opposta a questa pervicace insistenza dell’uomo nell’abbattere buon senso e ostacoli naturali con la potenza del danaro, come pure alla visione di Giochi che non rispettano più alcuno degli antichi valori olimpici.
Ma anche all’interno dei progetti più folli, dispendiosi e distruttivi ci sono delle storie umane che non possiamo non prendere in considerazione.
Antonio e la missione (impossibile) nel deserto saudita
(portare acqua e neve per i Giochi Asiatici del 2029)
di Salvatore Mannino
(pubblicato su corrierefiorentino.corriere.it il 3 gennaio 2025)
Dopo Lawrence d’Arabia ecco Antonio d’Arabia, ovvero l’ingegnere maremmano che sta lavorando al mega-progetto della città che non esiste ancora, Trojena, nel cuore del deserto saudita, ma che dovrà essere pronta entro il 2029, la data dei giochi invernali asiatici di cui la metropoli che non c’è sarà la sede.
Un sogno (gli ambientalisti dicono un incubo) che pare uscito, per rimanere in Medio Oriente, dalla lampada dei desideri di Aladino, un’impresa da Mille e una notte di cui Antonio Briganti, laureato da appena un anno ma già lanciato nel progetto di una vita, a metà fra modernizzazione e megalomania autocratica, è uno degli ingranaggi.
Lui e un’altra trentina di professionisti e tecnici di “We build”, ex Salini-Impregilo, la più importante azienda edile italiana, una delle più grandi al mondo.
Per dire dell’audacia dell’impresa, si tratta (ed è solo una parte del piano complessivo) di portare la neve artificiale nel deserto, in un complesso montuoso che è il maggiore dell’Arabia Saudita, con vette fino a 2400 metri, ma nel quale di fiocchi naturali ce ne sono ben pochi, sicuramente non sufficienti ad alimentare gli impianti per gli sport invernali.
Ed ecco allora la mega-commessa vinta da “We build” e che l’ingegner Briganti sta portando avanti con i colleghi: la realizzazione di un lago dove ora ci sono soltanto sabbia e rocce, uno specchio d’acqua destinato a produrre neve artificiale, per costruire il quale dovranno essere innalzate ben tre dighe e che si affaccerà verso la valle con un angolo acuto che sembra la prua di una nave, inclinata di 50 gradi, il cuore di Trojena, una delle tre parti di Neom, la città che sorgerà dal nulla con altre due appendici, Oxagon e The Line, il centro intelligente di una metropoli destinata nei piani a estendersi per 120 km.
In questa operazione gigantesca, risultato dell’audacia di un principe, Muhamed Bin Salman, l’erede al trono dell’Arabia Saudita, ambizioso al punto di pensare un progetto del genere, il cui intento è di diversificare una delle monarchie petrolifere, e spregiudicato quanto basta per ordinare di fare a pezzi il giornalista Jamal Ahmad Khashoggi, Antonio Briganti ci si è trovato quasi per caso: «Ero appena uscito dal Politecnico di Milano – racconta lui – dove mi ero laureato e ho subito trovato posto in ‘We build’. Qualche mese in ufficio e poi a marzo mi hanno offerto: ‘Vuoi andare a lavorare a Trojena?’. Ci ho pensato un attimo e ho detto sì. Ad agosto ero già in Arabia Saudita».
Le condizioni climatiche nel mega-cantiere da cui sorgerà il lago, alimentato dalle acque pescate in riva al Mar Rosso, poi desalinizzate e trasportate su condotte lunghe centinaia di chilometri, sono quelle estreme del deserto: «Di questi tempio fa freddo, come da noi e forse anche di più, anche se di neve vera ce n’è poca. In estate lavoriamo a oltre 40 gradi».
Briganti, peraltro, è coinvolto solo nella parte di progetto che riguarda dighe e lago: «Il pompaggio delle acqua dal mare lo fanno altre aziende, qui siamo in un crogiolo di nazionalità provenienti da mezzo mondo».
Gli italiani hanno una posizione privilegiata, il lavoro materiale è affidato a indiani e pakistani. E già fervono le polemiche sulle condizioni di questa manodopera che, come ai tempi dei mondiali di calcio in Qatar, qualcuno definisce di semischiavismo. «La nostra azienda – precisa Briganti – lavora con criteri di sicurezza e di rispetto occidentali».
L’ingegnere maremmano e i colleghi dirigono il cantiere da un villaggio di prefabbricati in mezzo al nulla, con la città più vicina, Tabuk, che si trova a distanze abissali, così come il Mar Rosso: «Dentro abbiamo tutto quello che ci serve, mensa, sale giochi, internet, campi di calcio e anche di basket. Lavoriamo 6 giorni su sette, il giorno di riposo, come da tradizione islamica, è il venerdì».
Turni lunghi per settimane, poi ogni tre mesi il rientro in Italia, il ritorno dalla famiglia a Grosseto, dalla fidanzata fra Milano e Rimini.
«Ma mi sento orgoglioso di essere coinvolto in questo sogno immenso, qui c’erano soltanto dromedari, la poca popolazione locale ci guardava sorpresa. Quello che stiamo facendo è una ricchezza immensa».
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